I Dossier

Venerdì, 26 Ottobre 2007 02:36

Lourdunathan Yesumarian (Djénane Kareh Tager)

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Lourdunathan Yesumarian

di Djénane Kareh Tager

Il nostro incontro è fissato a Parigi, nella hall del CCFD (Comitato cattolico contro la fame e per lo sviluppo) che ha fatto arrivare padre Lourdunathan Yesumarian dalla sua India nativa per partecipare all’incontro nazionale del Comitato. Non c’è molta gente, questo pomeriggio, nella hall. Il prete mi viene incontro, scortato dall’addetto stampa, che lo presenta: "Padre Lourdunathan". Qualche secondo di silenzio. Lui incalza: "Sono un dalit". Mormoro un vago "sì". E lui insiste: "Un intoccabile". Gli tendo la mano. Lui la stringe, sorride. In questo preciso momento, ho come l'impressione che un muro di ghiaccio sia andato in frantumi…
"Intoccabile", questo gesuita, ma avvocato specializzato in diritto internazionale e portabandiera del movimento dalit, lo è nel senso proprio del termine. Così come lo sono duecentocinquanta milioni di suoi compatrioti indiani nati nella casta dei senza casta, degli impuri, degli "intoccabili", appunto. Esseri che le altre caste esitano a definire umani. E ai quali l’India non applica le carte e le altre convenzioni nazionali che affermano l’uguaglianza degli esseri umani, in particolare la Carta dei diritti dell’uomo, anche se sono state ratificate dal loro Paese.
Cerco di capire perché. "È semplice, spiega il gesuita. Secondo la mitologia indù, la casta dei bramini è nata dalla testa del Dio creatore, quella dei guerrieri dalla sua spalla, altre caste dal suo ventre o dai suoi piedi. Noi, i dalit, non siamo nati da Dio. Non siamo niente". Ovviamente mi sento obbligata a ricordare al padre Lourdunathan che egli è cattolico. Che dovrebbe quindi, secondo la logica, non sentirsi toccato da questo mito. La sua risposta è agghiacciante: "La religione è un vestito che si può cambiare. La casta è una pelle. Si nasce con la propria pelle, si muore con lei". E poi, soprattutto, si vive con lei nel quotidiano, come lo dimostra la sua storia personale…
"Sono l'ultimo di una famiglia di otto figli. Una famiglia di dalit, cattolica da tempo. Sono nato nel 1955, in un piccolo villaggio del Tamil Nadu, Stato del sud dell'India. Mio padre è morto quando avevo tre anni, mia madre ha lavorato duro per crescerci. Ho sempre saputo di essere un intoccabile, anche se la parola non era mai pronunciata apertamente. Ero alto come un soldo di cacio ma già sapevo che davanti alla drogheria dovevo stare nella coda riservata ai dalit. Attingere acqua alla fontana dei dalit. Sedermi a scuola o in chiesa sui banchi riservati ai dalit. Giocare solo con i dalit. Un giorno ho osato chiedere perché. La risposta di mia madre non si è fatta attendere: "Vuoi farti ammazzare?".
"Ho continuato gli studi, mia madre e i miei fratelli maggiori desideravano che diventassi prete. Sono sempre stato il primo della mia classe: era il minimo che potessi fare di fronte ai sacrifici che facevano per me. A diciannove anni mi sono presentato per entrare nel seminario della mia diocesi. Avevo bei voti, una forte motivazione. Ma sono stato rifiutato: ero un dalit, rischiavo di infangare o almeno di perturbare gli altri giovani che, come me, volevano consacrare la loro vita al servizio di Dio. Il Dio cristiano, del quale tutti siamo figli, e che ci ama tutti nello stesso modo. Avrei potuto voltare le spalle a quella religione che non mi voleva a causa della mia casta. Riconosco di essere un tignoso: dovevo assolutamente raccogliere la sfida. E lottare, dall'interno, contro quel sistema".
"Ho fatto domanda in altre diocesi, in altre congregazioni. I gesuiti hanno accettato di accogliermi. Mia madre mi ha accompagnato fino all'autobus per la città: due giorni di cammino sotto un sole cocente. Camminava con la testa scoperta, come una dalit. Evitavamo con cura di incrociare l'ombra di un bramino. Sa, l'ombra che facciamo quando c'è il sole. Schiacciandola con i nostri piedi, avremmo infangato un individuo di una casta superiore… Quando sono salito sull'autobus, mia madre mi ha detto: "Non voglio niente da te. Consacra tutte le tue forze ad aiutare i nostri". È l'unica volta in cui l'ho sentita fare allusione al sistema delle caste. Eppure ha dovuto soffrire la discriminazione, piangere vedendo i suoi figli considerati come impuri…".

Imporre le mani, quindi toccare

Lourdunathan è stato ordinato. Da un vescovo che ha accettato di procedere alla cerimonia di imposizione delle mani - che implica di toccare l'intoccabile, cosa alla quale non tutti i gerarchi cattolici indiani acconsentono automaticamente. Anche se testardo, è stato obbligato a piegarsi ad alcune regole. Per esempio, concelebrare la messa quando è fuori dalla sua parrocchia, in modo che i fedeli delle caste superiori possano ricevere la comunione da un prete della loro casta. Inumare i morti dalit nei cimiteri che sono loro riservati - altri cimiteri accolgono i non dalit. Ammettere - tollerare, precisa - che un prete che accoglie un omologo dalit nella sua parrocchia, per celebrare una messa, proceda in seguito ad una purificazione del calice insudiciato dalle mani impure.
Tutto questo è niente, dice, rispetto alle atrocità commesse nei confronti dei fuori casta, che siano indù, buddisti, sikh o cristiani. Padre Lourdunathan indica le cifre, implacabili: ogni giorno, in India, cinque dalit sono uccisi e cinquanta case dalit bruciate. Ogni ora, cinque donne dalit sono violentate - le relazioni sessuali non obbediscono alle leggi delle caste. Sono in seguito spesso uccise dai loro familiari, per lavare l'onore. "E tutto questo perché i dalit vogliono liberarsi dalla loro condizione. Essere considerati come umani. Più reclamiamo i nostri diritti, più la repressione è violenta. I nostri aggressori sono generalmente rilasciati senza processo".
Fuori dall'India, la discriminazione continua. Lourdunathan si ricorda del suo primo viaggio all'estero. Era in Francia, due anni fa. Una famiglia indiana cattolica lo aveva invitato a cena. Poi gli ha proposto di continuare la serata dai vicini, anche loro indiani, "per pregare tutti insieme". Per la strada, i suoi ospiti - che ignoravano di avere a che fare con un dalit - hanno cercato di rassicurarlo: "Non tema, i nostri vicini sono di alta casta". Senza dire una parola, il prete ha fatto dietro front e se ne è andato.

In prigione quattro volte
Le sue attitudini oratorie le esercita in India. Fra gli otto vescovi cattolici dalit - su un totale di 170 vescovi indiani -, quattro sono stati consacrati a causa della lotta portata avanti tamburo battente da questo gesuita che chiedeva alto e forte la loro ordinazione, al punto di mettere in imbarazzo tutta la gerarchia. Una lotta che l'ha portato quattro volte in prigione. La sua voce ha risuonato talmente forte che i gesuiti hanno finito coll'adottare "l'opzione preferenziale per i dalit" - del resto sono i gesuiti che, a partire dal 1970, hanno favorito il movimento di liberazione dalit. Si è abituato a difendere le cause perse, a vedere i processi trascinarsi per anni. Per esempio quello che riguarda una chiesa cattolica, chiusa da quando i parrocchiani dalit hanno chiesto di potersi sedere su qualsiasi panca - e non solo su quelle riservate. Cinque anni fa. Il vescovo del luogo, appartenente alla casta dei bramini, non ha alzato un dito.
Dalle autorità, i dalit non hanno niente da aspettarsi. Soprattutto se sono cristiani: in questo caso non beneficiano più della legge delle quote che riserva una certa percentuale di funzioni (o di posti a scuola o all'università) ai dalit. "La legge indiana non ha mai abolito il sistema delle caste, ricorda padre Lourdunathan. Ha semplicemente abolito l'intoccabilità - che tuttavia continua a perpetuarsi nella pratica". Perché non se ne parla mai nei cenacoli internazionali? "La parola indiana è stata a lungo confiscata dalle alte caste, che avevano accesso al sapere e alle funzioni superiori. I governi indiani successivi hanno, dal canto loro, considerato che la questione dei dalit era un affare interno. Visto che il mercato indiano è gigantesco, tutti gli altri paesi chiudono gli occhi. Per fare un paragone, il mercato sudafricano ai tempi dell'apartheid era molto più limitato, e il boicottaggio del Sudafrica non aveva sconvolto l'economia mondiale. Tuttavia il nostro sistema è più temibile di un apartheid. Perché la sua essenza stessa è religiosa: nasce dall'induismo e dall'induismo è giustificato".
Padre Lourdunathan continuerà la sua lotta. A rischio di ritrovarsi in prigione. "Non ho niente da perdere, tutto da guadagnare. Perché diavolo dovrei tacere?".



(da Adista, n, 14, 15 febbraio 2003. Questo articolo è comparso sul mensile francese Actualités des religions, gennaio 2003)
Letto 1851 volte Ultima modifica il Lunedì, 17 Dicembre 2007 08:34
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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