Ecumene

Domenica, 14 Febbraio 2016 16:07

Har Karkom – La Montagna di Dio (Emmanuel Anati)

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La montagna rimase terra incognita fino al 1954, quando ancora studente vi scoprii un’importante concentrazione di arte rupestre. Ma per altri venticinque anni nessuno se ne occupò.

Har Karkom è un nome moderno.. E’ comparso solo alla fine degli anni cinquanta sulle carte israeliane a indicare questa montagna del Sinai. Significa “monte dello zafferano” (Har = monte; Karkom = zafferano). I beduini lo chiamano Jebel Ideìd e così come è indicato anche sulle carte geografiche fra le due grandi guerre, quando l’area era sotto mandato britannico. Secondo gli arabismi Jebel Jdeìd significherebbe “monte delle moltitudini” o “monte della preparazione”, mentre nel locale dialetto debbino, secondo una guida della tribù Tarabin, significa “monte delle ricorrenze”. Un nome suggestivo per un massiccio roccioso in mezzo al deserto che oggi non  ha proprio né moltitudini ne ricorrenze.

La montagna rimase terra incognita fino al 1954, quando ancora studente vi scoprii un’importante concentrazione di arte rupestre. Ma per altri venticinque anni nessuno se ne occupò, a accezione dello studioso americano Nelson Guleck che visitò rapidamente le incisioni da me scoperte e scrisse che Har Karkom doveva essere stata una montagna sacra. Vi ritornai per studiarla nel 1980, a capo di una missione archeologica italiana di ricercatori e volontari. Da allora la ricerca continua.

E’ una montagna fra Bibbia e archeologia.

A partire dal periodo bizantino la tradizione popolare vuole che il biblico monte Sinai (indicato nelle carte come Jebel Musa) sovrasti il monastero greco-ortodosso di Santa Caterina, 200 km più a sud. Ciò deriva dal fatto che gli imperatori cristiani di Bisanzio, nel IV secolo, inviarono una spedizione alla ricerca del luogo santo e questa lo identificò con il più alto monte della penisola (che però fino a oggi non ha restituito alcun restio archeologico precedente all’epoca bizantina). Chi tornava da queste spedizioni, dichiarando di aver ritrovato un luogo santo, veniva ricoperto di onori. D’altronde non si poteva tornare a mani vuote. Sorprende che la tradizione del luogo di Santa Caterina. come ubicazione del monte Sinai, sia sopravvissuta per oltre 1500 anni, perché è priva di fondamento.

Dalla stessa lettura dei testi biblici emerge invece che il monte Sinai, secondo la concezione del compilatore del Libro dell’Esodo, era ubicato nel nord della penisola, non nel sud. La narrazione biblica fa dire a Dio: «... Io vi trarrò dall’Egitto per condurvi verso la terra del Cananeo...» (Esodo, 3,17). Per una semplice questione di coerenza del testo, appare improbabile che. dopo tale dichiarazione, l’itinerario descritto conduca Mosè e i suoi nella direzione opposta, verso sud invece che a nord-est.

Ancora la Bibbia ci descrive Mosè che passa per la Montagna di Dio quando rientra in Egitto dalla terra di Midian dov’era stato esule (Esodo, 4,27). Dato che la terra di Midian si trova, sempre secondo la narrazione biblica, nei pressi della valle dell’Arava che congiunge il Mar Morto a Eilat, la Bibbia ubica il monte Sinai tra Midian e l’Egitto, quindi nel nord della penisola. Un’altra narrazione biblica localizza Refidim, ultima tappa dell’esodo prima del monte, a breve distanza dal monte stesso, al confine del territorio di Amalek, che s’identifica con le montagne del Negev centrale.

Queste varie ubicazioni topografiche collocano il monte Sinai nel sud del deserto del Negev. Appunto nell’area dove si trova Har Karkom.

L’altopiano di Har Karkom è letteralmente cosparso di strutture di culto e di molte migliaia d’incisioni rupestri, diverse delle quali hanno chiari riferimenti a narrazioni bibliche. Abbiamo tra l’altro un’immagine detta “delle tavole della legge”, con dieci ripartizioni in base al numero dei comandamenti, e l’immagine della verga che si trasforma in serpente: un richiamo alla narrazione biblica delle gesta di Mosè.

Ai piedi della montagna vi sono invece numerosi villaggi con strutture in pietra in un’area oggi totalmente deserta. L’archeologia mostra dunque che importanti gruppi umani si concentravano ai piedi della montagna nell’età del Bronzo mentre pochi eletti forse sacerdoti, salivano sulla cima per eseguirvi attività di carattere rituale. L’immagine è la stessa che ci offre la narrazione biblica quando dice che il popolo d’Israele si accampò ai piedi del monte, ma solo Mosè aveva diritto di accesso ad essa: «Il popolo non può salire sul monte Sinai poiché tu ce l’hai proibito...» (Esodo. 19,23).

Ai piedi di Har Karkom è stato trovato un altare con accanto dodici cippi. Sembra il monumento che il cronista biblico descrive quando dice: «Mosè si alzò al mattino e costruì un altare e dodici cippi per le dodici tribù di Israele, ai piedi della montagna» (Esodo, 24,4). I dodici cippi archeologici con il loro altare si trovano nei pressi di un accampamento dell’età del Bronzo, ai piedi della montagna.

Sulla montagna si trovano i resti di un tempietto che è stato denominato “santuario Midianita”; la Bibbia ci dice che Mosè vide un tempietto sulla montagna (Esodo, 26,30). Sulla cima di Har Karkom si trova una grotticella, e la Bibbia puntualmente ci parla di un «cavo nella roccia...» sulla cima del monte Sinai dove Mosè avrebbe nascosto la sua faccia per non vedere Dio al suo passaggio (Esodo, 33,22).

All’inizio del Deuteronomio si dice che vi sono undici giorni di marcia dal monte Sinai a Kadesh Barnea per la via del monte Seir. Da Har Karkom a Kadesh Barnea vi sono due piste, una attraversa la montagna di Amalek, l’altra passa ai piedi del monte Arif el-Nake identificato con il biblico monte Seir

Per questa pista vi sono dieci gruppi di pozzi da Har Karkom a Kadesh Barnea, alla distanza di 12-16 km l’uno dall’altro. Nel deserto dieci pozzi significano dieci approvvigionamenti d’acqua, dieci notti. Da Har Karkom a Kadesh Barnea, per la via del monte Seir, a piedi sono dunque undici giorni di marcia, proprio come ci indica il Deuteronomio.

Le coincidenze sono davvero tante e appare ormai evidente che il cronista biblico, nel descrivere il monte Sinai, avesse Mar Karkom davanti agli occhi.

Quasi pronto il dossier con le prove

Se la narrazione biblica ha qualche fondamento storico e all’epoca dell’Esodo esisteva realmente una vita tribale nei deserti attraversati dagli ebrei, se questi realmente incontrarono tribù quali Midianiti, Amalechiti. Moabiti. Edomiti. queste storie possono riferirsi solo a un periodo precedente al 1950 a.C. momento in cui le aree in questione vennero abbandonate da ogni tipo di vita tribale come l’archeologia testimonia. Una ricerca multidisciplinare, un concerto tra archeologia, esegesi biblica, paleoclimatologia, geografia e topografia. etnologia e antropologia culturale, sta portando alla soluzione di un problema rimasto aperto per duemila anni. Oltre a costituire un’eccezionale testimonianza archeologica che riflette lo spirito delle narrazioni bibliche, le scoperte di Har Karkom rilevano la vita, i costumi, le credenze, la struttura dei villaggi e dei gruppi sociali, le risorse economiche, dei popoli del deserto dell’epoca alla quale si riferiscono le narrazioni dell’esodo. Dopo quindici anni di ricerche è quasi pronto un ampio dossier con le prove di quella ipotesi che tante contestazioni aveva suscitato.

Ora i risultati sembrano dar ragione ai protagonisti di una grande impresa archeologica del nostro secolo e, di fronte alle ipotesi ardite di un decennio fa, gli studiosi non gridano più allo scandalo. Si comincia a pensare che Emmanuel Anati non avesse tutti i torti, anche se si è ancora reticenti a riconoscergli la ragione. Già però si ammette che, fra tanti candidati, Har Karkom è in assoluto la più probabile montagna di Dio.

Emmanuel Anati *


* fondatore del Centro camuno di studi preistorici

(pubblicato su Archeo, marzo/aprile 1995).

 

Letto 4641 volte Ultima modifica il Martedì, 16 Febbraio 2016 09:53
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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