Ecumene

Domenica, 28 Ottobre 2012 11:44

Chiavi per preservare il Karma (Virginie Larousse)

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Mescolando apporti greco-babilonesi, nozioni specifiche della cultura indù e calcoli sofisticati, l'astrologia impregna profondamente la società indiana. Ma se ogni avvenimento della vita è sottoposto al parere di un astrologo, il libero arbitrio individuale continua a primeggiare.

Krishnamurti (1895 - 1986), grande pensatore di origine indiana, racconta che fin dall'indomani della sua nascita, la sua famiglia chiese a un astrologo di realizzare il suo tema astrale. La pratica può sembrare stravagante ai nostri occhi di Occidentali, più abituati a considerare l'astrologia come una superstizione che come uno strumento capace di aiutarci a vivere meglio. Ma è corrente in India. La scienza degli astri impregna profondamente la società: a ogni grande evento della vita (anniversario, problema di salute, problema professionale o familiare) ci si affretta a cercare l'opinione di un astrologo. Questa disciplina, chiamata jyotisha in sanscrito («scienza della luce») è considerata come un dono che Brahma, il Creatore, ha trasmesso agli uomini per consentire loro di dissipare le tenebre dell'ignoranza, per l'intermediario dei grandi saggi o veggenti, i maharishi.

Astronomia e testi vedici

Tuttavia le origini dell'astrologia indiana non sono così antiche come alcuni vorrebbero far credere. Infatti anche se si dà normalmente al jyotisha il nome di «astrologia vedica», il Veda - corpo dei libri sacri della cultura indù, compilato verso il 1300 - 1100 a.C. - non contiene in realtà nessun riferimento all'astrologia quale è concepita oggi, cioè nel senso di oroscopia individuale. I testi vedici attestano invece l'estensione delle conoscenze astronomiche di quei tempi lontani: 'Atharva Veda contiene non meno di 165 versetti relativi all'astronomia, e menziona prescrizioni rituali da compiere nel tempo di certe configurazioni astrali, indicando i giorni di buon augurio e quelli di cattivo augurio. L'idea di un influsso degli astri sull'uomo è dunque riconosciuta, ma i pianeti non svolgono apparentemente, per il momento, che una minima parte nelle pratiche divinatorie alle quali tanto si dedicavano gli Antichi.

Sarà sotto l'influenza della cultura babilonese, e poi greca, che si svilupperà l'astrologia in India. Quando nel secolo VI a.C. gli eserciti del Persiano Dario I raggiungono gli attuali Pakistan e Afganistan, gli Indiani prendono contatto con l'astrologia mesopotamica. Più tardi, nel IV secolo - al tempo della campagna di Alessandro Magno - lo jyotisha si arricchisce delle conoscenza astrologiche greche. Non ci si può dunque meravigliare se il primo manuale di astrologia genetliaca [1] - che si interessa del cielo di nascita di un individuo - conosciuto in India sia l'opera di un certo Yavanesvara, il cui nome significa il «signore dei Greci». Verso il 149 egli traduce in sanscrito un trattato astrologico scritto ad Alessandria verso la fine del I secolo e ne approfitta per spiegare ai suoi omologhi indù i grandi concetti dell'astrologia greca. L'opera è oggi perduta, ma ne sussistono dei frammenti attraverso un adattamento in versi realizzato nel 269-270, il Yavana Jataka (L'Oroscopia dei Greci).

Vahara Mihira il maestro dello jyotisha

Bisogna attendere il IV secolo della nostra era perché lo jyotisha si espanda veramente sotto l'impulso di colui che è per l'astrologia indiana quello che è Tolomeo per l'astrologia greca: Vahara Mihira (circa 507-587). Dall'alto del suo osservatorio istallato a Ujjain (Madhya Pradesh), egli moltiplica le osservazioni, che consegnerà in numerose pubblicazioni, delle quali le più celebri sono il Panchasiddhantha (cinque volumi), i Siddhantha (quattro trattati) e soprattutto il Brihat Jataka (Grande libro delle nascite), vera bibbia degli astrologhi indiani. Vahara Mihira distingue tre rami nell'astrologia indiana: il primo, puramente tecnico, corrisponde alla nostra astronomia; l'astrologia naturale (samhita) dà previsioni di ordine generale (politiche, economiche...); l'oroscopia (ahorta) è orientata verso le previsioni individuali. Una nuova tappa viene superata con la redazione, in una data controversa (verosimilmente nel VII o VIII secolo), del Brihat Parashara Hora Shastra (Il Grande studio del tempo di Parashara), che si presenta come un dialogo fra il mitico maharishi Parashara e un suo discepolo: l'astrologia indiana acquista complessità, i suoi calcoli si fanno più sofisticati. Ormai sono gettate le basi perché la scienza degli astri indiana si diffonda su altre culture, influenzando specialmente l'astrologia araba.

La conseguenza dei propri atti

Tuttavia sarebbe illusorio credere all'esistenza d una astrologia soltanto indiana. È chiaro infatti che lo jyotisha deve tanto alla scienza greco babilonese quanto alle sue proprie radici sanscrite. L'India prende dall'astrologia occidentale i dodici segni (rashis) dello zodiaco, i pianeti (eccetto Nettuno, Uranio e Plutone), l'ascendente e varie concetti fondamentali. Ma essa unisce all'apporto greco babilonese gli elementi specifici della cultura indù, integrando in particolare la nozione fondamentale del karma [2]: i maestri dello jyotisha studiano anche il residuo karmico delle vite anteriori nel tema di un individuo e ricercano in quale maniera questo karma si esprimerà in avvenire. Inoltre lo jyotisha si fonda su calcoli che gli sono propri: utilizza lo zodiaco siderale, basato sulla posizione delle stelle nel cielo, e non lo zodiaco tropicale (corrispondente al ritmo delle stagioni) degli Occidentali - così non si ha lo stesso segno astrologico nel sistema indiano e nell'astrologia occidentale, cosa che suscita molte critiche fra gli oppositori dell'astrologia; gli Indiani sovrappongono inoltre all'astrologia solare una astrologia lunare, e suddividono per conseguenza lo zodiaco in 27 dimore lunari. Bisogna tuttavia guardarsi dal pensare gli Indiani come degli esseri fatalisti, rassegnati alla sorte che è prevista per loro dagli astri. Se questi sono loro sfavorevoli, rituali religiosi, amuleti, ascesi o preghiera consentiranno a loro di scongiurare la mala sorte. In ogni modo la dottrina del karma conferisce all'uomo il libero arbitrio quanto al suo divenire. Se gli astri non gli sono propizi, non è che la conseguenza di atti cattivi che l'individuo ha compiuto in questa vita o in una precedente. Egli ne è dunque l'unico responsabile: a lui di agire in modo di ritrovare la via dell'armonia.

Virginie Larousse

[1] Da greco genethlé, «nascita».

[2] Il karma corrisponde all'idea che la vita di una persona è determinata dalle azioni che essa ha compiuto prima, in una o varie vite anteriori.

(Le monde des religions, n. 42, juillet-août, 2010, p. 34)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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