Ecumene

Martedì, 24 Gennaio 2012 21:26

In preghiera con le religioni (Brunetto Salvarani)

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Ritorno ad Assisi, dopo 25 anni. L'incontro ha avuto per titolo "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo"; "Pellegrini della verità, pellegrini della pace". L'invito rivolto anche a figure del mondo della cultura e a non credenti.

Non è frequente che un papa torni in un luogo per fare memoria di uno specifico atto del predecessore. Eppure, per Benedetto XVI è già la seconda volta che questo accade. La prima fu quando, ventiquattro anni dopo la storica visita di Giovanni Paolo II (13 aprile 1986), varcò la soglia della sinagoga di Roma: era il 17 gennaio 2010, e la data non fu certo casuale, coincidendo con la tradizionale Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei della CEI.
Ora, lo scorso 27 ottobre 2011, il meccanismo si è ripetuto, e il pontefice, insieme a vari rappresentanti religiosi, è salito ad Assisi per ricordare la Giornata mondiale di preghiera per la pace fortemente voluta da Giovanni Paolo II il 27 ottobre di un quarto di secolo fa. Un momento che rappresentò, per molti versi, una novità assoluta nella storia delle relazioni interreligiose: per la prima volta un gran numero di esponenti delle diverse religioni planetarie si ritrovavano assieme per pregare e testimoniare la natura profonda della pace, la sua qualità trascendente. La convinzione che ispirava il papa polacco, in un clima segnato dalla guerra fredda, era che «la preghiera e la testimonianza dei credenti, a qualunque tradizione appartengano, possono molto per la pace nel mondo». Si scrisse all'epoca che l'incontro di Assisi fu un caso esemplare di gesto profetico, di azione che inaugura un orizzonte altro rispetto alla ripetitività del quotidiano, tipico della pedagogia dei gesti così cara al futuro Beato. Come altre volte, al livello alto della gerarchia alcuni gesti divennero così occasione solenne e irreversibile per affermare de facto una comunione in realtà ancora distante. La scelta fu dunque di incidere non tanto su un piano teologico-dottrinale quanto su quello simbolico: un piano che non avrebbe abbandonato più in seguito. Ricordando alla rinfusa, avvenne lo stesso al muro occidentale del tempio di Gerusalemme (2000), alla moschea di Damasco (2001); ma anche con il mea culpa nell'anno del grande Giubileo, le visite ad Auschwitz, Hiroshima, Sarajevo, Beirut, Gorée, e così via.
   
Memoria di un gesto storico

«Cari fratelli e sorelle, (...) nel prossimo mese di ottobre mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace». Queste le parole con cui Benedetto XVI, dopo il primo Angelus dell'anno 2011 e a poche ore dall'orrenda strage di cristiani copti che uscivano dall'Eucaristia ad Alessandria d'Egitto, aveva annunciato la propria intenzione di rilanciare con forza lo spirito di Assisi. Parole che, inevitabilmente, si mescolarono a quelle che, in tutto il mondo, stavano circolando, dense di pesanti interrogativi, alla luce di quell'ennesima tragedia legata alla questione della fede: libertà religiosa, cristianofobia, e anche scontro di civiltà. Un riflesso condizionato, quest'ultimo, che riemerge puntualmente in seguito all'attentato dell'11 settembre 2001 da parte di numerosi cronisti, che il papa ha scelto di non fare proprio. Anzi. La sua risposta, pienamente in linea con la strategia conciliare suggellata dalla dichiarazione Nostra aetate, è andata in direzione esattamente opposta: non era scontato, e anzi ha lasciato apertamente delusi quanti invece hanno ormai introiettato l'immaginario dello scontro di civiltà. Già nel 2006, del resto, egli aveva parlato del primo Assisi come di "una puntuale profezia".
   
Giornata di riflessione dialogo e preghiera

L'evento del 27 ottobre scorso ha avuto per titolo ufficiale Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, e come sottotitolo Pellegrini della verità, pellegrini della pace. Perché, hanno spiegato gli organizzatori, ogni essere umano è pellegrino in ricerca della verità (parola chiave dell'odierno magistero) e del bene. Il sottinteso è che l'uomo religioso è sempre in cammino verso Dio: da qui nasce la possibilità, anzi la necessità di parlare e dialogare con tutti, pur senza rinunciare alla propria identità; nella misura in cui il pellegrinaggio della verità è vissuto autenticamente, esso apre al dialogo con l'altro, non esclude nessuno e impegna tutti a essere costruttori di fraternità e di pace.
Lo stesso papa ha vissuto nell'occasione la dimensione del pellegrinaggio, partito in treno alle otto di mattina dal Vaticano per raggiungere la cittadina umbra. Un'altra novità rispetto al 1986 ha riguardato l'invito rivolto a figure eminenti del mondo della cultura, anche non credenti: dalla psicanalista e linguista bulgaro-francese Julia Kristeva all'italiano professore di filosofia alla UCLA di Los Angeles Remo Bodei, dall'economista austriaco Walter Baier, che coordina la Rete Transform, al messicano Guillermo Hurtado, filosofo dell' Istituto de Investigaciones Filosoficas dell'Università di Mexico Unam. Se Giovanni Paolo II intuiva che le religioni, sconfinando nel fondamentalismo, avrebbero fomentato guerre e logica del conflitto, ad Assisi aveva misurato la loro forza che allora la cultura occidentale sottovalutava, avendo fatto proprio piuttosto il paradigma più modernità, meno religione; nell'incontro attuale papa Ratzinger ha potuto registrare positivamente il capovolgimento di questo paradigma nell'arco di venticinque anni. Ora anche gli agnostici e gli atei hanno accettato la sua proposta di coinvolgimento. Ma non è stato questo l'unico cambiamento da lui voluto. Basti pensare all'assenza di spazi pubblici di preghiera delle religioni, con l'obiettivo evidente di eliminare ogni ipotesi di orazioni comuni, eliminando così una delle principali obiezioni mosse al primo Assisi (il rischio di relativismo, di considerare cioè tutte le religioni, in fondo, uguali).
Nel discorso fatto alla mattina nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, davanti alla Porziuncola dove trovò rifugio San Francesco, dinanzi a ortodossi ed ebrei, musulmani e buddhisti, hinduisti e jainisti, sikh e (per la prima volta) bahai, confuciani, taoisti e shintoisti, Benedetto XVI ha recitato un coraggioso mea culpa: «Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna». Oggi, invece, le fedi sono chiamate a fare la loro parte contro il terrorismo e contro qualsiasi strumentalizzazione della guerra, e tornare a essere forza di pace. Per questo, risulta determinante, in vista di tale obiettivo, il coinvolgimento dei non credenti: a fianco del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, al rabbino Rosen e al primate anglicano Rowan Williams, per non citare che qualcuno degli oltre trecento leader religiosi presenti per l'occasione, il pontefice ha prospettato a tutti un cammino comune. «Le parole di Giovanni Paolo II Non abbiate paura! - ha detto la Kristeva - non sono indirizzate unicamente ai credenti. L'appello del papa ci spinge nel costruire delle complicità tra l'umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal Rinascimento e dall'Illuminismo, ha l'ambizione di aprire le strade rischiose della libertà». Ratzinger ha risposto mostrando grande rispetto per «le persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità». E che per questo di fatto si pongono come decisivi collaboratori del dialogo e della pace, perché «spingono i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio - il vero Dio - diventi accessibile".
Un richiamo, quello di un sentiero da condividere, che è tornato a più riprese nel corso del pomeriggio, quando dopo un pranzo frugale, in Piazza San Francesco, si è tenuto il Rinnovo solenne dell'impegno per la pace, con la consegna ai capi delle delegazioni di una lampada, copia di quelle presenti sulla tomba del Poverello di Assisi. Con un significativo abbraccio fra i presenti, a testimoniare una fraternità almeno auspicabile, e forse possibile.

Lo spirito di Assisi da custodire intatto

Ci si può attendere che i commenti alla Giornata saranno di segno diverso: anche perché il dialogo interreligioso è oggi segno di contraddizione e realmente caso serio; oltre che terreno minato per eccellenza da ogni punto di vista, il cui andamento è giudicato in fase critica se paragonata alle notevoli speranze suscitate al riguardo dalla stagione conciliare. Per questo, di là dalle valutazioni a caldo, inevitabilmente frammentarie, occorrerà riprendere il discorso in seguito. Per ora, è doveroso evidenziare in primo luogo l'indubbio impatto mediatico ottenuto da quanto è accaduto ad Assisi, pur se un po' offuscato da altri eventi concomitanti. In altri termini, il messaggio pervenuto al popolo di Dio e al classico uomo della strada è che dalla scelta forte dell'apertura alle altre religioni, da parte cattolica, non si torna indietro. Un messaggio paradossalmente ancor più rafforzato dalla notizia - data in conferenza stampa dallo stesso cardinale Peter Tuckson, presidente del pontificio Consiglio Giustizia e Pace, organizzatore dell'evento - secondo cui nei mesi precedenti in Vaticano sono arrivate non poche proteste, di parte reazionaria e anticonciliare, nel timore che si trattasse di una sostanziale svendita della verità cristiana.
In secondo luogo, si può affermare che le sottolineature di Benedetto XVI non solo non hanno snaturato la felice intuizione wojtyliana, mescolando sapientemente fedeltà e novità, ma anzi l'hanno aperta ulteriormente verso un confronto sempre più urgente con il mondo della cultura e della scienza, nella direzione del lavoro che il Cortile dei gentili guidato dal cardinal Ravasi sta conducendo da tempo. Assisi ha infatti rappresentato un incontrarsi delle religioni non contro chi religioso non è, ma un confronto per riaffermarne la comune volontà di porsi a servizio dell'umanità e delle culture.
Inoltre, sembra innegabile che le altre personalizzazioni, dall' enfasi sul silenzio alla valorizzazione della dimensione del pellegrinaggio, intercettino una sensibilità ormai diffusa, facendo immaginare innovativi scambi sul versante della spiritualità. Non a caso, del resto, l'ambito più avanzato a tale proposito è rappresentato dal Dialogo interreligioso monastico (DIM). Infine, grazie all'incontro del 27 ottobre, abbiamo colto per intero la necessità di custodire intatto lo spirito di Assisi, in una stagione che registra un vistoso disorientamento generale a causa del pluralismo religioso e culturale, del processo di meticciamento, delle enormi migrazioni dal sud al nord del pianeta. Se il dialogo, esercizio certo non facile, è il rischio del non ancora e dell'altrove, non nega le differenze e non le annulla; anzi, richiede le differenze e le mantiene, ma abbatte gli steccati e costruisce ponti sulle voragini che abbiamo scavato per separare noi dagli altri e gli altri da noi. Ecco perché è stato giusto, e ci auguriamo porti molti frutti, il ritorno ad Assisi di un papa troppo frettolosamente ritenuto da tanti commentatori tiepido nei confronti degli itinerari del dialogo: «continueremo a incontrarci, continueremo a camminare insieme». Un auspicio che è più di una speranza, è un impegno preciso.

Brunetto Salvarani

(da Testimoni, anno 2011, n. 19, p. 1)
 

Letto 2656 volte Ultima modifica il Martedì, 24 Gennaio 2012 21:40
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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