Ecumene

Giovedì, 23 Gennaio 2014 19:07

Il martirio e la memoria (Vladimir Zelinskij)

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Il secolo scorso ha scritto una pagina molto ricca nella storia della sofferenza. Ora questa pagina appartiene al passato, oggi si legge un'altra pagina, la pagina successiva, ove sono vergati altri mali, altre sofferenze. La storia delle tribolazioni continua nella Russia d'oggi, ma questa è già un'altra storia.

Il crimine di sopravvivere

Vi sono svariati tipi di persecuzione, come esistono diverse strade del martirio. Io, personalmente, ho visto e – in modo molto modesto e limitato – ho anche vissuto in Russia la persecuzione per soffocamento. L'ippopotamo burocratico stringe il respiro dello spirito umano semplicemente con il suo corpo, troppo ingombrante, senza spargimento di sangue, senza che neanche ci si accorga del suo modo di comportarsi e del suo peso. Nessun persecutore, soprattutto nell'ultimo periodo dell'asfissia – parlo degli ultimi anni del regime sovietico –, si poteva confessare come tale. Anzi, si sarebbe molto stupito e arrabbiato, se qualcuno lo avesse definito pubblicamente nemico della libertà di coscienza. Il regime si considerava in coscienza come l'incarnazione stessa della giustizia e la sua politica nei confronti della religione era la suprema forma di libertà.

Abbiamo già accennato al segreto politico o, meglio, filosofico della persecuzione della vita religiosa nell'Unione Sovietica nel periodo compreso fra il 1918 e il 1991. Nel martirio stesso, nella maniera di viverlo e di subirlo – soprattutto nell'ambito ortodosso – c'è una sorta di oblio, nobile e silenzioso, dei vessatori. C’è il rifiuto di ricordare i colpevoli e la riluttanza ad entrare nei motivi e nelle circostanze del martirio imposto – se non quelle della Provvidenza. Ma, se vogliamo veramente ricordare questi martiri, dobbiamo capire le cause del loro martirio o almeno poter formulare una semplice domanda: perché? Perché, ad esempio, la maggior parte delle Chiese russe erano morte, ridotte alle condizioni di chiese-cadaveri, decorate e restaurate nelle grande città e nei centri turistici (come, ad esempio, gli edifici del Cremlino o la famosa chiesa di San Basilio), ma abbandonate ad una lunga e triste rovina su tutto il resto del territorio di una sesta parte del pianeta? Con nostra sorpresa, i turisti occidentali che visitavano l'Unione Sovietica negli anni '60-'70-'80 raramente si ponevano questa domanda. Noi, però, che non eravamo turisti, vivevamo dentro questo interrogativo. Per spiegare, perciò, la natura della persecuzione religiosa, diversa sul piano dell'accanimento nei paesi che vivevano sotto una stessa dittatura (ma in principio omogenea dappertutto), occorre andare all'origine del sistema, nato dalla mente dell'ideologia che si è trasformata nello Stato. Questo Stato voleva essere filosofico e la sua dottrina sin dall’inizio ha dichiarato e ha continuato a dichiarare che la religione, in quanto strumento spirituale di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, fosse destinata a morire. Perché non ci sono più – affermava questa filosofia – le base economiche per un qualsiasi sfruttamento: d’ora in poi l’uomo è liberato definitivamente dalle chimere del passato. Il compito dello Stato diventa quello di creare una situazione favorevole per la morte assistita del millenario inganno: la fede nell’aldilà. La religione da sola non muore. Ed allora, secondo la logica dell’utopia, serve la mano di un nemico che la ravvivi per utilizzarla contro lo Stato. La sua stessa esistenza è assurda perché le condizioni sociali che l'hanno generata sono già state distrutte in modo rivoluzionario. Il fatto che qualcuno non si pieghi all'inflessibile logica della storia costituisce un delitto in sé. Lo si può chiamare crimine della sopravvivenza, nonostante il "progetto" ideologico. L’esistenza stessa di un’altra fede contiene già in sé una sfida al regime, alla sua fede nell’utopia del futuro. Questo crimine deve essere punito, come esemplarità per gli altri. Se la morte naturale non avviene, lo Stato impone una morte violenta. Ma questa violenza non è nient'altro che una necessità storica – com’è spiegata negli scritti di Marx e realizzata dal sistema fondato da Lenin.

Così la logica immaginaria e l'implacabile dottrina astratta si trasformano in una logica molto reale di persecuzione. La morte della religione era programmata sin dall'inizio. Questo era lo schema. Vediamo com’è stato applicato nella storia concreta.

Le quattro stagioni della persecuzione

La Chiesa ortodossa in Russia (come tutte le altre comunità religiose) ha vissuto per settant'anni in uno stato di oppressione più o meno sistematica. Esattamente il tempo della cattività babilonese. Questa cattività, però, non era omogenea e uguale nel suo furore, né nella sua linea di continuità. Con una certa precisione storica si può dividere questa storia di persecuzione in cinque periodi. Occorre ricordarli in modo sintetico cogliendone il senso storico e spirituale.

1918: il potere è caduto dal cielo sulle teste dei nuovi padroni della storia e subito questi hanno cominciato il loro «attacco al cielo» (una espressione propagandistica e quasi ufficiale dell’epoca). Questo primo periodo dura dalla fine del 1917 fino al 1929. È l'epoca dell'offensiva generale di un'ideologia vincente e che non può sopportare nessun altro rivale sul proprio territorio, nessun'altra fede, se non la propria. È l'epoca della primavera della persecuzione.

L'escatologia materialista – una religione al rovescio che si era impadronita del potere – era sicura di avere tutta l'eternità davanti a sé. Questa religione ha cominciato a costruire una propria chiesa d’infedeli e di non credenti, davanti alla quale tutte le altre fiamme della vita spirituale avrebbero dovuto spegnersi. Ma in questa epoca primaverile, quando la testa dell’utopia era un po' effervescente, si poteva conoscere non soltanto la fanatica intolleranza, ma anche uno spirito di vendetta metafisica e demoniaca, volto contro la fede che non era riuscita a costruire il Regno di Dio sulla terra. Il regime nato dalla Rivoluzione del 1917, nel proprio subconscio, per così dire, ha voluto sostituire lo stesso Regno ma avendone scacciato Dio.

Da questa fonte deriva una rabbia che è difficile da comprendere in termini razionali. Distruggere la Chiesa è molto più facile che costruirla, ma ad ogni modo anche la distruzione è un lavoro serio. Le chiese in Russia, come dappertutto, erano costruite in modo molto solido; per raderne una al suolo ci vuole l'impegno di almeno una decina di uomini. Ma per radere al suolo due, tre, quattro, diecimila chiese? Un esercito! Composto da chi? Gli ordini e gli slogan potevano arrivare dal Centro, ma il lavoro fisico e manuale della distruzione spesso era svolto dagli stessi contadini, dagli ex-parrocchiani o dai figli di buoni parrocchiani. Come si può spiegare questa rabbia profanatrice? Ricordo la storia – vera – di alcuni soldati dell'Armata Rossa che durante la guerra civile, dopo aver bevuto tutta la notte, presero il sacerdote della chiesa locale e sotto la minaccia dei fucili lo costrinsero a celebrare la divina liturgia. Dopo che il pane e il vino furono consacrati, essi li fucilarono in quanto Corpo e Sangue di Cristo. Quale follia si è impadronita di loro e li ha trasformati nel suo strumento? La Rivoluzione del 1917 ha generato uno Stato deicida. Ma la cosa peggiore è che ha risvegliato anche una parte demoniaca nell'uomo – quella parte nascosta, che dorme in qualsiasi essere umano, in qualsiasi popolo e che in circostanze favorevoli può esplodere come un’epidemia.

Occorre aggiungere che i crimini, anche quelli spirituali, hanno sempre conseguenze sul destino delle persone che li commettono. Se guardiamo all'epoca successiva, notiamo che nessuno tra quanti hanno provato questa droga dell’empietà ha avuto una fine tranquilla. Dopo l'epidemia della profanazione è giunta l'epidemia dei suicidi (soprattutto negli anni '20) e sono arrivate le purghe staliniane, di modo che quasi nessuno della vecchia guardia leninista e idealista è riuscito a sopravvivere. Ma, a volte, nella loro tarda vecchiaia, come il buon ladrone della croce, hanno potuto essere toccati dal pentimento o dalla paura irresistibile del giudizio e la conversione li ha raggiunti in modo inaspettato, quasi violento e, spesso, alla vigilia della morte.

La morte dell'arcivescovo Andronnik (Nicolskij)

Vorrei citare una breve storia relativa all'esecuzione di un vescovo nel periodo della guerra civile, quando tutto era possibile.

«Il capo della polizia ha teso la vanga all'arcivescovo Andronnik e gli ha ordinato di scavare la tomba. Per la sua debolezza, l'arcivescovo scavava lentamente e i boia lo aiutavano. Appena la tomba fu pronta, il capo della polizia ordinò:

Dai, mettiti là.

La tomba, però, era troppo corta per lui. L'arcivescovo ha scavato ancora per liberare lo spazio per le gambe, ma la tomba si è rivelata troppo corta per la seconda volta e lui ha scavato ancora e ancora per allungarla. Finalmente, quando il lavoro è stato terminato, l'arcivescovo ha chiesto il permesso di pregare. Glielo hanno concesso. Egli ha pregato circa dieci minuti. Poi, si è girato verso le quattro direzioni per benedire la terra, per pregare per il suo gregge di Perm, e ha detto: sono pronto».

Una storia come le altre, ma occorre sottolineare che si tratta solo dell'inizio. Quest'epoca deve rimanere nella memoria della Chiesa: quella dei processi spettacolari contro le autorità della Chiesa, delle fucilazioni arbitrarie, delle torture, delle profanazioni dei luoghi di culto, dell’apertura beffardamente ingiuriosa delle reliquie, delle prese in giro collettive, degli scherni atei, ecc. Un tratto caratteristico di questa primavera della persecuzione e che non si ripeterà più tardi: in quest'epoca non ci si vergognava della violenza, non la si nascondeva, non si aveva paura di esporsi in pubblico. Ci si permetteva di essere diretti e non si giocava a nascondino, come avverrà regolarmente più tardi.

Quante chiese sono state profanate, demolite o distrutte in quel periodo? Difficile fare un conto. Si sa che da circa 78.000 parrocchie e cappelle ortodosse aperte al culto nel 1917 ne restavano appena qualche centinaio all'inizio dell'invasione tedesca nel 1941. Secondo i dati pubblicati recentemente, più di 100.000 membri del clero ortodosso sono stati fucilati o mandati nei campi di concentramento, dove la maggior parte di loro ha perso la vita.

Il ragionamento del potere poggiava sul solido argomento dell'economia politica. È sufficiente prendere dalla Chiesa tutta la sua cosiddetta base materiale, cioè le terre, le proprietà, i mezzi, le scuole – nel periodo della confisca dei beni ecclesiali del 1922, anche i calici e le icone e gli stessi luoghi del culto –, perché la fede muoia da sola, soprattutto se questa morte è accelerata da qualche pugnalata o da un veleno somministrato. Nonostante questa base materiale (termine preso in prestito dal materialismo storico) sia stata completamente distrutta negli anni '20, in quel periodo la vita religiosa ed ecclesiale è diventata ancor più attiva, più viva. Fiorivano le fraternità clandestine, le comunità guidate da sacerdoti dotati di un grande carisma personale, la ricerca di nuove forme di vita liturgica e spirituale. Il veleno più dannoso, però, non era la violenza diretta, ma l'arma segreta dello scisma. La polizia politica, se non ha inventato, ha comunque favorito grandemente la nascita e lo sviluppo di Chiese ortodosse parallele – quelle cosiddette della rinnovazione (la Chiesa viva, l’Unione delle Chiese apostoliche, ecc), che mettevano insieme con successo le riforme liturgiche e canoniche con le delazioni e la stretta collaborazione con la polizia. Ma questa politica ha ottenuto un'altra cosa: la concentrazione della fede su se stessa, sulla sua essenza, sulla sua testimonianza iniziale.

La morte del metropolita Veniamin

Nel 1922, a seguito della guerra civile e del cattivo raccolto, una grande carestia colpì la Russia. Il governo bolscevico decise di combattere la fame e la Chiesa contemporaneamente o, meglio, di schiacciare la Chiesa sotto il pretesto dell'aiuto alla popolazione affamata. All'inizio il potere ha proposto la collaborazione, cioè, in altre parole, la consegna benevola di tutte le cose preziose che la Chiesa possedeva – e quest'ultima ha dato il suo pieno accordo. Ma subito dopo la politica è cambiata: niente collaborazione, niente aiuto volontario, tutto ciò che la Chiesa possedeva veniva sottratto, se necessario con la forza. La violenza aperta e profanatrice in un paese ancora cristiano e contadino ha provocato alcuni scontri che hanno avuto poche vittime da parte dei sequestratori, come anche da parte dei difensori delle chiese. Questo simulacro di resistenza in due o tre posti è stato subito utilizzato per un'offensiva massiccia e frontale contro tutta la Chiesa ortodossa. Ha avuto così inizio una seria di processi, il più famoso dei quali fu il processo contro il metropolita di Pietrogrado, Veniamin e contro i suoi collaboratori più stretti.

Veniamin era un uomo semplice, di grande umiltà e di fede profonda e senza alcun interesse materiale. Egli era il primo vescovo eletto dal clero e dal popolo, secondo lo statuto del Concilio di Mosca del 1917. Per quanto riguarda l'aiuto agli affamati, lui per primo scrisse un appello al suo clero per fare sacrifici, ma non poté evitare la trappola già preparata per lui. L'esito del processo fu deciso anticipatamente al Cremlino: il metropolita Veniamin fu condannato a morte con tre dei suoi collaboratori. Lui, come tutti gli altri, si comportò con grande dignità e con fiducia assoluta nella volontà di Dio.

I corpi dei quattro fucilati, fra cui il metropolita Veniamin, non sono mai stati ritrovati. Al primo Concilio della Chiesa russa dopo la caduta del comunismo (1991), tutti e quattro sono stati canonizzati.

Il caldo della persecuzione

La persecuzione a quest'epoca poteva essere brutale, profanatrice, blasfema, dimostrativa, provocatrice, ma essa si realizzava nello stile dell'attacco, ma non come un gigantesco compressore che schiaccia ogni cosa. Questo compressore è stato messo al lavoro nel 1929 e ha funzionato senza intervalli fino al 1941, anno dell'inizio della guerra. La persecuzione degli anni Venti è diversa da quella degli anni Trenta, come le leggi antisemite e i pogrom sono diversi da Auschwitz. La primavera si è mostrata soltanto un preludio all'estate, con il suo caldo insopportabile.

Questo periodo ha cominciato con l'organizzazione dei kolchoz (che ha provocato la crisi dell'alimentazione, durata fino al crollo del regime). La nascita d'ogni kolchoz è stata accompagnata sempre dalla deportazione dei contadini ricchi (per essere ricco era sufficiente avere due mucche e qualche pecora), con i loro bambini piccoli ed i vecchi di novant'anni e dalla chiusura della chiesa locale e dall'arresto del sacerdote. Dopo l'arresto, le tracce del sacerdote, di solito, spariscono. Il lavoro del compressore diventa sistematico. Era previsto anche il piano quinquennale senza Dio. Voleval dire che entro il 1942 doveva essere chiusa ultima chiesa sul territorio sovietico. (Un piano, come sappiamo, che è stato realizzato solo in Albania). Il sogno deicida che faceva parte dell'utopia fin dall'inizio si è fatto carne nella piovra della polizia segreta – onnipresente, onnipotente.

A questo punto i tentacoli dello stato sovietico non ponevano più una particolare distinzione fra reazionari e rivoluzionari, fra clero del cosiddetto rinnovamento e clero tradizionale. La purga staliniana, soprattutto negli anni ‘37-’38, non si accontentava di un solo nemico da abbattere. Il terrore era indirizzato in tutti i sensi. Sotto lo stesso pretesto di attività antisovietica e di progettare un attentato contro Stalin in persona [1] sono stati fucilati e mandati in campo di concentramento sia i comunisti convinti sia i loro nemici, sia i credenti sia i loro persecutori di ieri. Così nella medesima cella, tra la massa compattata dei detenuti, fra i ladri professionisti e gli assassini si potevano incontrare un vescovo ortodosso, un prete cattolico, un presbitero battista accanto al procuratore che li aveva condannati qualche anno prima o il boia che li aveva torturati con le sue stesse mani. Essi dovevano morire tutti, ma uno con il perdono e la preghiera nella luce del martirio, un altro con l'odio e lo stupore di fronte all'assurdità del proprio destino.

La vita del metropolita Serafino

Prendiamo un'altra storia, iniziata ancora a metà del XIX secolo, la storia del metropolita Serafino Ciciagov. Nipote e figlio di ammiragli della marina russa, proveniente da famiglia nobile, anche Leonid (il suo nome laico) aveva cominciato la propria carriera come ufficiale. Ma all'età di trentasette anni egli aveva lasciato tutto per diventare sacerdote. Dopo la morte della moglie era diventato monaco, assumendo il nome di Serafino, in onore di San Serafino (che fu proclamato santo proprio grazie all'insistenza e al lavoro di Ciciagov, autore di un libro sul suo protettore celeste). Serafino Ciciagov entra nella nuova epoca post-rivoluzionaria già sessantenne. Negli anni Venti era stato arrestato qualche volta, ma le sue pene non furono troppo lunghe: sei mesi, un anno – a quell'epoca questa era la vita quasi normale di qualsiasi vescovo.

Dal 1928 fino al 1933 Serafino Ciciagov era a capo della grande diocesi di San Pietroburgo. Dopo il suo ritiro, quasi ottantenne, viveva in una piccola casa nei dintorni di Mosca. Il lavoro letterario, la composizione della musica sacra (Ciciagov era pianista e pittore), la paternità spirituale per qualche monaca, la lunga preghiera solitaria: in tale modo avrebbe dovuto finire la sua vita. Ma non fu così. Nell'autunno del 1937, nel pieno grande terrore, il metropolita Serafino fu arrestato. Al momento dell’arresto era malato e per trasportarlo gli agenti della polizia segreta dovettero chiamare l'ambulanza del pronto soccorso. Due mesi dopo il vecchio metropolita ottantatreenne fu fucilato con tanti altri sacerdoti nel villaggio di Butovo, alla periferia di Mosca. Tutti i suoi scritti, anche quelli musicali, vennero confiscati e persi. La sola cosa che è rimasta è un'immagine del Cristo, rivestito col chitone bianco, dipinta quando già era metropolita e regalata alla chiesa del profeta Elia, che si trova nel centro di Mosca a due passi dalla cattedrale di San Salvatore.

In questa chiesa io ho ricevuto il battesimo nel 1971.

Il destino di p. Pavel Florensky

Ancora una storia di un uomo più che eccezionale: padre Pavel Florensky. Non in ogni secolo nascono in Russia uomini come lui. .Il suo nome, grazie alle sue pubblicazioni tradotte in italiano, è abbastanza conosciuto anche in Italia. Teologo, filosofo, ingegnere, fisico, matematico, storico dell'arte, filologo, scrittore... è difficile trovare il talento di cui lui fosse privo. Ancora giovane, appena trentenne, Florensky è diventato famoso per la sua opera Colonna e fondamento della verità, che fino ad oggi rimane la più originale introduzione all'universo spirituale e teologico dell'Ortodossia. Al momento della Rivoluzione egli era già professore all'Accademia teologica di Mosca (situata nel monastero di san Sergio). Ma dopo la chiusura dell’Accademia, all'inizio degli anni Venti, ha cominciato lavorare come ingegnere nella pianificazione dell'elettrificazione dell'URSS. Florensky non cercava il martirio, non per mancanza di coraggio, ma secondo il principio paolino: Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite: poiché non c'è autorità se non da Dio... (Rom 13,1). Per questo motivo rifiutò sempre di emigrare in Occidente dove avrebbe potuto diventare famoso. Ma l’ingegnere-sacerdote era una figura troppo notoria per sopravvivere sotto il regime staliniano; arrestato nel 1932 (già per la seconda volta) Pavel Florensky fu mandato alle isole Solovki. Le sue lettere alla famiglia (Non dimenticatemi, Mondadori, 2006), scritte dal gulag, ci mostrano la pace dell’anima e la sapienza del cristiano alla soglia della morte imminente. Il suo ultimo lavoro intellettuale nel lager fu dedicato all’estraxione dell'iodio dalle alghe e al permafrost. Nel dicembre del 1937 fu arrestato di nuovo nel campo, condannato alla pena capitale e fucilato. Il pretesto giuridico non aveva nessun significato in quell'epoca: per esempio, propaganda antisovietica o addirittura complotto contro il compagno Stalin (un complotto progettato in un lager da cui nessuno poteva uscire e a migliaia di chilometri dal Cremlino!). In una delle sue ultime lettere, Florensky aveva scritto ai figli: «tutto ciò che io ho fatto in tutta la mia vita è stato di esprimere l'integrità organica della creazione, di rappresentare il mondo nella sua unità». Aveva cinquantacinque anni.

La grazia e il giudizio

Inutile moltiplicare gli esempi. Il momento di cui parliamo era un tempo di grazia e del giudizio per tutta la Chiesa Russa, per l’intero paese. La testimonianza vera provoca il fiume della grazia che rimane nella Chiesa per sempre. La grazia visibile (vale a dire la canonizzazione, la glorificazione dei santi) arriva solo adesso, con un ritardo prudente, ma il deposito della grazia data alla Chiesa, alla famiglia cristiana intera rimane nascosta e latente. Essa si apre lentamente ed in modo discreto. Ma questo deposito appartiene a tutti, perché, sebbene invisibile, esso fa parte di quest'eredità che riceviamo come figli.

Dobbiamo parlare, però, non solo della grazia, ma anche dell'amarezza. Accanto al martirio c'è sempre la debolezza, l'infedeltà, la falsa testimonianza. Dopo la sparizione della Chiesa rinnovata, è giunta un'altra tentazione, quella del compromesso con un potere apertamente anticristiano. Non soltanto il compromesso degno, ragionevole, necessario per la sopravvivenza, ma il compromesso senza frontiere dove sotto i motivi umani – troppo umani – si poteva trovare alcuna traccia del volto di Cristo. Ho menzionato la piovra che rivestiva la Chiesa da tutte le parti. A quest'epoca essa è divenuta più vorace, ma anche molto pudica. Nell'età matura essa odiava essere vista dall'esterno. Perciò la Chiesa stessa per bocca dei suoi rappresentanti non cessava di ripetere: non c'è e non c’è mai stata alcuna persecuzione della fede nell'Unione Sovietica, non c'è neppure un martire e quei pochi preti e vescovi arrestati non sono altro che criminali comuni. La piovra pudica aveva bisogno di un volto onesto e rispettabile. Dall'inizio degli anni Trenta le autorità della Chiesa le hanno prestato il volto e l'onesta richiesti.

Nel 1936 il cosiddetto parlamento sovietico [2] ha adottato la Costituzione staliniana, che proclamava la libertà di propaganda antireligiosa e la libertà di culto. A quell'epoca la libertà di culto consisteva nell'ubbidienza alla necessità storica che lo portava alla morte. Tutta la Chiesa doveva scavare la tomba per sé, ufficialmente e pubblicamente, ringraziando lo Stato per la libertà che le veniva offerta per questa sua azione.

All'ombra di questa libertà la fede che poteva manifestarsi solo nella preghiera quasi clandestina in alcune parrocchie ancora esistenti, continua a sopravvivere. Credo che nella storia millenaria della nostra Chiesa sia stato questo il periodo più difficile – sto parlando degli anni Trenta del nostro secolo –, un tempo proprio della fede ridotta alla sua essenza, alle sue radici, senza nessuna apparenza esteriore. Soprattutto nelle galere sovietiche, nell'immenso territorio dell'Arcipelago Gulag, era attiva una vita spirituale. Sulle isole Solovki, ad esempio, alla fine degli anni Venti e all'inizio degli anni Trenta si svolgevano celebrazioni clandestine nei boschi, nell'inferno delle torture, della fame e del gelo. I vescovi di Solovki hanno scritto nel 1927 una famosa lettera clandestina, contenente un programma relativo alle relazioni fra lo Stato ateo e la Chiesa e fondato sulla dignità e lealtà. Nessuno, naturalmente, li ha voluti ascoltare. Tutti questi vescovi hanno ricevuto la morte dei martiri.

Paradossalmente proprio la guerra che dato un po' di respiro alla Chiesa. Nel 1941 l'estirpazione della vita religiosa si ferma, nel 1943 sia sotto la pressione degli alleati, sia secondo i propri calcoli, Stalin compie una grande svolta. Una notte (egli amava lavorare solo al buio e tutto l'immenso apparato dei funzionari che era in contatto con lui seguiva questo ritmo) Stalin invita i tre metropoliti russi che rimanevano ancora in libertà (Sergio, Alessio, Nicola) e fa loro dono della propria clemenza. Da buon sultano, una volta passata la collera, libera dalla disgrazia la Chiesa Russa. Quasi all'improvviso, davanti alla tavola del suo solito banchetto notturno, egli cambia la logica della storia, di cui lui adesso è l’unico padrone. La Chiesa, come luogo di culto, riceve un certo diritto di cittadinanza nello Stato che rimane, come sempre, accanitamente ateo. Naturalmente Stalin non chiede niente in cambio; tutto ciò che egli poteva chiedere l’aveva già: la sottomissione totale della Chiesa, la lealtà senza limiti, la negazione di qualsiasi persecuzione da parte dello Stato, l'elogio della sua persona – simile quasi ad un culto sciamanico.

Le chiese profanate si riaprono, molti vescovi sono rilasciati dalla galera e dopo essere rimasto vacante il posto per diciotto anni è eletto il nuovo patriarca Sergio. Una nuova sintonia molto ambigua unisce il regime del blasfemo e antropofago e la Chiesa di Cristo. Ma questa dozzina di anni dell'estate meno calda (1941-1953) finisce con la morte del sultano. Quasi subito comincia un'altra epoca, quella dell'estate di San Martino, quando la persecuzione ricomincia, con Krusciov: 1953-1964.

A differenza di Stalin, Krusciov era un po' idealista e credeva davvero nelle proprie parole sul futuro radioso che aspettava l’umanità. La religione era da lui ritenuta il primo ostacolo a quel regno di felicità, era l’oppio del popolo, secondo vecchia definizione di Marx. Appena arrivato al potere, Krusciov ha cominciato a chiudere le chiese e a mandare via i sacerdoti, ma questa volta non nei campi di concentramento. Vale a dire anche che la comprensione, anzi la collaborazione da parte della Chiesa stessa alla sua persecuzione – eredità della scuola staliniana – era la cosa più pesante dal punto di vista spirituale. Delle più di 13 mila chiese che erano state riaperte verso il 1953, la metà risultavano chiuse nel 1964.

Ancora due dozzine d'anni: 1964-1988, l'autunno della persecuzione. Un quarto di secolo dopo la caduta di Krusciov, giungendo fino al millennio della Chiesa Russa. Il tempo dell'immobilità, una storia congelata. Un teatro delle ombre che ripetevano le stesse parole: formule, gesti, discorsi senza fine. Avevo l'impressione che per vent'anni i giornali e la televisione trasmettessero le stesse notizie. La situazione comincia a cambiare nel 1985, con la politica della perestrojka, ma la Chiesa ortodossa ha dovuto aspettare ancora tre anni, fino all'anniversario del suo millennio.

Durante tutto questo periodo della stagnazione anche il numero delle chiese era fissato: qualche migliaio agli inizi degli anni '60, più o meno lo stesso numero un quarto di secolo dopo. L'anima credente era stata chiusa nella cella dell'isolamento interiore. Questa chiusura, imposta dall'esterno, era composta da tantissime interdizioni ed istruzioni segrete; era proibita qualsiasi attività ecclesiale, caritativa, educativa, culturale nell'ambito religioso; qualsiasi celebrazione fuori del luogo di culto ufficialmente riconosciuto e registrato era considerata come un crimine.

Tuttavia l'ideologia in quest'epoca era diventata indolente, anche nella persecuzione. Se l'attività segreta perde la sua clandestinità, se la protesta alza la voce, l'arresto è imminente, ma il silenzio saggio non è più un comportamento rischioso per un credente in quest'epoca. La piovra diventa ancora più pudica e non vuole stuzzicare troppo l'opinione mondiale. Tuttavia, all'inizio degli anni '80 c’è stata un'ultima ondata di soppressione di tutto ciò che ha potuto dare l'impressione di essere fuori regola. Un gruppo di cinque-sette persone che volevano leggere insieme la Bibbia compivano già un reato.

Quest'ultima epoca del soffocamento pianificato è diventata anche un'epoca del ritorno al cristianesimo. La gente, spesso appartenente alla giovane intellighenzia che viveva nella città, scopriva la fede antica, che secondo le parole di sant'Ireneo di Lione, si ringiovanisce sempre. Questa scoperta della giovinezza della fede di duemila anni si poneva sempre in uno stupendo contrasto con l'ideologia al potere che, molto prima della propria morte storica, era già un cadavere. Con la fede riscoperta – perché ogni volta scopriamo il volto del Dio Vivente – si scopre anche la memoria della propria Chiesa e della Chiesa universale. Il martirio – vale a dire la testimonianza dei tuoi predecessori nella fede – è la tua eredità più preziosa. Il martirio, come le altre strade della santità, fa parte del nostro bagaglio spirituale e della fede che confessiamo.

La memoria condivisa

La gente a volte si domanda: che cos'è questo ritorno alla fede che non abbiamo mai conosciuto prima? È una cosa semplice: quando non c'è aria da respirare, noi la cerchiamo per istinto e alla fine la troviamo. Scopriamo la fede con la bellezza del mondo ed il suo mistero. Mistero che solo il Volto di Cristo può esprimere. Ma la scoperta della fede è anche uscita dalla chiusura interiore ed incontro con le altre persone, radunate, unite nella stessa Persona. La conversione, se personale e intima, inizia alla solidarietà. Ieri eravamo chiusi nel nostro io, oggi entriamo in possesso del patrimonio enorme che si può condividere con la gente che ci circonda, ma anche con tutte le generazioni che ci hanno preceduto nella fede.

Questo patrimonio è anche ipoteca della memoria. Tale memoria crea la nostra stessa identità e, prima di tutto, la nostra identità nella fede. Il vescovo che ha scavato la sua tomba, i sacerdoti fucilati, le monache gettate in un pozzo di mine, come tutti gli innumerevoli monaci, sacerdoti, laici (solo Dio conosce i loro nomi), avevano la stessa fede che ho io e morirono per la stessa fede.

Tutti questi/e fratelli e sorelle continuano a vivere in noi. Essi hanno comprato la nostra fede nel senso attribuito da san Paolo a questa espressione (siete stati comprati a caro prezzo – 1 Cor 6, 20). Hanno pagato con le loro sofferenze e le loro agonie, la mia scoperta di Cristo e della Sua Chiesa. Ma anche la debolezza e la paura vivono in me e fanno parte della mia eredità, che io non posso negare. Ma proprio in questa confusione del dono del martirio – della testimonianza comprata con il sangue – con il compromesso prudente e cauto, si riconosce il mistero della Chiesa, dove la grazia si manifesta nella debolezza (cf. 2 Cor 12,19).

Ma con lo stesso atto con cui si riscopre la sua identità nella memoria della fede, si scopre anche l'identità di un altro. Ciascuno di noi schiude la propria memoria e la rende appannaggio di un altro. In questo scambio delle testimonianze giungiamo anche alla memoria comune, alla memoria vissuta insieme. La memoria condivisa con gli altri, con i fratelli detti separati, ci unisce attorno della stessa sorgente.

Ogni epoca giustifica in modo suo le parole di Cristo voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, Io ho vinto il mondo! (Gv 16, 33), ma il secolo scorso ha scritto una pagina molto ricca nella storia della sofferenza. Ora questa pagina appartiene al passato, oggi si legge un'altra pagina, la pagina successiva, ove sono vergati altri mali, altre sofferenze – che possono essere diversi da quelli di ieri. La storia delle tribolazioni (in senso evangelico) continua nella Russia d'oggi, ma questa è già un'altra storia. Le prove del regime, fondato sull'idea vuota, astratta ed atea, sono più o meno finite, ma sono venute altre prove anche per i cristiani. Le prove della crudeltà di una storia con quale l'uomo non è capace di confrontarsi, le prove degli spiriti del nazionalismo e del fondamentalismo, le prove della sterilizzazione spirituale, ecc. Ma questo già è un altro discorso.

Si può presentire le ombre di un altro tipo di persecuzione che cadono dal secolo che è già arrivato. Alla fine di questo secolo, però, ci vuole raccogliere tutte le pagine già conosciute, dimenticate, nascoste che sono state scritte nella storia delle tribolazioni e delle prove. Tutte queste testimonianze portano alla riconciliazione nella memoria comune, condivisa dai cristiani di confessioni diverse. Da questa memoria condivisa, vissuta insieme, può sorgere anche la gioia comune e la fede riscoperta. La memoria condivisa è un cammino all'unità nella testimonianza della fede in Gesù Cristo, nostro Signore.

Vladimir Zelinskij

 

[1] Era la condanna, diciamo, più amata di quegli anni e che esprimeva pienamente la paura incontrollabile del tiranno.

[2] Ricordo che per cinquant'anni l’unica sua funzione fu di votare in favore, senza neanche un'astensione, tutto ciò che al vertice del Partito Comunista era già deciso.

 

Letto 3103 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Gennaio 2014 19:26
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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