Formazione Religiosa

Venerdì, 10 Marzo 2006 01:28

Elementi di attualità della riflessione patristica sulla gnosi (Lorenzo Dattrino)

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Elementi di attualità
della riflessione patristica sulla gnosi
Lorenzo Dattrino

Il complesso mondo dei nuovi movimenti religiosi (es. la New Age, Scientologia , ecc.) ripresenta oggi elementi che hanno non poche analogie con un fenomeno culturale apparso nei primi secoli dell’era cristiana. Detto fenomeno viene conosciuto con il termine gnosticismo. È necessaria una premessa terminologica.

Il termine gnosticismoè di origine moderna, e viene generalmente inteso in senso tecnico, ad indicare, cioè quel particolare fenomeno religioso che si è sviluppato nell’area mediterranea nei primi tre secoli della nostra era, dando origine a diversi sistemi e scuole che, sulla base delle testimonianze contemporanee, sono comunemente denominati gnostici. Il termine gnosi (dal greco gnồsis= conoscenza), invece, presenta una certa ambiguità. Alcuni attribuiscono anche a questo termine un significato tecnico ( più generico, però, di gnosticismo ) e lo riferiscono a quel particolare tipo di conoscenza religiosa (di Dio e dei suoi misteri; della vera natura dell’uomo e del mondo ecc.), riservata ad una élite , che da sola opera la salvezza e la liberazione di chi la possiede; in questo senso, non ogni conoscenza religiosa è propriamente una . Per estensione il termine può indicare inoltre anche i movimenti religiosi che tale dottrina della conoscenza hanno espresso. Gnosi, però, può essere utilizzato anche come semplice traduzione del termine greco dal quale deriva, vale a dire nel senso di “ conoscenza “ (di chi o di che cosa, dovrà essere specificato a seconda dei contesti). Si tratterà comunque sempre di un particolare tipo di conoscenza legato all’ambito religioso, che si distingue, p.es., dalla conoscenza di tipo scientifico, espressa in greco dal termine epistème.

La gnosi non è all’origine una nozione estranea né al giudaismo né al cristianesimo. Essa diventa un tema scottante per il cristianesimo soprattutto durante i secoli II e III d. C., che videro svilupparsi, da un lato, vari movimenti gnostici (di origine cristiana e non) che, nell’ottica dei Padri della Chiesa, furono assimilati all’eresia; e dall’altro, nuove scuole filosofiche ( soprattutto il platonismo medio nel sec. II e il neoplatonismo nel sec. III ) che dimostrarono un rinnovato interesse per il tema della conoscenza soprattutto in riferimento al problema della conoscenza di Dio.


Il contesto socio-culturale

Vediamo qual è lo sfondo culturale in cui sorge lo gnosticismo antico.

Il "crollo della polis“, che aveva caratterizzato l’esordio dell’età ellenistica, aveva portato in ambito filosofico e culturale ad una serie di mutamenti di ampia portata ; gli uomini (bruscamente strappati da quel “piccolo cosmo a misura d’uomo“ che erano – per i cittadini liberi – le poleis) abbandonarono le speculazioni di tipo metafisico per rifugiarsi in sistemi moralistici dallo scarso spessore teoretico, ma dalle formidabili valenze etico-pratiche.

Tale “ripiegamento involutivo“ seguiva una delle più profonde stagioni speculative della filosofia greca, quella caratterizzata dalle figure di Platone e di Aristotele, i cui insegnamenti furono dimenticati o apertamente osteggiati.

Il cammino della riscoperta di quella dimensione soprasensibile individuata da Platone con la sua “ seconda navigazione “ e poi dimenticata dai moralisti scettici o dogmatici della prima stagione dell’età ellenistica sarà lungo e difficile, non privo di esitazioni e travisamenti. I grandi sistemi filosofici di età ellenistica (Stoicismo, Epicureismo e Scetticismo) rispondevano al bisogno di certe etiche immediate, proprio degli uomini del loro tempo, ma lo facevano al prezzo di pressochè totale oblio dei frutti della “ seconda navigazione “ platonica: il cosmo viene ridotto alla sua sola dimensione fisica e la filosofia si riduce ad un sistema, costituito di tre parti o “ branche “, ben determinate (logica, fisica ed etica).

Col tempo entra in crisi il fisicismo dogmatico di tali filosofie ed emerge l’istanza di riscoprire una dimensione soprasensibile della realtà, andandola a cercare nel cuore del pensiero di quell’autore che l’aveva posta al centro della sua speculazione: Platone, che in quest’epoca viene sovente associato a Pitagora. Il cosiddetto “medioplatonismo” e il “neopitagorismo“ sono movimenti di pensiero che si collocano in tale solco.

Il problema etico resta preminente anche nell’orizzonte speculativo dei medioplatonici, però il motto fondamentale non è più quello delle filosofie ellenistiche (“segui la natura“), ma diventa, significativamente : “assimilati a Dio“.

E' evidente che questo clima caratteristico dei sec. II-III ha esercitato un influsso sul cristianesimo e che i padri della chiesa, nello sviluppo delle loro riflessioni sul tema della gnosi, si sono dovuti confrontare con esso.


L’atteggiamento dei cristiani colti

Le dottrine filosofiche che più influirono sul pensiero cristiano dei primi secoli sono lo stoicismo e il platonismo. Fra i cristiani, l’accettazione della filosofia greca non fu subito cosa ovvia. Contrasti ed opposizioni si manifestarono molto presto e tra gli stessi apologisti del sec. II, i primi autori cristiani che abbiano cercato di gettare un ponte tra il cristianesimo e la filosofia greca, non mancarono atteggiamenti di ripulsa. I più noti oppositori furono Taziano (per il cristianesimo di lingua greca) e Tertulliano (per quello di lingua latina). Secondo questi autori, il cristianesimo è del tutto estraneo alla filosofia greca; quest’ultima non contiene altro che deformazioni della verità ed è inoltre, con le dottrine delle sue diverse scuole, all’origine di tutte le eresie.

Tuttavia, la necessità di rispondere alle accuse che muovevano al cristianesimo i pagani delle classi colte e di diffondere anche tra queste classi la nuova fede fu un importante argomento a favore della diffusione della filosofia greca fra i cristiani. Lo stoicismo influì soprattutto sulle dottrine etiche, il platonismo sulla riflessione teorica dei primi pensatori cristiani. In particolare, la filosofia platonica, così come era stata riformulata dai pensatori del platonismo medio, arricchita anche da influssi neopitagorici, gravitava sempre di più verso la conoscenza del divino, fino a culminare in quella disciplina che dai filosofi aristotelici ha preso il nome di teologia e il cui fine ultimo è la homoiộsis theộ,il farsi simili a Dio. Proprio per queste sue caratteristiche, la filosofia platonica si presentava come uno strumento particolarmente adatto a tradurre il messaggio cristiano in un linguaggio comprensibile all’uomo di cultura greca, e in quanto tale fu utilizzato dai primi grandi pensatori cristiani, da Giustino a Clemente e ad Origene.

Ma l’interesse del nascente pensiero cristiano nei confronti del platonismo, la disponibilità ad utilizzare temi di origine platonica nella riflessione sui dati della fede cristiana non devono far pensare che la distanza fra le due dottrine fosse minima. Come tra gli apologisti non mancarono oppositori nei confronti della cultura greca, così già nel sec. II si alzarono tra i filosofi medioplatonici alcune voci polemiche contro il cristianesimo : verso il 180 d.c. Celso scrive contro i cristiani quel Discorso verace, volto a dimostrare l’assoluta inconciliabilità tra filosofia greca e cristianesimo, che Origene confuterà circa 70 anni più tardi, conservandocene larghi estratti, nella sua opera Contro Celso. A lui farà eco il medico Galeno, riprendendo sostanzialmente gli stessi argomenti di Celso, che sono quelli tipici del medioplatonismo, di una filosofia, cioè, orientata sì in senso teologico, ma in nessun modo disposta ad abbandonare la ragione per aderire ad una fede.

Il filosofo Giustino è il primo esempio tipico di questo genere di avventura intellettuale e religiosa.

La sua nascita si colloca a Flavia Neapolis, l’antica Sichem, verso l’inizio del secondo secolo. Ci ha narrato lui stesso il suo itinerario in Dialogo con Trifone. Dopo aver interpellato tutte le filosofie, solo dalla platonica ha un aiuto, ma sono la lettura della Bibbia e la preghiera che conducono Giustino alla fede cristiana. Quando vi ha pienamente aderito, lungi dall’abbandonare la sua esistenza filosofica, egli considera che ha trovato, come gli aveva detto il vegliardo, la vera filosofia. Indossando sempre il pallio egli si fisserà, sotto Antonino Pio, a Roma e vi aprirà una scuola filosofica in cui il cristianesimo è proposto come la vera filosofia. Taziano, l’altro grande apologista siriano, diventerà suo discepolo. Ma con esiti opposti!

L’accoglienza fatta al pensiero greco riguardo al Logos grava con un certo peso sul lessico e sul pensiero di Giustino. La stessa cosa è vera per gli altri apologisti, e le conseguenze si faranno sentire fino a due secoli più tardi durante la crisi ariana.


Fonti per la conoscenza del fenomeno gnostico

Vediamo di far tesoro delle fontes in nostro possesso per conoscere meglio il fenomeno culturale dello gnosticismo. Esso ci è noto attraverso due tipi di fonti: le testimonianze patristiche (fonti indirette) e gli scritti di autori gnostici (fonti dirette). I padri della chiesa consideravano lo gnosticismo come un’eresia sorta in seno al cristianesimo e che ne minacciava l’integrità. Si sono quindi adoperati in ogni modo per confutarlo. Le informazioni più importanti ci vengono dagli eresiologi (Ireneo di Lione; Ippolito di Roma ; Tertulliano ; Epifanio di Salamina), quei padri della chiesa, cioè, che avevano fatto della lotta contro le eresie l’impegno principale della loro attività di scrittori. Fino ad alcune decine di anni or sono, le testimonianze patristiche costituivano la fonte di informazione principale, se non esclusiva, sullo gnosticismo.

Oggi, in seguito alla scoperta, avvenuta nel 1946 nei pressi della cittadina di Nag Hammadi, in alto Egitto, di una biblioteca gnostica, composta di 13 codici papiracei abbastanza ben conservati, che contengono una cinquantina di opere di autori gnostici, siamo potuti venire a contatto con scritti di prima mano, che documentano in modo diretto (non solo attraverso la prospettiva dei suoi avversari) il fenomeno gnostico. Questi scritti rappresentano la traduzione in copto, databile alla metà circa del sec. IV, di opere originariamente scritte in greco e che possono risalire fino al sec. I d.C. Tra i testi di Nag Hammadi, alcuni presentano caratteri pienamente cristiani, mentre altri, pur essendo gnostici, non rivelano alcun punto di contatto con il cristianesimo. Lo gnosticismo si presenta come un movimento religioso estremamente complesso e variegato, a carattere sincretistico (in cui si compongono , cioè, elementi di origine diversa). Le testimonianze letterarie del sec. II documentano in effetti una varietà di comportamenti e di dottrine che vanno, per quanto riguarda l’etica, dall’ascetismo più rigido ad atteggiamenti antinomisti e a pratiche libertine; per quanto riguarda la prassi liturgica, dai rituali misterici a pratiche giudaiche e cristiane; per quanto riguarda la teologia, dalla riflessione filosofica più sottile e rigorosa al fantasticare sfrenato del racconto mitico e agli incantesimi della magia.

Qual è l’elemento che permette di accomunare comportamenti e credenze così disparati ? Più che in un preciso contenuto dottrinale esso va forse cercato in un atteggiamento mentale o interiore, in un particolare modo di porsi nei confronti del mondo, di Dio, della salvezza. Per lo gnostico esiste una contraddizione inconciliabile tra il mondo in cui vive e il Dio assolutamente trascendente. Il mondo è il prodotto di un conflitto all’interno del Pleroma (= pienezza) divino : l’uomo, la cui natura più profonda è divina, si trova intrappolato , irretito in questo mondo, al quale si sente completamente estraneo. La salvezza per lui consiste nel liberarsi dai vincoli che lo legano alla materia, al corpo, al mondo umano. Questa liberazione egli ottiene quando prende coscienza della propria identità divina. È questa la “gnosi”, conoscenza di sé e conoscenza di Dio, che sono poi la stessa cosa. Siccome l’uomo è prigioniero del corpo e della materia, reso cieco, come stordito, ubriaco dal mondo, ha bisogno di una chiamata che venga dal di fuori e lo risvegli, facendogli prendere coscienza della sua vera natura. Il compito di portare questa chiamata nella prigione del mondo è affidata ad un Rivelatore. Il contenuto della chiamata è semplicemente che l’uomo appartiene a Dio ed è estraneo al mondo. Colui che porta in sé la scintilla divina è in grado di ascoltare questa chiamata e di conoscere la propria natura; attraverso questa conoscenza (la gnosi) , egli ottiene la liberazione dai vincoli della materia che lo rendevano schiavo. È precisamente questa conoscenza che distingue lo gnostico dalla massa degli altri uomini che rimangono nell’ignoranza, e ne fa un privilegiato.

Oltre a questo che è il messaggio essenziale dello gnosticismo (risposta alla domanda: chi sono io?), tutti gli sviluppi dottrinali particolari dei vari sistemi sono fondamentalmente ordinati ad aiutare l’adepto a rispondere a queste domande: da dove vengo? Come mai mi trovo qui? Come posso ritornare al mio luogo di origine? Per questo le dottrine gnostiche sviluppano con ricchezza di particolari il racconto delle vicende del mondo divino, del conflitto in esso prodottosi che ha dato origine al mondo materiale (teogonia e cosmogonia) e della via da percorrere per ritornare nel Pleroma originario.

In età ellenistica la concezione impersonale del potere divino sotto l’influsso di dottrine provenienti dall’oriente, tende a configurarsi come una sorta di energia cosmico-divina, che trova le proprie rappresentazioni tanto nelle forme classiche delle divinità tradizionali quanto nelle sfere esoteriche della magia e dell’astrologia. L’individuo dà nuova forma all’antica consapevolezza già propria dei culti misterici; c’è nell’uomo qualcosa di divino che bisogna “liberare“ da ciò che offusca la sua immagine più pura.

L’interrogativo più drammatico che l’uomo si pone è il seguente: “Se Dio è buono da dove viene il male?“ Si tratta di una domanda esistenziale propria dell’uomo in quanto tale, a cui ogni forma di sapienza filosofica o religiosa ha cercato di dare, in modo più o meno diretto, una risposta.

Per la mentalità gnostica il problema diventa centrale, vero propulsore del suo immaginario, a patto di assumere tale problema nella sua forma più “drammatica“. Di fronte al male lo gnosticismo opera una ribellione radicale e si mostra incapace sia di inquadrarlo come una forma di “non- essere“ all’interno di un cosmo sostanzialmente buono ( come farà invece Plotino ), sia di attribuirsene la responsabilità attraverso il peccato per poi accettarlo come mezzo di redenzione (secondo ciò che è proprio della dottrina cristiana).

Ecco le risposte. Possono essere schematicamente distinte in due grandi gruppi:

  • quelle che prendono le mosse da un dualismo originario e radicale (come nel caso del manicheismo, o di movimenti di area culturale iranica);
  • quelle che prendono le mosse da una caduta di un dio minore (come nel caso della gnosi di area culturale siro-egiziana).
  • Nel primo caso, semplificando i parametri concettuali del discorso, potremmo dire che Dio, la Luce suprema, è assolutamente buono, ma non è onnipotente (o quanto meno non lo è immediatamente) visto che deve ingaggiare una lotta titanica con un principio malvagio primordiale (la Tenebra). Nel secondo caso si tende a moltiplicare indefinitamente le personificazioni intermedie fra il Dio Supremo (che sarà, per esempio, Abisso, ineffabile e in conoscibile) e quell’entità generale inferiore che, colpevolmente attratta dai regni inferiori per i motivi più svariati, si troverà a decadere dalla sua dignità originaria. Tale “ caduta “ è stabilita prima del cosmo e una delle sue conseguenze è la nascita del cosmo stesso con la correlativa “ prigionia “delle anime divine del mondo.

    Come si vede, sullo sfondo c’è un pessimismo radicale nei confronti del mondo, pensato come assolutamente cattivo e corrotto. Tutto ciò potrebbe apparire strano se si pensa che è proprio dall’evidenza dell’ordine e dell’armonia del cosmo che ha preso le mosse tutto il cammino dello sforzo filosofico fin dai “ presocratici “. In un certo senso, tra tutti gli elementi di varia origine e natura che confluiscono in tale concezione, il problema a cui si vuole dare risposta è il problema del male: si vuole scaricare Dio dalla responsabilità del male e, conseguentemente, si immaginano degli intermediari tra il Bene supremo (il Dio sommamente buono) e la materia o il Mondo.

    Nella sua forma cristiana, lo gnosticismo assunse alcuni tratti caratteristici, desunti in particolare dalla tradizione biblica, vetero e neo-testamentaria. Il mondo materiale, connotato negativamente, non può essere stato creato dal Dio trascendente; è invece l’opera di un demiurgo, generalmente identificato con il Dio dell’AT; questo comporta una svalutazione dell’economia veterotestamentaria. Inoltre, la figura del Rivelatore, che viene dal mondo a portare la gnosi, è in genere impersonata da Cristo; ma poichè la salvezza gnostica non è mai salvezza di tutto l’uomo, ma soltanto della parte divina che è in lui ( per il corpo e la materia non c’è salvezza possibile ), così anche il Cristo, venendo nel mondo, non ha assunto tutto l’uomo : la sua incarnazione e la sua passione sono soltanto apparenti (docetismo). In questa forma, lo gnosticismo costituì il primo grande pericolo con il quale la chiesa dei primi secoli si sia dovuta confrontare. I padri della chiesa posero tutto il loro impegno per cercare di confutarne le dottrine, contrapponendo alla loro interpretazione delle Scritture l’autorità dell’interpretazione tradizionale di cui era depositaria la chiesa e che era stata tramandata pubblicamente attraverso una catena ininterrotta di tradenti che risaliva fino agli apostoli, e insistendo sull’identità del Creatore con il Dio supremo, sulla bontà della creazione e del mondo materiale, sulla realtà dell’incarnazione e della passione di Gesù.


    Le risposte dei "filosofi" cristiani

    Tra i primi, ed il meglio informato è Ireneo. Ireneo, come Giustino, è un orientale, originario dell’Asia minore (dove si presume sia nato verso il 130). Ma di lui si ignorano le circostanze che l’hanno condotto in occidente. A Lione, dove sarà vescovo, Ireneo smaschera, controbatte, opponendo alla falsa gnosi la sua fedeltà, non soltanto rispettosa ma entusiasta, alla tradizione della Chiesa.

    Per lui la Chiesa è la salvaguardia della vera fede. All’esoterismo gnostico, che pretende di fondare le sue conoscenze fantasiose su tradizioni segrete, Ireneo è il primo ad opporre formalmente la tradizione pubblica, verificabile da tutti, che ad essi ricollega la Chiesa di vescovo in vescovo.

    Quel che ad Ireneo sembra l’essenziale di questa fede della Chiesa in opposizione alle false “gnosi“, è quello che egli chiama, sulla base della lettera di san Paolo agli Efesini, “la ricapitolazione“.

    Così come egli la intende, la parola designa insieme la ripresa di tutta la storia umana deviata nell’ “economia“ salutare del Cristo, e la salvezza e la riconciliazione di ogni cosa in Lui. La “ricapitolazione“ si oppone dunque ad entrambi gli errori secondo i quali il Dio, Padre del Cristo, non sarebbe il creatore di tutte le cose , visibili ed invisibili, corporali e spirituali, e inoltre il Verbo non si sarebbe incarnato se non in apparenza. I due termini del discorso sono:

    I Il dono continuo di Dio, dalla creazione alla gloria (Deus facit, Deus bene facit).

    “Come dunque sarai Dio, quando non sei ancora stato fatto uomo? Come sarai perfetto, quando sei stato appena creato? Come sarai immortale, quando in una natura mortale, non hai obbedito al tuo Creatore? Bisogna che tu prima ti mantenga nella tua condizione di uomo, e solo dopo abbia parte alla gloria di Dio. Giacchè non sei tu a far Dio, ma è Dio che ti fa. Se dunque sei opera di Dio, attendi la mano del tuo artefice, che a tempo opportuno tutto fa: a tempo opportuno rispetto a te, che vieni fatto. Presentagli un cuore tenero e docile, e conserva la forma che ti ha dato l’artefice…” (Contro le eresie, IV, 39, 2)

    L’opera di Dio nella storia della salvezza consiste in un “ moltiplicare “ la grazia che da lui viene in una progressiva formazione del genere umano attraverso l’ordine creato, la legge, i profeti .

    II La continua crescita dell’uomo verso Dio (homo fit – bene fit homini). È proprio la natura creaturale che motiva il divenire dell’uomo, e che impone lo spiegarsi dall’economia divina secondo i suoi diversi momenti, con l’intervento delle tre persone divine.

    Contro il dualismo degli gnostici, Ireneo affronta il tema della bontà della carne. Inoltre, egli insiste sul concetto che l’uomo deve crescere nella sottomissione a Dio attraverso la libera scelta del bene, lottando contro il male. Dopo tutto, l’uomo è artefice del suo destino.

    Ireneo trova il fondamento dell’essere cristiano nella regola di verità, ricevuta con il battesimo (cfr. Dem. 6). L’uomo è stato fatto dalle mani di Dio, che ha preso la terra più pura, la terra vergine, non lavorata da alcuno (cfr. ibid. 11).

    Ma, contrariamente al tricotomismo platonico, egli afferma l’uguaglianza di tutti gli uomini. L’uomo può divenire immortale, divino, spirituale, ricevendo lo Spirito di Dio (cfr. Adv. Haer. III, 22, 1; 20, 2; V, 6,1; 8,1-3; 16,2), perché è la grazia di Dio che deifica l’uomo. Ma l’uomo, da parte sua, deve fare la volontà di Dio, se vuole partecipare alla vita trinitaria. Se l’uomo Adamo fu elevato allo stato soprannaturale, Cristo ha fatto di più: ci ha reso figli. Ha fatto ciò che l’uomo non poteva fare:

    “Come potrebbe l’uomo andare verso Dio, se Dio non fosse venuto all’uomo?... E questa è la ragione per cui il Verbo di Dio si è fatto carne e il Figlio dell’Uomo, affinché l’uomo entri in comunione con il Verbo di Dio e, ricevendo l’adozione, diventi Figlio di Dio “ (Adv. Haer, IV, 33, 4; III, 19, 1).

    Ma la fortezza per l’uomo è anche l’Eucaristia:

    “…siamo nutriti per mezzo del creato…il calice, tratto dal creato, egli lo ha dichiarato suo proprio sangue, mediante il quale il nostro sangue si fortifica e il pane, tratto dal creato, lo ha proclamato suo proprio corpo, mediante il quale si fortificano i nostri corpi “ (Ibid. V, 2,2).

    Per Ireneo è importante il dono della carità (agápe), che è più preziosa delle scienze e della profezia: importante è relazionarsi a Dio.

    “La visione di Dio è la vita dell’uomo e la vita dell’uomo è la gloria di Dio“ (Ibid. V, 2, 2)

    Vivere è partecipare alla vita di Dio, cercare di conoscerlo, essere rischiarato dalla sua luce:

    “Dio è lui stesso la vita di quelli che partecipano di lui“ (Ibid. V, 7,1).

    Se la ragione è incapace di afferrare Dio, l’amore può intenderlo ed avere esperienza della sua presenza. Secondo la Scrittura, è impossibile vedere Dio e restare in vita, ma Dio si mostra a coloro che l’amano, quando vuole. Allo stesso modo, quelli che vedono la luce sono nella luce e partecipano al suo splendore: così quelli che vedono Dio, partecipano alla Vita.

    È il modello della creazione, che l’uomo deve imitare per ritornare al Padre da cui si è allontanato: questi progressi si compiono per la grazia dello Spirito Santo, poiché lo Spirito assorbe la debolezza della carne (cfr. Ibid. V,12,4).

    L’uomo che si apre allo Spirito, non è più carnale, ma diviene spirituale e perfetto. Il punto culminante è divenire Dio, con un processo che continua oltre la morte, che si perfeziona dopo, perché la morte non è che una tappa nel divenire perfetti. Niente sfugge a questa legge dell’ascensione ( per gli gnostici è discesa )verso Dio. Nella nuova economia, Cristo ricapitola, riassume tutta la creazione, comunicandole ciò che aveva perduto per colpa di Adamo, riprende tutto sul suo conto, anche la nascita del primo uomo. Sulle orme di S. Paolo (Ef 1,9; Rm 8), Ireneo concepisce la dottrina della “ricapitolazione“. In essa elabora la storia della salvezza, ravvisandola nel mutuo adattamento da parte di Dio e dell’uomo, del progresso e dell’educazione. Egli presenta l’Incarnazione, in quanto essa riassume e compie tutta la storia precedente dell’uomo, l’istituzione di Cristo come capo di tutto l’universo nel fatto che Cristo e Maria, con la loro ubbidienza hanno riparato la disubbidienza di Adamo ed Eva.

    Tutta la creazione si rinnova per mezzo di Cristo: il nuovo Adamo restaura il primo. L’itinerario che segue porta alla dimensione trinitaria: per mezzo dello Spirito, l’uomo contempla il Figlio e, attraverso il Figlio, il Padre. Il senso trinitario della dottrina sottolinea l’orientamento costante verso la Trinità che sarà caro ai mistici di tutti i tempi.

    “Al disopra di tutto, il Padre, ed è lui il capo del Cristo. Attraverso tutto, il Verbo, ed è lui il capo della Chiesa. In tutto, lo Spirito, ed è lui l’acqua data dal Signore a coloro che credono in lui, lo amano, e sanno che c’è solo un Dio Padre, che è al di sopra di tutto, attraverso tutto e in tutto”. (Ibid. V, 18,2).

    In questo suo divenire continuo, l’uomo ha per compagne, non solo il Padre, ma anche le mani di Dio, il Verbo e la Sapienza. E proprio queste mani, che lo hanno plasmato fino dall’inizio, a immagine e somiglianza del Creatore, lo collocheranno nuovamente nel paradosso, come hanno fatto per Elia ed Enoch.

    La gnosi di Ireneo, in effetti, come quella di san Paolo, di san Giovanni, e prima di loro dall’apocalittica giudaica, crede incrollabilmente in un solo Dio, creatore di tutte le cose e che solo può esserne il Salvatore.

    Ma, precisamente, essi prendono tutti talmente sul serio la creazione che le volontà libere e il mistero del loro gioco nelle mani del Creatore (di cui parla spesso Ireneo, e che sono per lui il Figlio e lo Spirito) vengono da loro interamente rispettati. La redenzione, per la “gnosi “ ortodossa, non sarà dunque una semplice liberazione di puri spiriti rinchiusi per un errore originario in un corpo e in un mondo essi stessi non salvabili. Essa sarà un conflitto, una vittoria riportata con un’altra lotta da parte del Creatore, che viene a lottare con e nella sua creatura contro le potenze di inimicizia che la disobbedienza di questa ha essa stessa scatenato. Così, tutto sarà salvato, la materia come lo spirito, di quello che la lotta e la vittoria divina faranno proprio. Ma al contrario si perderà lo spirito stesso che persisterà fino alla fine di questa colpa originale, la quale non è soltanto un errore, ma una ribellione. Una volta visto chiaramente tutto ciò che l’opera di Ireneo mette in luce nei confronti dello gnosticismo eretico, si distingue forse meglio il malinteso fondamentale di certi tentativi moderni intrapresi per “demitizzare“ il cristianesimo primitivo (es. Bultmann).

    Dopo Ireneo ascoltiamo il contributo di Clemente Alessandrino. Ad Alessandria la difficoltà di conciliare con il cristianesimo la cultura ellenistica fu particolarmente avvertita. Clemente affrontò decisamente questo problema e lo risolse con uguale energia, in senso favorevole. Egli si pose sulle orme di Giustino, ma con visioni ancora più vaste e concilianti, specialmente negli Stromata: anche ai filosofi pagani fu concessa la luce di molte verità, in vista, e come remota preparazione alla verità totale portata dal Cristo. Egli arriva ad apprezzare la filosofia pagana quasi come un terzo testamento paragonabile alla Legge degli ebrei, sia pure di un gradino inferiore, per il quale si accede alla filosofia secondo Cristo (Strom. , 6,8,67,1).

    La rivelazione è la grande luce che Dio ha sparso sul mondo. Ma anche la filosofia può rivelare molte verità, le quali, appunto perché verità, provengono dalla stessa e unica sorgente. Clemente, dunque, è sullo stesso piano di Giustino. La sola differenza sta in una maggiore insistenza, da parte di Clemente, nel ritenere come compito della filosofia pagana quello di costituire un fattore preparatorio a comprendere l’integrità della Rivelazione cristiana. Ma c’è di più. Nelle sue opere Clemente si propone come fine essenziale il progresso dell’anima che si eleva per gradi, dalla prima giustizia ricevuta nel battesimo, fino all’ultima perfezione considerata nella conoscenza e nella contemplazione di Dio. Questa perfezione egli la chiama “gnosi“. Ma qui sta la sua differenza con gli gnostici: essi proponevano la “gnosi“ come innata, e riservata a pochi privilegiati. Clemente nega questa teoria ed afferma che essa è frutto di una assidua applicazione mentale; è una lenta conquista, e occorre alimentarla e accrescerla con un esercizio incessante.

    È tuttavia necessario rilevare che Clemente non sempre sviluppa questa dottrina in modo costante e coerente. Talvolta sembra limitare la perfezione della “gnosi“ soltanto a coloro che se ne rendono capaci. Fatte queste premesse, rimane la constatazione dell’interdipendenza che egli ammette fra fede e gnosi:

    “La fede è, per così dire, una breve e compendiosa conoscenza degli elementi necessari (per la salvezza). La gnosi è ferma e stabile dimostrazione degli elementi derivanti dalla fede: essa si costruisce attraverso l’insegnamento del Signore, e conduce ad una scienza infallibile e ad una comprensione perfetta“ ( Strom.,7, 10 ) = Teologia.

    Nel tentativo operato da Clemente di conciliare la filosofia con la Rivelazione si ha l’inaugurazione della cosiddetta gnosi cristiana,in rapporto stretto con l’allegorismo introdotto nell’interpretazione della Scrittura: è questa, del resto, un’esigenza affiorata interamente in funzione della prima e che tradisce una diretta dipendenza da Filone e dalle correnti giudeo-elleniste. Per Clemente la filosofia deve mettersi al servizio dell’intelligenza della Scrittura: essa aiuta a precisare il contenuto della fede e induce lo studioso a passare dalla semplice aderenza ai dogmi della fede alla conoscenza (scientifica) della fede stessa. Il punto di partenza è offerto dai fatti presentati dalla Scrittura e dalle verità rivelate. È qui che deve intervenire la ricerca personale per giungere ad una conoscenza ( gnosi ) superiore. Ogni credente, grazie ad essa, può divenire un sapiente, uno “ gnostico cristiano “(Strom., 1, 99 1 ss; Strom6, 18, 114). È vero che tutti i credenti possono raggiungere la salvezza, ma la conoscenza delle verità della fede, raggiunta attraverso la penetrazione più profonda delle stesse verità, operata dall’esercizio della mente, rende l’uomo e il credente più perfetto. Si può dire che Clemente è riuscito a porre i fondamenti del metodo teologico.

    Uno dei capisaldi della dottrina di Clemente è la natura e la funzione del Verbo (Lógos). Ogni germe di verità, ogni rivelazione atta ad illuminare la mente dell’uomo, viene da Lui. In ogni essere creato non esiste scienza se non per mezzo suo.

    “È Lui che fin dall’origine, che fin dalla prima creazione del mondo, ha istruito ( l’uomo ) in molti modi e sotto molte forme, ed è a Lui che si deve la perfezione (del sapere)“ (Strom., 6, 7, 57) .

    È chiaro che Clemente riprende anche qui il discorso di Giustino, apportandovi soltanto più insistenza e più ardore. Egli sottolinea un aspetto singolare dell’insegnamento del Cristo: il maestro degli uomini più per la sua natura di Verbo divino e di sorgente di verità attraverso la luce, illuminante direttamente la mente dell’uomo, che non per l’azione esercitata da Lui attraverso l’insegnamento del vangelo, come Verbo incarnato.

    In opposizione alle pretese degli gnostici egli insiste su due temi fondamentali: la Chiesa è nata prima delle eresie, ed è nata sotto il segno di una inscindibile unità. L’opera delle eresie è diretta alla divisionee alla disgregazione, per questo Clemente non esita a dichiarare che uno dei maggiori ostacoli alla conversione dei pagani e degli ebrei è l’esistenza delle conventicole eretiche.

    L’ideale del ”perfetto gnostico"

    Assistiamo ai risultati di un sapiente processo di inculturazione. È sufficiente leggere la definizione della gnosi che Clemente ha dato nel secondo libro degli Stromati

    “Ecco le tre note che contraddistinguono il nostro gnostico: in primo luogo la contemplazione, poi l’adempimento dei precetti, infine l’istruzionedei buoni. Quando si riscontrano queste qualità in un uomo, egli è uno gnostico perfetto; ma se una di esse viene a mancare, la sua gnosi è manchevole” (Strom., 2, 10, 46).

    Ecco i tre elementi di questa gnosi.

    “La gnosi“, ci dice il VI libro degli Stromati, “è il principio e l’autore (demiurgós) di ogni azione conforme al Logos (Logiké)”.Trasferendo questa nozione del tutto biblica in termini stoici, alla maniera sia di san Paolo che di Filone, il IV libro la definisce come un’ ”energia” che è la purificazione dell’egemonikón dell’anima, ossia del suo potere di giudicare e di scegliere. La gnosi in quanto tale è vista da Clemente come il dono di Dio: il dono del Cristo per eccellenza. Non la si trova, ma piuttosto si è trovati da essa (Strom., 1, 32, 4).

    Bisogna che noi leggiamo le Scritture nella Tradizione,che, per lui, non è tanto una realtà estranea alle Scritture ma la loro presentazione naturale fatta dalla Chiesa: infatti “ gli insegnamenti che ci hanno trasmesso i beati apostoli e i maestri sono in accordo con le parole ispirate “, in quanto essi ci hanno trasmesso quelle parole stesse (Strom., 4, 134, 4). In effetti, le Scritture restano lettera morta se noi non abbiamo per leggerle quello che lui chiama il “canone ecclesiastico“. Con questo si intende una regola vivente di interpretazione di cui Clemente ha data questa ammirabile definizione:

    “La sinfonia della legge e dei profeti nell’alleanza che ci è stata trasmessa con l’apparizione ( parusía ) del Signore “ (Strom., 7, 95, 3).

    Tutto ciò coincide con la descrizione della gnosi che ci ha dato Ireneo.

    Una “ filosofia cristiana “

    Per Clemente, la filosofia greca, o più esattamente il sapere enciclopedico dell’epoca, costituisce come una propedeutica, se non necessaria almeno molto utile, alla gnosi cristiana. Ecco quello che egli dice a riguardo nel libro VI degli Stromati:

    “Lo gnostico deve approfittare delle scienze profane, come di esercizi preliminari dai quali egli può trarre profitto, sia per insegnare la verità con esattezza e con sicurezza sia per confutare le malvagie teorie, che tentano d’abbatterla. Egli perciò dovrà conoscere quelle discipline che formano il cerchio delle cognizioni generali ( tà egkúklia) e guidano all’apprendimento della filosofia ( greca ). Di questa scienza, della quale i sostenitori delle eresie si valgono a fin di male, lo gnostico deve approfittare a fin di bene “ ( Strom., 6, 10, 80-83 ).

    Tutto questo ci conduce verso un apice della gnosi che pare decisamente mistico, se si dà a questa parola il senso di una visione divina, che trasforma l’uomo ad immagine di quello che egli vede. Il vero gnostico è chiamato a “conoscere Dio“: gignóskein, o epignónai, a “vedere Dio“, a “possederlo“: choreïn.

    Sempre a proposito dell’apice della vita gnostica, dell’assimilazione a Dio, Clemente introdurrà nel linguaggio cristiano il termine apátheia. A partire dai Cappadoci e da Evagrio il Pontico, questo termine sarà ripreso dalla dotta spiritualità monastica dove rivestirà un ruolo notevole. In Clemente il termine significa un dominio conquistato, mediante la grazia alla quale si abbandona la nostra libertà, su tutto quello che, in noi, si oppone all’irraggiamento della carità. L’apátheia dunque, lungi dal rendere lo gnostico insensibile alla agápê cristiana, ne è in verità lo splendore vittorioso.

    Scrive Clemente:

    “Il vero gnostico che ha preso l’abitudine alla bontà, agisce bene piuttosto che parlare bene; domanda la compassione per i peccati dei suoi fratelli; prega perché i suoi intimi confessino i loro peccati e si convertano, desidera rendere partecipi dei suoi beni i suoi amici più cari e tali sono tutti i suoi amici. Facendo così germogliare i semi riposti in lui, secondo la coltivazione che il Signore ha disposto, rimane senza peccato; è padrone di se stesso e vive con lo spirito nei cori dei santi, anche se è ancora trattenuto sulla terra. Un tale uomo, che agisce e che parla in tal modo di giorno e di notte seguendo i comandamenti del Signore, arriva alla gioia perfetta, non soltanto all’alba quando si leva e a metà del giorno, ma anche quando cammina, quando si corica, quando si veste e si sveste. Egli istruisce il figlio suo, se gli nasce un figlio; non può separarsi dalla legge e dalla speranza; rende continuamente grazie a Dio, è paziente in ogni avversità: “ Il Signore, egli dice, ha dato, il Signore ha tolto”. Tale era Giobbe che accettava la perdita dei beni esteriori, fino a quella della salute corporale, dice la Scrittura, giusto, santo, lontano da ogni malizia”. La santità significa qui la giustizia riguardo a Dio secondo tutte le disposizioni divine, ed è per aver conosciuto questa giustizia che egli era gnostico”. ( Strom. , 7, 12, 80).

    Clemente ha l’arte di condurci verso le altezze di una spiritualità pura ed esigente. Non v’è dubbio che la sua opera, specialmente la sua descrizione dello gnostico ideale, abbia aperto le vie alla spiritualità che sarà ben presto chiamata mistica più direttamente di qualunque altra.

    Qualche conclusione

    La difficoltà di rapportarsi con il mondo dei nuovi movimenti religiosi ( in particolare la New Age), da parte del cristiano, si lega sia a problemi di ordine conoscitivo ( è difficile identificare bene un fenomeno dai confini confusi e sfuggenti ), sia a problemi di origine relazionale ( l’atteggiamento ambiguo nei confronti delle altre religioni in genere e di quella cristiana in particolare è un esempio significativo di tale difficoltà ), ma tutto questo non deve scoraggiare coloro che, armati di santa pazienza e di buona volontà, desiderano portare un proprio contributo alle difficili relazioni con il variegato mondo dei vari nuovi movimenti religiosi. Noi, oggi, pur essendo dei nani, sulle spalle dei giganti, i Padri, abbiamo orizzonti più vasti. Le lezioni che ci vengono da questi giganti possono essere:

  • È necessario conoscere meglio i confini attraverso il contributo di studi seri e capaci di offrire al lettore quegli strumenti critici che i diretti interessati si guardano bene dal mettergli a disposizione.
  • Operare discernimento per individuare i modi in cui i nuovi fenomeni religiosi tentano con scaltrezza di diffondersi.
  • Tentare di instaurare un dialogo con quanti si lasciano avvicinare ( e generalmente manca una certa disponibilità iniziale ), proponendo loro con semplicità e chiarezza la “novità” del messaggio cristiano evitando di lasciarsi “asfissiare” dietro una cortina “mitopoietica” che rischia di renderlo quasi irriconoscibile.
    Letto 2860 volte Ultima modifica il Domenica, 30 Luglio 2006 14:28
    Fausto Ferrari

    Religioso Marista
    Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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