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Fasi della cultura europea d'oltralpe

GASPARO CONTARINI (1483- 1542)*

di Renzo Bertalot



Premessa

Il 31 ottobre è stata firmata la Dichiarazione Comune sulla giustificazione per fede tra cattolici e luterani. Il contenuto del documento pone fuori campo le scomuni­che reciproche emerse sull'argomento specifico durante il XVI secolo.

Dobbiamo essere molto grati ai numerosi storici che, a proposito di Gasparo Contarini, hanno indagato sull'e­volversi di due momenti principali: la prima metà del XVI secolo e la seconda metà del XX secolo. Si tratta di un lavoro non sempre facile non solo dal punto di vista della ricerca meticolosa negli archivi, ma anche per quan­to riguarda le intuizioni e i confronti. Si può rimanere ammirati per le convergenze che segnalano una buona soggettività piuttosto che un'impossibile oggettività. Ciò non toglie che a volte sorgano perplessità e ci si trovi costretti a sospendere il giudizio.

Quando si parla di Gasparo Contarini bisogna tenere presente che i suoi scritti sono stati spesso manipolati e corretti anche da persone eminenti come il cardinale Morone e il vescovo Beccadelli, tra gli altri. Bisogna muo­versi con molta cautela o addirittura saper sospendere il confronto. (1)

La figura e la testimonianza di Gasparo Contarini pas­sano dal XVI secolo al nostro come segnali di una lunga attesa la cui attualizzazione oggi non è poi così lontana dal nostro orizzonte immediato.

È un fatto che per molti anni i protestanti coltivarono la speranza di vedere la Serenissima affiancarsi alla Riforma e diventare così la "Ginevra italiana". Anche Giordano Bruno ritenne Venezia capace di adoperarsi in tal senso. Non mancarono certamente gli inviti e le sollecitazioni degli ambasciatori stranieri. Lo stesso Filippo Melantone scrisse ai Veneti nel 1539 e forse addirittura al Senato della Repubblica nel 1541. Pola era ormai una città a maggio­ranza luterana e a Padova si calcolava la presenza di seimi­la cosiddetti luterani. A Venezia sembrava che circolassero quarantamila copie del Beneficio di Cristo ritenuto il cate­chismo della Riforma protestante. Vi furono almeno due sinodi organizzati dagli anabattisti. In quel tempo molti teologi italiani passarono alla Riforma e divennero titolari di prestigiose cattedre in Inghilterra, Germania e Svizzera. Ma ben presto i Riformatori al di là delle Alpi dovettero rendersi conto che i principi italiani non avevano sufficien­te autorità per introdurre la Riforma nei loro paesi. (2)

A - La vita

Gasparo Contarini nacque a Venezia il 16 ottobre 1483 (è una curiosità storica notare che Lutero nacque poco dopo: il io novembre 1483) La sua vita fu determinata particolarmente dall'esperienza del sabato santo (24 apri­le) del 1511. In quel giorno prese coscienza della giustifi­cazione per grazia mediante la fede: "Et compresi vera­mente che io fessi tutte le penitenze possibili e molto più ancora, non seria bastante ad una gran zonta, non dico meritar quella felicità ma satisfar le colpe passate [...] Solum fatigar se dovemo in unione con questo nostro capo con fede, con speranza e con quel poccho de amor che potemo. Che quanto a la satisfacion di i peccati fati e in i quali la fragilità umana casca, la passion sua è e stà sufficiente et più che bastante". (3)

L'argomento fu ripreso con gli amici Tommaso Giustiniani e Vincenzo Querini. Insieme costituirono una "pia comunità", ma mentre i due compagni scelsero la vita contemplativa ritirandosi nell'eremo di Camaldoli, Contarini preferì dedicarsi alla vita attiva. (4)

Contarini seguì l'iter scolastico di tutte le famiglie patrizie veneziane. Studiò a Padova con Pomponazzi prendendo in seguito le distanze dal maestro. Rifiutò l'in­dirizzo aristotelico padovano a favore dell'umanesimo toscano in vista di una nuova filosofia. In sintonia con il bassanese Lazzaro Bonamico, lasciati Aristotele, Avicenna e Pomponazzi, puntò verso il platonismo fio­rentino. Intanto Contarini si affermava nella carriera poli­tica e diplomatica: nel periodo 1518-1535 è ambasciatore della Serenissima, consigliere ducale e membro del Consiglio dei Dieci; è inviato più volte a Ferrara e a Roma; nel 1521 incontra Tommaso Moro in Inghilterra; viene nominato ambasciatore plenipotenziario presso Carlo V in Germania; è presente alla Dieta di Worms, e forse incontra Lutero. (5)

Nel 1525 il fratello di Gasparo Contarini è vittima dell'inquisizione: fu trovato a trasportare Bibbie e libri di Lutero insieme a mercanti veneziani. Gasparo Contarini, nel 1529, rifiutò di consegnare a Carlo V e a Ferdinando d'Asburgo i "luterani" veneti in nome della libertà. Dopo il sacco di Roma (1527) e l'umiliante pace di Barcellona (1529), una Canossa alla rovescia, tocca a Gasparo Contarini il compito di rappacificare il prigio­niero Clemente VII con Carlo V In quell'occasione il patrizio veneziano ricorda al papa, in quanto pastore, di anteporre ad ogni preoccupazione l'interesse per la vera chiesa: lo stato temporale è un'altra cosa, "riguarda i principi"

Gasparo Contarini era un autodidatta in teologia, ma leggeva quotidianamente la Sacra Scrittura nel testo lati­no e greco: Non considerava eretiche le interpretazioni bibliche fatte da Savonarola, la cui scomunica riteneva ingiusta. (6)

Il 21 maggio 1535 Gasparo Contarini viene eletto car­dinale da Paolo III Farnese. Il 23 ottobre 1536 è nomina­to vescovo di Belluno: non riceverà mai la consacrazione episcopale, sarà invece ordinato nel 1537. Nel 1536 Paolo III lo chiama a presiedere il Consilium de emendanda ecclesia. Il 9 marzo dell'anno seguente Contarini presen­ta, legge e spiega al pontefice il testo definitivo del docu­mento, esponendo giudizi piuttosto negativi, oltre che sulla curia romana, anche su Erasmo. Nel 1540il Contarini (discepolo di Ignazio che allora era sospetto di eresia) contribuisce all'approvazione della Compagnia di Gesù e l'anno successivo è nominato legato pontificio all'incontro di Ratisbona. I protestanti lo accoglieranno come un "eroe". (7)

Il 29 maggio scrive al cardinale Alessandro Farnese che è necessario concedere il calice ai laici durante l'eu­caristia e il matrimonio ai preti, altrimenti si rischia il pas­saggio di molti cattolici tedeschi al luteranesimo Il 22 giu­gno scrive ancora al cardinale Alessandro Farnese dichia­randosi deluso dei colloqui di Ratisbona. Intanto il 27 maggio Gasparo Contarini era stato sconfessato dal con­cistoro di Roma.

Il 25 luglio 1542 viene istituito il tribunale dell'inquisi­zione (simile a quella spagnola) sotto la direzione del car­dinale Gian Pietro Carafa futuro papa con il nome di Paolo IV: il Contarini è accusato di luteranesimo e rele­gato a Bologna. Lì incontra Bernardino Ochino che vole­va salutarlo e che viene consigliato di non presentarsi a Roma dove era stato convocato. In una delle ultime lette­re al cardinale Pole scriveva: "Il fondamento dello edifi­cio dei Luterani (cioè la salvezza per fede) è verissimo, né per alcun modo dovem dirli contra, ma accettarlo come vero et cattolico, immo come fondamento della religione cristiana". (8)

Gasparo Contarini muore a Bologna tra le braccia del segretario Ludovico Beccadelli, mentre circolano insi­stenti le voci che sia stato avvelenato per mandato dallo stesso Paolo III. Fu sepolto a Venezia alla Madonna dell'Orto. Più tardi le sue ossa furono rimosse a causa di restauri. Rimane tuttavia un suo ricordo, una pietra tom­bale e il suo busto, opera di Alessandro Vittoria.

Con il 1542 e con l'inquisizione termina l'epoca tanto attesa e travagliata delle riforme e inizia quella della Controriforma e della confessionalizzazione del cristiane­simo occidentale.

B - Ratisbona 1541

Quando Gasparo Contarini arrivò a Ratisbona come legato pontificio fu accolto da tutti con molta fiducia e grande entusiasmo. Filippo d'Assia gli mandò persino la banda musicale per far "gran festa". (9) A proposito della giustificazione, la discussione cadde sul duplice aspetto, della giustizia imputata e della giustizia inhae­rens: non l'una senza l'altra. (10) Si tratta del dono gratui­to di Dio in Cristo e delle opere che promanano dalla radice della fede in vista della santificazione. La tra­sformazione dell'uomo deriva dalla fede, dono di Dio, e non da noi. Questo primo tentativo non piacque, per motivi diversi, né ai protestanti, né ai cattolici, né a Gasparo Contarini.

Dopo un'interruzione, gli uni e gli altri si trovarono d'accordo nel sottoscrivere la formula che descrive la giu­stificazione per "fede viva ed efficace". (11)

Calvino, scrivendo a G. Farel, considerò il testo "un risultato notevole": "nulla v'è contenuto che non si trovi nei nostri scritti", ma il suo collaboratore rimase piutto­sto perplesso. (12) Per Mattia Flacio Illirico, storico del pro­testantesimo, approvando l'accordo, definì Gasparo Contarini un "eroe". (13) Anche Lutero rimase stupito e disse che se i cattolici accettano la giustificazione come "fondamento capitale" egli è pronto a baciare i piedi al papa. (14)

In quei giorni circolava pure un testo segreto, il cosid­detto "Libro di Ratisbona", che non facilitò affatto il pro­seguimento della discussione.

Passando ad altri temi Melantone, Bucero e Contarini non trovarono accordo sulla transustanziazione sia come presenza di Cristo realiter et personaliter sia come "mutazione mistica". I contrasti non furono superati. Oltre alle difficoltà meno compromissorie sui sacramen­ti caddero anche le proposte di eliminare i monasteri, il celibato dei preti, la confessione auricolare e di dare il calice ai laici. Melantone si dimostrò intransigente sul primato. (15)

Ratisbona era ormai un fallimento e Contarini scrisse la sua delusione al cardinale Alessandro Farnese.

Certamente lo zoccolo duro del contesto teologico e politico non favorì gli accordi. Non era possibile trarre le conseguenze neppure sulle convergenze, le quali si anda­vano evidenziando, a proposito della giustificazione. Da parte cattolica si è anche detto che Gasparo Contarini fece in modo di far ricadere la colpa della rottura sui pro­testanti, a causa della loro "falsità". (16) Ciò nonostante, Ratisbona fu un occasione di dialogo che venne meno in un periodo in cui l'attesa e la speranza per la riforma della chiesa erano molto appassionanti, coinvolgenti e signifi­cative in tutta l'Europa. Wittenberg, Ginevra e Roma pre­sero le loro rispettive distanze da Ratisbona gettando un'ombra paralizzante sulla richiesta di convocazione di un concilio.

Nel 1542 Paolo III decise di avviare anche in Italia l'in­quisizione richiamandosi allo schema spagnolo. Sarà il car­dinale Carafa ad occuparsene direttamente e personalmen­te. Si profilano all'orizzonte il Concilio di Trento e l'età della confessionalizzazione del cristianesimo europeo.

Tuttavia l'incontro di Ratisbona segnò i secoli futuri e particolarmente quello attuale.

Il 31 ottobre 1999 ad Augusta, città storica del prote­stantesimo, venne firmato l'accordo tra cattolici e lutera­ni sulla giustificazione. Veramente i tempi di Dio non sono scanditi in base ai nostri calendari. Intanto risorgono la voce e gli scritti dei massimi rappresentanti a Ratisbona. L’augurio è di iniziare il Terzo Millennio con "fede viva ed efficace". La fatica e la perseveranza di Gasparo Contarini costituiscono certamente una vittoria su di un tragico silenzio plurisecolare e un'occasione pro­pizia per tutto il cristianesimo.

Note

* Il testo è ripreso e adattato da una conferenza tenuta all'Ateneo Veneto il 23 ottobre 1999. Cf. R. Bertalot, Gasparo Contarini (1483-1542), contesto e attua­lità della giustificazione per fede, in Ateneo Veneto, Venezia, 1999, pp. 206-218.

1) Lutero parlò della giustificazione "passiva" cioè del dono di Dio in Cristo, assolutamente incondizionato da parte umana. Parlò in seguito della giustificazione "imputata" da Dio in Cristo, cioè come sentenza divina a carattere giuridico. Anche per il riformatore tedesco le opere sono necessa­rie, servono a riconoscere la salvezza: senza le opere la fede è falsa e non giu­stifica, sarebbe una farsa o meglio una "fanatica astrazione, una pura vanità e un sogno del cuore" (V. Subilia, La giustificazione per fede, Paideia, Brescia, 1976, p. 201). Nel XIV secolo i movimenti pauperistici catari, albigesi e val­desi si opposero alle indulgenze e sostennero la giustificazione per fede. Cf. E. Le Roy, Storia di un paese: Montaillou, Milano, 1991, pp. 409 ss. Pietro Speziali (1478-1554) trattò l'argomento della giustificazione per fede nel 1512: "prima che il nome di Lutero fosse noto quando ancora non si era pro­nunciato" (E. Comba, I nostri protestanti I, Claudiana, Firenze, 1895, pp. 222 ss.). La sua opera Dei gratia, rimasta inedita, è conservata alla Biblioteca Nazionale Marciana, Codd.Lat. III, 59 (=2275) e 151 (=2152), del secolo XVI, (il secondo autografo è pervenuto dal Consiglio dei Dieci nel 1787) descritti da G. Valentinelli, Biblioteca manuscripta ad S. Marci Venetiarum. Codices mss. Latini II, Venetiis 1869, pp. 110-111 (ringrazio il dr. Gian Albino Ravalli Mondoni per quest'ultima segnalazione). S. Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino, 1992, p. 62. Anche Giacomo Lefèvre (1455-1536), iniziatore della Riforma in Francia insegnò la giustificazione per fede tre anni prima di Lutero: così V. Vinay, La Riforma protestante, Paideia, Brescia, 1970 pp. 270-276.

2) Comba, I nostri protestanti I, pp. 42.227 e 248; A. Stella, Correnti ere­ticali nel Cinquecento, in P. Gios (a cura), Storia religiosa del Veneto. Diocesi di Padova, Giunta Regionale del Veneto - Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1996, pp. 519-542; G. Cozzi, I rapporti tra Stato e Chiesa, in G. Gullino (a cura), La Chiesa di Venezia tra Riforma Protestante e Riforma Cattolica, Ed. Studium, Venezia, 1990, pp. 28 ss.; D. Cantimori, Umanesimo e religione nel Rinascimento, Einaudi, Torino, 1975, pp.183-188; F. Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del '500, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 212-218; R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993, pp. 75 ss.

S. Tramontin, Tra Riforma cattolica e Riforma protestante, in S. Tramontin (a cura), Storia religiosa del Veneto. Patriarcato di Venezia, Giunta Regionale del Veneto - Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1991, p. 100.

4) A. Stella, Spunti di teologia contariniana e lineamenti di un itinerario religioso, in E Cavazzana Romanelli (a cura), Gasparo Contarini e il suo tempo, Atti del Convegno, Venezia 1-3 marzo 1985, Venezia, 1988, p. 152; E. Massa, Gasparo Contarini e gli amici tra Venezia e Camaldoli, in Ib., p. 72.

5) A. Stella, Gasparo Contarini e i gruppi evangelici veneti, in Lutero e la Riforma, Vicenza, 1985, p. 79; 5. Tramontin, Profilo di Gasparo Contarini, in Cavazzana Romanelli (a cura), Gasparo Contarini e il suo tempo, p. 24; G. Fragnito, Gasparo Contarini tra Venezia e Roma, in Ib., pp. 107 ss.; E. Gleason, Le idee della riforma della chiesa in Gasparo Contarini, in Ib., p. 129. Nel febbraio 1525 Carlo V fu informato dell'arrivo in un porto del regno di Granada di tre galere veneziane cariche di libri di Lutero. Il governatore del luogo sequestrò le navi e fece arrestare capitani ed equipaggi. (così Caponetto, La Riforma protestante, p. 56).

6) Stella, Gasparo Contarini e i gruppi evangelici veneti, pp. 79 ss.; Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo, p. 52; Tramontin, Profilo di Gasparo Contarini, pp. 26-30; Stella, Spunti di teologia contariniana, pp. 152 ss; G. Fragnito, La Bibbia al rogo, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 51; Cozzi, I rapporti tra Chiesa e Stato, p. 18.

7) G. Spini, Storia dell'età moderna, vol. I, Torino 1965, p. 173; K. Heussi, G. Miegge, Sommario di storia del cristianesimo, Claudiana, Torino, 1960, p. 172; P. Prodi, Intervento, in Cavazzana Romanelli (a cura), Gasparo Contarini e il suo tempo, pp. 208 ss.

8) Tramontin, Tra Riforma cattolica e Riforma protestante, p. 101; Tramontin, Profilo di Gasparo Contarini, p. 17; Caponetto, La Riforma pro­testante, p. 119 e Spini, Storia dell'età moderna, p. 199. Il cardinale Pole tra­scorse in Inghilterra il resto dei suoi giorni e si fece sostenitore della restau­razione cattolica. Interessante è la scoperta fatta Hubert Jedin nel 1943. Si tratta di trenta lettere di Gasparo Contarini che si trovavano presso il mona­stero camaldolese di Frascati. Purtroppo molte di queste furono manomesse per eliminare le ambiguità nei confronti della dottrina tridentina emergente: A. Marranzini, I colloqui di Ratisbona, in Cavazzana Romanelli (a cura), Gasparo Contarini e il suo tempo, p. 192; Stella, Gasparo Contarini e i gruppi evangelici veneti, pp. 76 ss. Per ulteriori dettagli sulle opere e sul pensiero di Gasparo Contarini cf. Bertalot, Gasparo Contarini; contesto, pp. 211-213.

9) Stella, Gasparo Contarini e i gruppi evangelici veneti, p. 80.

10) P. Ricca, Intervento, in Cavazzana Romanelli (a cura), Gasparo Contarini e il suo tempo, p. 230.

11) Marranzini, I colloqui, pp. 175 ss.

12) Ricca, Intervento, p. 236; Vinay, La Riforma protestante, p.60.

13) Cozzi, I rapporti tra Stato e Chiesa, p. 32.

14) Marranzini, I colloqui, p. 174. Nella "Libertà del cristiano" Lutero si rivolge a papa Leone X chiamandolo "Santissimo Padre in Dio". Non va tut­tavia dimenticato che, negli Articoli di Smalcalda del 1537, il papa era descritto come l'Anticristo, cf. E. Campi, Il Protestantesimo nei secoli, vol. l, Claudiana, Torino, 1991, pp. 84s. Anche da parte protestante vi furono delle riserve sul concetto luterano della giustificazione. M. Bucero, Riformatore a Strasburgo, e U. Zwingli, Riformatore a Zurigo, lo ritenevano "amorale", cf. A. E. McGrath, Il pensiero della Riforma, Claudiana, Torino, 1991, p. 97. Gli anabattisti descrivevano la "giustificazione" luterana come "un'indulgenza plenaria" cf. Subilia, La giustificazione per fede, p. 297.

15) Marranzini, I colloqui, pp. 182ss; Prodi, Intervento, p. 219. Cf. Caponetto, La Riforma protestante, p. 121. Carlo V concesse in seguito che a Strasburgo si sperimentassero sia il calice ai laici sia il matrimonio dei preti, ma il tentativo ebbe i giorni contati, cf. Caponetto, Id., p. 179.

16) Prodi, Intervento, p. 216.

Pubblicato in Chiese Cristiane

Fasi della cultura europea d'oltralpe

Immanuel Kant (1724-1804)

di Renzo Bertalot

A - Perchè Kant

È quasi impressionante sentire alla nostra televisione di Stato le raccomandazioni delle letture per l'estate. Al di là della novellistica di successo, attualmente in circolazione, il testo che da solo ha raccolto un suggerimento caloroso è la "Critica della ragion pura" di I. Kant!

Cercando di riassumere, in ben altro settore, l'incontro e lo scontro delle filosofie odierne si è parlato della contesa celeste tra Platone, Aristotele e Kant. Il primo particolarmente amato dal cristianesimo orientale, il secondo da quello latino e il terzo da quello dell'area protestante. (1)

In altre parole Kant passa indenne attraverso il momento di sintesi di Hegel e di Schleiermacher per raggiungere il nostro tempo. Nell'ambito protestante e in quello secolarizzato, che hanno lasciato fuori il magistero ecclesiastico cattolico come punto di riferimento, la filosofia di Kant fa capolino non solo nella teologia del nostro secolo e nell'etica dell'impegno sociale, ma anche in alcuni settori d'origine non protestante che affrontano, in maniera indipendente, il tema di una presenza attiva nella società in via di evoluzione.

In altri termini nella contesa estenuante delle varie filosofie, del loro sorgere, del loro affievolirsi e del loro tramontare, trascinandosi dietro ideologie multicolori, Kant sembra sopravvivere come richiamo sempre valido ogni volta che si tenta di riprendere fiato e di intravedere una pista per il futuro. (2)

Non intendiamo sostituirci allo storico o al filosofo, ma semplicemente chiederci se, attraverso le ricerche e le intuizioni di entrambi, vi sia un filone capace di stimolare la problematica del nostro presente in riferimento alla filosofia della religione.

Esamineremo alcuni esempi dei settori menzionati nel tentativo di capire l'attualità del loro porsi in rapporto con il messaggio cristiano. È una testimonianza che viene da lontano; ben lungi dall'essere un tentativo di guardarci nello specchio essa si trasforma in un appello alla libertà e al coraggio di presentarsi con una parola più chiara, sempre più attenta alla variabilità continua della situazione umana.

B - Richiami e rinvii

Non si tratta di riprendere la manualistica che ci accompagna fino alle soglie dell'università, ma di cogliere quelle idee religiose di Kant che hanno attirato l'interesse dei teologi.

I. Kant (1724-1804) era nato a Konigsberg nella Prussia orientale da madre ardentemente pietista. In seguito alla libera docenza del 1755 arrivò ufficialmente alla cattedra nel 1770. Il suo insegnamento suscitò l'approvazione dei filosofi, ma non quella dei teologi e della casa regnante. Il contrasto mise un freno alla sua ricerca che poté riprendere soltanto con la morte di Guglielmo II. Kant non era insensibile all'evolversi delle idee in seguito alla rivoluzione francese.

Sarà ricordato per le sue tre critiche che intendono segnare il passaggio dalla immaturità, al sapere aude, al coraggio delle proprie idee. Si parlerà di "criticismo" kantiano relativamente al pensiero, alla volontà e al sentimento.

Con la "Critica della ragion pura" (1785) Kant pone la ragione come limite insuperabile della nostra conoscenza: la cosa in sé (il noumenon) ci è preclusa. Siamo alle prese soltanto con fenomeni e forme che costituiscono il regno autonomo della ragione e dell'esperienza. La filosofia è la scienza entro i confini della ragione, è la messa al bando di ogni metafisica di sorpasso illegittimo verso il trascendente e l'eteronomia religiosa tradizionale. I metafisici sono simili a "visionari". L'accento posto in questa libera prospettiva farà sì che Kant venga considerato, per molti, il "filosofo del protestantesimo".

Controprova ne sia l'interpretazione filosofica tomista e antikantiana della Fraternità di S. Pio X (Ecòne) discendente da Lefebvre.

Con la "Critica della ragione pratica" (1788) Kant prende in considerazione il problema morale che è alla base di ogni volontà di azione. Nel mondo dei "fenomeni" l'io funziona come unificatore, legislatore e garante della razionalità dell'esperienza. Tutto ciò che appartiene al puro fenomeno è subordinato alla ragione. Ora se la volontà è legge a se stessa e la libertà può essere solo osservata è pur vero che l'uomo resiste al comando e la sua decisione potrebbe essere viziata dalla paura e perturbata dalle passioni. Si rende quindi necessaria la critica della ragione. Si giunge così ad uno degli aspetti dell'"imperativo categorico": opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere come principio di una norma universale". Il dovere fa splendere la buona volontà, il "sommo bene"! Ma a sua volta il ragionamento può reggere solo sulla base di postulati o principi evidentemente indimostrabili che non hanno valore conoscitivo: l'immortalità, Dio e l'anima. Sono esigenze della legge morale che riguardano la volontà e non aprono sentieri, sempre sbarrati, verso la metafisica (il noumenon) e la conoscenza.

Con la "Critica del giudizio" (1790) Kant tenta una sintesi tra le prime due critiche, tra il pensiero e la volontà, tra determinismo naturale e libertà morale. La "coscienza" ci avverte che vi sono leggi mediate dalla volontà che non sono fisiche o naturali, ma dipendono dal fare o non fare: riguardano la capacità di autodeterminarsi e il valore "soprasensibile" (non soprannaturale) della personalità. L’uomo è legato alla causalità, ma è anche libero di iniziare una serie causale. La soluzione tra le due critiche è offerta dal "sentimento" come concetto intermedio orientato, nei suoi vari aspetti, verso un fine. Si tratta quindi di un giudizio teleologico. Come tale non è dimostrabile per esperienza, ma pensabile come finalità oggettiva, dovuto ad una causa intelligente e suprema: Dio.

C - Kant e la religione

Salta agli occhi un aspetto immediato della rivoluzione copernicana attuata da Kant: mentre tradizionalmente la morale si fondava sulla religione ora la religione assume interesse in quanto basata sulla morale (P. Lehmann). Per questi motivi i critici più severi hanno visto nel filosofo prussiano sia un'ombra di pelagianesimo sia una reviviscenza del Rinascimento e di Erasmo. (3) Occorre tenere presente che nel 1789 Kant pubblica "Il fondamento della metafisica dei costumi” e nel 1794 "La religione entro i limiti della ragione". Per Kant la religione razionale, puramente morale, è implicita nella rivelazione, ne costituisce la parte interna senza negarne l'unità intrinseca. In fondo la religione cristiana, in quanto presupposto indimostrabile e postulato che si trova oltre i limiti della ragione, (ma non quella dei sistemi religiosi storici) è la vera religione naturale restaurata secondo la grazia originaria. La Parola di Dio è presente nei cuori sotto forma di legge ragionata. Tuttavia per la ragione, che ha il suo limite nel mondo dei fenomeni, la rivelazione non è necessaria, Dio non si può conoscere e la presenza del male rimane un mistero inspiegabile e irrazionale. Cristo dev'essere considerato un esempio ma non un redentore. La chiesa (invisibile) è la vittoria del principio buono sul male, ma le chiese visibili sono repellenti perché promuovono una fede imposta. La preghiera si riduce a un feticcio, cioè a una debolezza, a una rinuncia nei confronti del coraggio (sapere aude).

Infine per Kant la coscienza della libertà è la sola fonte del diritto: "È giusta ogni azione, secondo la quale, .. la libertà dell'arbitrio di ciascuno può coesistere con la libertà di ognuno secondo una legge universale". (4)

A questo punto vale la pena richiamare Ugo Grozio, il fondatore del diritto naturale internazionale (giusnaturalismo). Rivolgersi a tutti gli uomini, partendo dalla loro autonomia (laica) vuol dire farlo Etsi Deus non daretur.

D - Nuove aperture

Il terzo motivo per cui Lutero alla Dieta di Worms del 1521 rifiuta di ritrattare i suoi scritti è la coscienza (dopo la S. Scrittura e la ragione). Questa linea di pensiero doveva incidere sulle tappe della futura teologia protestante. Non è quindi un caso che Kant con la sua Critica del Giudizio inviti a ritornare su questo tema intessendo sulla sua nozione del "soprasensibile", del "sentimento" e della "coscienza" quella teologia protestante che si esprimerà in tutto il secolo XIX.

Sarà Friedrich Daniel Schleiermacher (1768-1834) a trarre le indicazioni più incisive del suo tempo. Con lui siamo in piena rottura rispetto ai dogmi tradizionali della fede cristiana perché la religione riguarda anche il non credente che ha, come tutti gli uomini, una sua religione, cioè una coscienza viva del divino al di là dello psicologico e del condizionato. Si tratta del sentimento immediato di dipendenza dall'incondizionato: un'esperienza autonoma e indistruttibile, un criterio di valutazione del fenomeno religioso che si trasforma in una via d'accesso alla teologia e in un appello all'adorazione di Dio dentro di noi. La religione è un atto di creazione originaria che non dipende dalla metafisica e dalla morale. Per i liberali protestanti del suo tempo si rilevava ancora una certa vaghezza di contenuto mentre per i non liberali del secolo successivo si vedeva nel cristianesimo di Schleiermacher la riduzione ad una "provincia del tutto", del fenomeno religioso generale.

Nonostante il successo enorme di Schleiermacher vanno notate alcune reazioni significative e anche ulteriori innovazioni. (5)

Albrecht Benjamin Ritschl (1822-1889) e la sua scuola fanno di Kant il filosofo del protestantesimo. Non vi sono giudizi sull'essere ma soltanto giudizi di valore in quanto l'esperienza non può essere fonte di verità. L'amore di Dio lo fa Padre di tutti; Cristo è il rivelatore perfetto, il prototipo dell'umanità e l'ideale etico. Il peccato originale diventa il regno del peccato e la riconciliazione risponde all'attuazione dell'ideale umano. Il grande merito di Ritschl rimane quello di aver stimolato il metodo storico; critico sollevando tuttavia l'interrogativo se mai sia possibile basare la fede sui risultati della ricerca scientifica. (6)

viene proposta la nuova categoria dell'"a priori" religioso: una struttura, un "qualcosa" nella mente da cui sorge la religione. Come non essere sensibili alle enormi masse di vita religiosa? Ogni religione è una verità su Dio corrispondente alla tappa comune del divenire dello Spirito. Troeltsch diventerà il campione del Kulturprotestantismus ma si renderà sempre più indipendente dal dogma cristiano fino a lasciare il sospetto di un confine evanescente tra cristianesimo e religioni orientali. (7) (Das Heilige) parla di un "a priori" nella struttura della mente, che non può essere riferito ad altre categorie. È un dato primario e non razionale che può soltanto essere discusso, evocato, ma mai definito. È una "capacità" innata di ricevere e di capire, appartiene allo spirito umano e non alla natura. Non c'è quindi una religione naturale (dovuta alla fantasia e prodotta dall'uomo), ma soltanto una ricettività nei confronti del "sacro", del "Totalmente Altro", dello Spirito. Otto libera la storia delle religioni dalle ipoteche naturali e metafisiche. Il "sacro" e un a priori", un dato ineliminabile erompente dall'anima, un'intuizione interna e contemporaneamente un'attestazione dello Spirito divino che promuove dall'esterno il risveglio e la vera esperienza religiosa. Ciò che è in potenza nelle altre religioni è già in atto nel cristianesimo. (8)

E - Chiarimenti: Karl Barth e Paul Tillich

sono sicuramente i massimi teologi dell'area protestante del XX secolo. Il loro pensiero ha influenzato trasversalmente tutte le confessioni cristiane ed ha avuto ampie ripercussioni sulla filosofia recente. Entrambi hanno dovuto lasciare la loro cattedra in Germania con l'affermarsi del nazismo e hanno inciso sull'evolversi delle idee socialiste della nostra epoca. Entrambi prendono le mosse dalla teologia kerigmatica diventata determinante, come reazione al liberalismo del secolo precedente, con il succedersi degli eventi dopo la prima guerra mondiale. Ciononostante molte delle loro affermazioni sembrano contraddittorie e il dialogo in lontananza (tra l'America e l'Europa) non facilitava certo l'emergere della comune radice e dei loro parallelismi. Kant è per loro un forte momento di convergenza (il solo che ci interessa a questo punto) sul quale ci dobbiamo soffermare.

Per Barth, Kant non ha disonorato la metafisica anzi l'ha onorata partendo dalla ragion pratica. La cosiddetta conoscenza di Dio, della libertà e dell'immortalità è un autoinganno e una presupposizione: un insieme di intuizioni inadeguate che appartengono al "soprasensibile”, ma non "soprannaturale" estraneo alla conoscenza empirica. Quando parliamo di "essere" non parliamo di Dio. L'idea di Dio ha certamente un influsso sulla volontà, ma costituisce un ricordo senza criterio valido per la pratica.

La filosofia della religione è relativamente necessaria, ma è opportuna. Infatti si dovrebbe aggiungere alla teologia un corso sulla dottrina religiosa puramente filosofica che abbia per oggetto le verità universali della ragione: un razionalismo puro della pratica alieno all'intellettualismo di maniera. Si tratterebbe di un'area ristretta e inclusa in quella più ampia della rivelazione. La filosofia della religione vuole interpretare la religione come fenomeno razionale. In questo senso Kant ha parlato da filosofo ai teologi.

Inoltre occorre tener presente in Kant il suo concetto di "male radicale" che rimane un mistero irrisolto. È un nemico che inganna e si nasconde dentro la ragione. L'uomo è malvagio e può diventare buono solo attraverso la rigenerazione: una rivoluzione nel modo di pensare e un cambiamento di cuore. Solo la grazia può risollevarci dalla nostra responsabilità perché Dio solo può perdonare in base a una giustizia non nostra. La ragione non protesta, ma sa che i misteri si collocano oltre i suoi limiti, appartengono all'area soggettiva; non siamo capaci di comprenderli.

Oltre alla filosofia della religione non c'è una filosofia della rivelazione e della fede. La teologia si occupa di cose estranee alla filosofia (e viceversa), non parla secondo le regole della pura ragione. Il teologo non può essere contaminato dal libero pensiero della filosofia, non parla di prove, ma dell'effetto che la Bibbia ha sul cuore umano; fa conto sulla grazia mediante la fede. (9)

Paul Tillich si trova in piena assonanza con la posizione barthiana: entrambi i teologi accettano la critica kantiana. Siamo limitati entro il mondo dei fenomeni e le nostre categorie non ci permettono di varcarne i confini. Non oltre la nostra finitezza! Kant ci insegna che solo la grazia di Dio può superare la separazione tra Dio e l'uomo. La volontà effettiva dell'uomo è perversa, a causa del male radicale, per cui la storia è una lotta continua tra il bene e il male. Il comandamento incondizionato dell'imperativo morale ci è dato - per Kant non c'è una mistica presenza del divino nell'uomo - ma non l'accogliamo.

Il teologo, servendosi di categorie che non competono al filosofo, afferma che Cristo soltanto può ristabilire l'unità. Il Regno di Dio instaura l'uomo essenziale che come simbolo si esprime in una filosofia dell'uomo morale sulla terra. In questo senso la religione entro i limiti della ragione rappresenta una piccola teologia sistematica. Le chiese empiriche, dominate da superstizioni e autorità, devono essere giudicate in base alla chiesa invisibile, composta da quanti sono determinati dalla ragione essenziale incontaminata dal male radicale.

Per Tillich tra teologia e filosofia non c'è né conflitto né sintesi; non hanno un terreno comune, procedono da fonti diverse e propongono contenuti diversi. Per questo va respinta una filosofia cristiana (sarebbe una "disonestà filosofica"), ma non la filosofia della religione che ha la sua ragion d'essere nella descrizione del fenomeno umano, nell'indagine di quegli interrogativi che emergono da ogni situazione esistenziale senza mai trovarvi una risposta. (10)

Per Tillich è quindi valida l'affermazione che Kant è il filosofo del protestantesimo. Si tratta di una fenomenologia laica non esposta ad una criptoteologia o ad una criptofilosofia.

Riassumendo

Kant ha posto decisamente uno sbarramento alla nostra conoscenza racchiudendola entro i confini del fenomeno. Da allora è preclusa la via della metafisica tradizionale all'area protestante e in genere alla filosofia moderna, impostasi con la Riforma (11) del XVI secolo. È vero che i "postulati", le "intuizioni", il "soprasensibile" e la "coscienza" di memoria kantiana offrono spesso il fianco alla tentazione di sfondare lo sbarramento di base e di oltrepassare i limiti della ragione, ma è difficile ottenere molto credito. Tuttavia diventa sempre più evidente che abbassando la fede al livello della filosofia della religione si cade nel secolarismo vuoto o nel sincretismo; viceversa elevando la filosofia della religione al livello della fede s'inciampa inevitabilmente nell'idolatria (nell'eresia del terzo articolo del Credo - secondo Barth), nella dea ragione o nelle ideologie più o meno nascoste. In un caso come nell'altro rimarremmo prigionieri del nostro narcisismo o dell'autogiustificazione. Occorre scegliere tra una "partenogenesi" o una "fecondazione" nell'incontro con l'Altro.



Note

1) P. Tillich, Umanesimo cristiano nel XIX e XX secolo, Ubaldini, Roma, 1971, p. 83.

2) K.R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. I, Armando Editore, Roma, 1996, pp. 49, 54, 495. In forte stile kantiano James Kavanaugh (The birth of God. A pocket edition, Simon &Schuster Ltd, Richmond, Ontario Canada, 1970) si oppone con rigore all'invasione dei miti della religione. Tuttavia non sempre i postulati indimostrabili della "critica del giudizio" di Kant rimangono entro i limiti del "soprasensibile", ma sembrano valicare i confini verso la "nascita di Dio" che ricorda più una teologia naturale che un "cristianesimo adulto" alla D. Bonhoeffer.
Vedi anche: T. Römer, I lati oscuri di Dio. Crudeltà e violenza nell'Antico Testamento, Claudiana, Torino, 2002.

3) Aa.Vv., Grande Enciclopedia filosofica, vol. XVII, Marzorati, Milano, 1971, pp. 344ss.

4) Ib., p. 142.

5) K. Barth, La teologia protestante nel XIX, vol.2, Jaca Book, Milano, 1979, pp. 11-51. Secondo Barth la teologia di Schleiermacher è una teologia della cultura in parallelo al concetto di Regno di Dio; l'uomo diventa soggetto e Cristo diventa predicato (p. 51).

6) Barth., La teologia, vol 2 pp. 260ss.

7) J. L. Neve, A History of Christian Thought, vol.2, The Muhlenburg Press, Filadelfia, 1946, pp. 159 ss.

8) Ib., pp. 161 ss.

9) Barth, La teologia, vol. I, pp. 313-354: "Sapere aude" p. 313, male radicale p. 339, Kant ha compreso che cosa sia la chiesa e la grazia p. 383.

10) Tillich, Umanesimo, pp. 83 ss. Cf. dattiloscritto di D. Müller, Morale, Culture et Religion dans la dynamique de l'Esprit, in PauI Tillich et l'experience religieuse contemporaine, Faculté de Theologie, Losanna, 1991, pp. 121 ss.

11) I richiami all'attualità di Kant attraversano il secolo XX da Rauchenbush con il Social Gospel, dal modernismo cattolico (Buonaiuti), da John Dewey fin dalla sua tesi di laurea, da Aldo Capitali fino a Karl Raimund Popper con la sua teoria della "falsificazione".
Particolari su questi temi si possono trovare in R. Bertalot, Per una chiesa aperta. L'eco di Kant nel mondo moderno, Edizioni Fedeltà, Firenze, 1999.

Pubblicato in Chiese Cristiane

Fasi della cultura europea d'oltralpe

L'attualità di Ugo Grozio (1583- 1645) *

di Renzo Bertalot

Premessa

Nel 1991 si riuniva a Canberra la settima assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Il tema dell'incontro riguardava i Segni dello Spirito. Venne alla ribalta una delle affermazioni molto forti: senza lo Spirito la nostra libertà è anarchia. È un'affermazione che fa riflettere e che richiama alcuni punti fondamentali della Riforma del XVI secolo. Va ricordato il Servo Arbitrio di Lutero contro Erasmo, il suo Piccolo Catechismo e anche i primi passi del suo commento al Magnificat in cui è detto che senza lo Spirito si fanno solo "chiacchiere"; il dono della grazia è una creazione dal nulla (ex nihilo). Così ancora va ricordato Calvino, il suo insegna­mento sulla predestinazione e sulla testimonianza interiore dello Spirito Santo. Tuttavia nella seconda metà del XVI secolo le posizioni, che sembravano irrinunciabili, subirono delle sfumature e delle attenuazioni; si risente l'eco del semi­pelagianesimo, di Erasmo e anche di Tommaso d'Aquino. (1) I Riformatori veneti opposero resistenza; tra questi Mattia Flacio Illirico, tacciato di semi-manicheismo. (2)

Il Sinodo di Dordrecht (13 Novembre 1618-9 Maggio 1619)

Con l'arrivo del secolo XVII si infittirono i contrasti tra le varie posizioni che stavano guadagnando terreno. Due correnti si consolidarono, fin dal 1603, attorno ad Arminio e a Gamarus. Arminio morì nel 1609, ma il suo pensiero fu raccolto in cinque articoli messi in circolazione nel 1610 dai suoi seguaci: i Rimostranti. Sostanzialmente si afferma che Cristo è morto per tutti e non solo per gli eletti, la pre­destinazione diventa prescienza in quanto Dio conosce in anticipo quelli che accoglieranno la salvezza: per credere l'uomo ha bisogno dello Spirito Santo, ma la grazia non è irresistibile.

Il Sinodo di Dordrecht si riunì per far luce sulle discus­sioni in corso e per giungere ad un chiarimento. Sotto l'oc­chio vigile di Maurizio d'Orange e dei principi tedeschi si costituì una assemblea che vedeva insieme i rappresentanti di quasi tutte le chiese emerse dalla Riforma. (3) L’attenzione ruotò intorno al Decreto Assoluto secondo il quale Cristo è morto solo per gli eletti: Dio dà la fede agli uni e agli altri (i reprobi) no. La decisione divina è stata presa da sempre cioè prima della caduta secondo la tesi dei gomaristi supralapsa­ri mentre per i rimostranti infralapsari la decisione di Dio è stata presa dopo la caduta prevedendo come avrebbero rea­gito gli uomini alla sua offerta di grazia. Per i primi la gra­zia è irresistibile, per gli altri è invece resistibile. (4)

I rimostranti ebbero la peggio. Le loro idee dovettero emigrare e trovarsi altri spazi di sopravvivenza. Il deismo inglese e la filosofia della religione sul continente affon­dano le loro radici e la loro fortuna nei richiami degli sconfitti del sinodo di Dordrecht.

Nel frattempo si affacciano altre prospettive che sti­molano riflessioni e ripensamenti intorno alle affermazio­ni dei vincitori. Si pone il problema della certezza della propria salvezza. Se Dio benedice i prescelti quali sono i segni che confermano la loro elezione? Per Calvino la sicurezza non la si può ottenere considerando le opere: sarebbe un'autogiustificazione. Barth rileva un forte avvi­cinamento dei riformati al Concilio di Trento per cui i frutti della fede danno la certezza dell'elezione (dimenti­cando così l'albero, cioè il Cristo). In tal senso anche le decisioni di Dordrecht sono "poco accettabili" e “poco convincenti". Cristo passa in secondo piano mentre in primo piano rimane la testimonianza personale dell'uomo eletto, testimone di se stesso. Si confondono le opere della fede con la fede delle opere. L'insistenza sul decreto asso­luto si rivela un "cattivo punto dì partenza". Alla fine l'in­teresse per i teologumeni diventa contraddittorio e cade. (5)

Ugo Grozio (1583 -1645)

Ugo Grozio era un famoso giurista olandese, fortemen­te impegnato nella Riforma. Al sinodo di Dordrecht sostenne la corrente arminiana in contrapposizione al radi­calismo calvinista di Gomar. Si trovò dalla parte perdente e venne condannato al carcere perpetuo, (6) ma la moglie riuscì a farlo evadere. Accolto a Parigi da Luigi XIII ebbe l'incarico di ambasciatore svedese presso la corte di Francia. Era un credente e un teologo, ma il libro che lo rivelò all'attenzione mondiale fu il De jure pacis ac helli del 1625. È considerato il fondatore del diritto internazionale e padre del diritto naturale in opposizione alla scolastica aristotelica e in assonanza con le tesi della Riforma. Con lui si affermano il " laicismo giuridico", la secolarizzazione come “giusnaturalismo laico" e la "scuola di diritto naturale laico". Con Grozio, secondo Nicola Abbagnano, abbiamo la più matura e perfetta formulazione del diritto naturale: un'autentica nascita della filosofia del diritto.

Grozio aveva un forte senso della responsabilità indi­viduale, derivante dalla fede, ma passando dalla teologia al laicismo riteneva necessaria una variazione del vocabo­lario. I termini "fede", "salvezza", "peccato" non vanno certamente dimenticati, ma non hanno spazio nell'area dei valori penultimi che impegnano credenti e non cre­denti indistintamente. Bisogna imparare a ragionare Etsi Deus non daretur, cioè come se Dio non ci fosse (per Grozio è quasi un orrore dirlo). Occorre pertanto tra­sporre i modelli teologici in modelli laici e attuare una secolarizzazione del sacro. Si tratta di fare un passo al di là di ogni confessionalismo e delle formule coraggiose già discusse al tempo della Riforma: "religione civile" o "reli­gione pubblica" o “uso civile della legge”.

Presso tutte le genti (apud omnes gentes) l'incontro con l'altro, il diritto naturale, trova il suo fondamento nella società e nella ragione. V'è per tutti un appetitus societatis che cerca di stabilire un consenso in vista della vita asso­ciata e che di conseguenza impegna a stare ai patti.

L’organizzazione della vita sociale è l'opera dell'uomo basata sulla sola ragione. Il diritto naturale è indipendente dalla teologia, dalla politica e dalla morale. Ciò che è giusto in sé non va confuso con ciò che è giusto davanti a Dio. (7)

Con Grozio ci troviamo ad un nuovo inizio della rifles­sione sul diritto naturale. Tra la vecchia scolastica e la nuova via intrapresa v'è una rottura che semmai richiama l'Umanesimo, il Rinascimento, con il suo ritorno a Platone, e la Riforma.

Rinvii

Con Grozio ci troviamo ad una svolta decisiva della filosofia del diritto contemporaneo. Sulla sua scia si muo­veranno i nomi più prestigiosi del protestantesimo imme­diatamente successivo. La nozione di natura e quella del bene tendono a ricadere nel vago o nell'assolutismo dell'eteronomia. Il libro della natura ognuno lo legge come vuole e la nozione del bene non trova d'accordo il pesce grande e il pesce piccolo.

Ogni cultura dà una forma alla sostanza della religio­sità fatta di significati per i quali si può essere pronti a dare la propria vita. Alla fine del processo ci troviamo ad un punto irrazionale (per E. Fromm una devozione) che invano si cerca di ridurre alla razionalità. La cultura ha un aspetto dinamico e fluttua del continuo. È l'ambito del diritto naturale che si evolve tra ciò che è giusto per l'oggi e ciò che non lo è più. Il legislatore vi attinge per tradurlo in lettere di alfabeto (il diritto positivo, da positum). Possiamo quindi dire che il diritto naturale è la culla del diritto positivo, ma ne è anche la bara perché appena formulato è già vecchio: non riesce a stare al passo con la dinamicità dell'evoluzione storica. È decisi­vo poter gestire la diversità che deriva dall'incontro con l'altro. Il diritto naturale è un concetto limite, un'esi­genza di giustizia, un segno della libertà interiore che sempre precede quella esteriore. Si fa presente nelle soluzioni negoziate e nel dialogo. In sua assenza il dirit­to positivo è completamente nelle mani del legislatore e può facilmente cedere alle tentazioni dittatoriali o inte­griste.

Il discorso riguarda anche le chiese. Per questo Kant, il filosofo del protestantesimo e assertore della sola gratia, ha ritenuto che la chiesa visibile è "repellente" perché impone i suoi dogmi. (8) E. Troeltsch ricorda Grozio: ha avuto il merito di liberarci dall'invadenza delle chiese. (9)

Va inoltre ricordato in modo particolare Dietrich Bonhoeffer e la sua interpretazione non religiosa del cri­stianesimo. La religione è “carne" mentre la fede è "Spirito"; la religione non è altro che una «forma espres­siva dell'uomo». Il linguaggio religioso va abbandonato perché i tempi sono cambiati ed occorre una terminolo­gia diversa, una traduzione adeguata ad un cristianesi­mo adulto per parlare del Regnum Christi; del Cristo l’uo­mo per gli altri. Occorre una forte dialettica tra identità e identificazione, una lettura cristologica della realtà per evitare che la necessaria identificazione diventi idolatria o utopia. «Viviamo nelle penultime cose, e crediamo nelle ultime", secondo la ben nota formula di Ugo Grozio: Deut non daretur. (10)

Non si può trascurare l'apporto significativo di K. Barth, uno degli esponenti più significativi della teologia protestante del XX secolo. (11) Nel suo scritto Communauté chrétienne et communauté civile troviamo molte assonan­ze significative con il pensiero di Grozio.

Lo Stato non sa nulla del Regno di Dio e perciò va affrontato senza appellarsi a Dio o alle Sacre Scritture. I cittadini sono tali indipendentemente dalla loro fede in Dio o nella rivelazione. La comunità civile non ha altro punto di riferimento che il diritto naturale e le sue utopie, rimane nel vago, orientata verso il giuspositivismo. Lo Stato non sa quale sia il vero criterio della giustizia; può agire e discutere solo entro i limiti dell'intelligenza. A questa discussione partecipa anche la chiesa facendosi corresponsabile e rallegrandosi degli eventuali paralleli­smi con il diritto naturale (parabola del Regno di Dio sco­nosciuto).

Il cammino ecumenico

Il primo millennio ci lascia in eredità alcune difficoltà con l'oriente cristiano che ancora stentano ad essere supe­rate. Pensiamo alla discussione sul Filioque e alla data della Pasqua. Certo il 1054 ha rappresentato un momen­to, difficile per l'occidente escluso dalla vera chiesa (orto­dossa), che negli ultimi tempi, con Paolo VI, tende al superamento dello scisma tra Roma e Costantinopoli. La presenza degli ortodossi nel movimento ecumenico del XX secolo ha contribuito a riportare all'attenzione delle chiese la nozione di conciliarità, la necessità di un ecume­nismo temporale (rileggere la storia cristiana insieme) in sostituzione di un ecumenismo spaziale basato sul con­fronto odierno delle varie posizioni confessionali. Ultimamente si è però registrato un malessere crescente per quanto riguarda il funzionamento del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Le questioni pratiche oscurava­no eccessivamente l'obbiettivo comune della ricerca dell'unità visibile della chiesa per cui lo stesso modo di sten­dere le dichiarazioni finali delle assemblee metteva a disa­gio la componente orientale. La presenza di un così gran numero di chiese membro riduceva a forte minoranza la componente ortodossa. Si rendeva quindi necessaria una ristrutturazione del funzionamento tradizionale del Consiglio Ecumenico delle Chiese.

Le commissioni stabilite in vista di questo scopo hanno cominciato a preparare i documenti necessari ad una soluzione soddisfacente che sarà presa in considera­zione dal Comitato Centrale. Saranno esaminate le que­stioni ecclesiologiche, la preghiera comune, il modo di prendere le decisioni e le qualità necessarie per essere accolti come membri del CEC. Intanto si può organizzare un forum su un qualsiasi argomento particolare in via di consultazione.

Interessante al nostro scopo è mettere in rilievo la pro­posta di un metodo di consenso per vagliare l'opinione prevalente tra i partecipanti senza dovere ricorrere ad una votazione. Il metodo si dispiega in cinque possibilità: 1 - l'unanimità, 2 - La discussione riflette esaurientemente l'opinione generale dei presenti il che è riconosciuto dalla minoranza, 3 - le divergenze vengono segnalate nella pro­posta finale, 4 - i partecipanti rinviano la discussione, 5- i partecipanti sono d'accordo nel non prendere alcuna decisione.

A cavallo del terzo millennio ci si rende conto che la tradizionale votazione democratica non rende giustizia alle attese comuni (Hitler era stato votato al 75% !).

Siamo così giunti all'attualità del pensiero di Ugo Grozio: un forte appello alla pace e alla tolleranza all'epoca dell'inquisizione e delle guerre di religione Occorre trovare il consenso (internazionale) più ampio possibile e lasciarlo attentamente allargarsi e correggersi in quanto tutti (apud omnes gentes) sanno cos’è ingiusto e ripu­gnante. Nel contesto della filosofia del diritto, dei valori penultimi, del cristianesimo adulto di Bonhoeffer, del diritto naturale (parabola del Regno di Dio) di Barth, possiamo usufruire dei suggerimenti anche per il cammi­no ecumenico e la comunione reale già vigente nonostan­te le imperfezioni reciproche. Intanto il discorso sui valo­ri di mezzo tra l'invariabilità dell'Evangelo e il continuo fluttuare della situazione storica (middle axioms), dall'in­contro di Seul (1990) si allarga a tutte le religioni e tocca la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato, la dignità umana, la libertà religiosa, la reciprocità. Lo stesso pon­tefice Giovanni Paolo II nel rivolgersi al mondo islamico si richiama a temi di comune interesse.

Ugo Grozio ci lascia il suo messaggio e aggiunge una prospettiva alla quale dovremmo prestare la massima attenzione: al consenso segue lo stare ai patti. Forse que­sto è il punto più difficile. È una sfida che ci precede nella nostra marcia e che ci giunge da tempi lontani, molto tri­sti e spesso molto duri. È il cielo sereno dopo la tempesta.

Note

* Cf. R. Bertalot, La prospettiva protestante, in Rivista di teologia morale, n.134, (2002), pp. 185-190.

(1) K. Barth, Dogmatique, vol. VIII, Labor et Fides, Ginevra, 1958, pp.149, 334 ss.

(2) P. Tillich, Teologia sistematica, vol .II, Claudiana, Torino, 2001, p. 49.

(3) Barth, Dogmatique, vol. VIII, p. 69

(4) J. L. Neve, A History of Chistian Thought, vol. 2, The Muhlenburg Press, Filadelfia, 1946, pp. 16-26.

(5) Barth, Dogmatique, vol. VIII, pp. 61, 117, 332-339.

(6) G. Spini, Storia dell’età moderna, Torino, 1965, vol.3, p. 520.

(7) R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993, pp. 83-89.

(8) R. Bertalot, Per una chiesa aperta. L'eco di Kant nel mondo moderno, Ed. Fedeltà, Firenze, 1999, p. 16.

(9) Neve, A History, p. 26.

(10) R. Bertalot, Fasi della cultura europea d’oltralpe, ISE, Venezia, 2002, p. 48.

(11) R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo, p. 89.

* (in R. Bertalot, Fasi della cultura europea d’oltralpe, ISE, Venezia, 2002, pp. 37-45)

Pubblicato in Chiese Cristiane

Fasi della cultura europea d'oltralpe

Mattia Flacio (1520-1575):
agli albori del luteranesimo *
di Renzo Bertalot


Venezia

Al di la delle Alpi si riteneva che la capitale della Serenissima potesse sponta­neamente aderire alla Riforma protestante e diventare così la “Ginevra Italiana”. (2) e Giordano Bruno rife­rendosi ad Enrico IV di Francia. Nel 1542 Bernardino Ochino scrisse al Senato della Repubblica (3) e nel 1545 Pier Paolo Vergerio già vescovo di Capodistria, passato al pro­testantesimo, invitò ufficialmente, a nome dei principi tedeschi, il doge Francesco Donà a prendere posizione a favore della Riforma. (4) Dal 1553 al 1562 Giovanni Andrea Ugoni continuò a sperare che Venezia accettasse l'invito rivoltole più volte. (5) Mattia Flacio, nel 1570, scrisse al Doge, (6) ma fu un'illusione.

I libri della Riforma ebbero un'ampia circolazione a Venezia che fu anche un centro di esportazione. Si calcola che circa quarantamila copie del Il Beneficio di Cristo, ritenuto il cate­chismo della Riforma, circolassero a Venezia. Si ritiene che sei­mila studenti, cosiddetti "luterani", frequentassero l'università a Padova. E seicentottanta danesi vi studiarono durante il XVI secolo. (7) Inoltre vi furono almeno due sinodi anabattisti.

Molti teologi italiani passarono alla Riforma e diven­nero titolari di prestigiose cattedre in Inghilterra, Germania e Svizzera.

Tuttavia per motivi di sangue blu e di famiglia, (8) vi furo­no anche molte esitazioni e ben presto i riformatori al di là delle Alpi dovettero rendersi conto che i principi italiani non avevano autorità sufficiente per introdurre la Riforma nei loro paesi. (9)

Bisogna tenere presente che le turbolenze dal punto di vista religioso si aggravarono e si complicarono con il 1547, anno della morte di Enrico VIII, di Francesco I e della sconfitta a Mühlberg della Lega di Smalcalda organizzata dai principi protestanti in funzione antiasburgica. (10)

Filippo Melantone (1497-1560)

Non è possibile richiamare il nostro tema senza che il nostro pensiero vada immediatamente a Melantone (gre­cizzato da Schwartzerdt), personaggio chiave del periodo accanto a Lutero.

Filippo Melantone nacque a Bretten il 16 febbraio 1497. A diciassette anni era già professore a Tubinga e in seguito insegnò ebraico e greco a Wittenberg collaborando con Lutero alla traduzione della Sacra Scrittura. Nel 1521 furono pubblicati i Loci communes rerum theologicarum (la prima opera dogmatica della Riforma) (11) che circolarono rapidamente in tutta Europa e costituirono la base di partenza dei circoli riformati italiani. Melantone si occupò anche di storia, di matematica, di astronomia e di scienze naturali.

Essendo Lutero bandito dall'Impero, toccò a Melantone presentare alla Dieta la Confessione di Augusta del 1530. Lutero l'aveva preventivamente appro­vata. In vista di salvare il salvabile la confessione si limitò a sottolineare gli "abusi" da rivedere. Melantone perciò fu considerato un uomo di compromesso.

Per quanto riguarda l'Italia sia i Loci che la Confessione Augustana trovarono l'epicentro della loro diffusione a Venezia, a Padova, a Modena, a Roma, a Napoli, a Siena e a Firenze. Abbiamo già ricordato che Melantone visitò Udine e Trieste e che nel 1539, da Norimberga, scrisse al senato della Repubblica Veneta.

I testi circolavano anche sotto il nome italianizzato di Ippofilo da Terra Nera. (12)

Melantone morì a Wittenberg il 19 aprile 1560 e fu sepolto accanto a Lutero nella chiesa del Castello.

Fu considerato, per la vastità del suo insegnamento e la riorganizzazione dell'educazione scolastica Praeceptor Germaniae, Praeceptor Scandinaviae, Praeceptor Europae e lo fu certamente anche dell’Italia nell'ambito della Riforma protestante. (13)

Mattia Flacio (1520-1575)

Mattia Flacio nacque il 3 marzo 1520 ad Albona qualche decina di chilometri a Nord-Est di Pola, città a maggioran­za luterana ai tempi del vescovo Pier Paolo Vergerio. Studiò a Venezia; fu particolarmente attento al Rinascimento. Andò a Basilea. Incontrò Gasparo Contarini a Ratisbona nel 1541 e poi si recò a Wittenberg dove aderì decisamente alla Riforma convintosi sulla giustificazione per fede. Ebbe la stima di Lutero ed ottenne la cattedra di ebraico e più tardi quella di Nuovo Testamento a Jena. (14)

Il 24 aprile del 1547 la Lega antiasburgica dei principi protestanti fu sbaragliata a Mühlberg. Con l'Interim di Augusta 1548 e poi di Lipsia, con la perdita dell'Elettore Maurizio passato nelle File di Carlo V, le imposizioni dei vin­citori passarono senza protesta. Non si menzionò la giustifi­cazione per fede. (15) La messa fu ristabilita ovunque (anche a Wittenberg, dove Lutero era morto nel 1546). Carlo V con­cesse effettivamente il matrimonio dei preti e il calice ai laici. L'esperimento fu tentato a Strasburgo, ma fallì. (16)

Non si parlò più di giustificazione in senso luterano, ma di giustizia infusa: la fede divenne una virtù e l'autori­tà tornava sub Petro.

Allora insorse energica­mente Flacio che divenne il capo dell'opposizione a Melantone e ai suoi sostenitori detti filippisti. La Riforma intanto si riafferma. (18)

Contro Melantone presero posizione molti teologi riformati. Lo stesso Calvino ritenne vergognoso l'atteg­giamento di Melantone. (19) Flacio era burbero di carattere e comunque intransigente sostenitore del dogmatismo luterano ortodosso. Lascia Wittenberg in rottura con Melantone. Nel 1562 gli muore la moglie; più tardi si risposerà. (20) Nel 1570 scrive al doge di Venezia invitando­lo ad abbracciare la Riforma: un'illusione. Visita Anversa. Il 12 marzo 1575 muore a Francoforte sul Meno.

Tra gli scritti di Mattia Flacio rimarranno significativi attraverso i secoli: la Clavis Scripturae Sacrae, un'opera siste­matica della riforma luterana del 1567 e le Centurie di Magdeburgo (1559-74), in tredici volumi (ne erano previsti sedici: uno per ogni secolo), frutto di molti viaggi e della consultazione di molti manoscritti. (21) Flacio cercò di stabili­re attraverso i secoli una catena di testimoni dell'Evangelo come autentica successione apostolica. In questa linea lodò anche i valdesi. L’opera segna la rinascita della storiografia. (22)

Mattia Flacio rimane una delle figure più significative della seconda generazione della Riforma protestante. (23)

La Formula della Concordia: dispute e conclusioni

Non è compito nostro soffermarci sulla Formula di Concordia. Essa è diventata uno dei libri simbolici della chiesa luterana e continua ad interpellare le chiese. (24) Raccoglieremo qua e là qualche spunto sulla contrapposi­zione che era venutasi a creare. La Concordia ha voluto esprimere un giusto equilibrio tra le parti. Intanto non va dimenticato che nel 1542 viene introdotta l'inquisizione di tipo spagnolo che porrà fine ad ogni tentativo di ade­sione alla Riforma in Italia. Inoltre sempre nel 1542 v'è la confluenza di calvinisti e di zwingliani nella Chiesa Riformata. Seguono il Concilio di Trento (1545), la scon­fitta antiasburgica dei principi protestanti (1547), gli Interim di Augusta e di Lipsia (1548-49), avallati senza protesta. (25) V'è notevole scompiglio dovuto alla restaura­zione della messa cattolica e il passaggio dell'elettore Maurizio alle file di Carlo V.

Melantone è visto come l'uomo del compromesso e della tolleranza, ma anche di velato sinergismo. È stanco della rabies theologorum. (26)Sull'eucaristia è accusato di criptocalvinismo per essersi avvicinato alle idee di Bucero e di Calvino. Sulla questione degli adiafora, degli elemen­ti dogmaticamente insignificanti, dimostra una certa apertura, ma Flacio, diventato il capo degli oppositori a Melantone interviene avvertendo che non bisogna mai cedere agli avversari. Occorre sempre riaffermate la Riforma.

La Formula della Concordia trovò una via di mezzo tra i contendenti.

Sulla giustificazione Melantone e Flacio erano d'accor­do, in quanto la fede è madre e fonte di buone opere, ma non lo erano sulla necessità di buone opere per la salvez­za e sulla predestinazione. In materia di cooperazione la volontà non resiste, ma si adatta, ha quindi la capacità di una giusta decisione nonostante il peccato originale. Ma per Flacio Dio solo converte perché il peccato ha trasfor­mato sostanzialmente l'uomo in una immagine di Satana. La Formula della Concordia respinge sia i flaciani sia i sinergisti: lo Spirito Santo può illuminare l'uomo verso l'obbedienza e la cooperazione; si tratta di un inizio nuovo della vita anche se permangono imperfezioni. Chi cade non va ribattezzato, ma riconvertito.

I teologi luterani si trovavano divisi in sostanzialisti o accidentalisti. Ma il peccato come sostanza non trovò cre­dito e Mattia perse la cattedra a Wittenherg, da dove già erano stati cacciati i filippisti.

Il seguito nei nostri tempi

Per descrivere l'incapacità dell'uomo a salvarsi, la Formula delta Concordia afferma, secondo Flacio e giu­stamente secondo Barth, che l'uomo è truncus et lapis perché l'alleanza è irrimediabilmente rotta. Tuttavia per Barth l'alleanza non è abolita perché opera onnipotente di Dio. Dio continua a pronunciare il SI’ sull'uomo, ne assume la morte per vincerla. L’uomo pecca nel dominio di Dio che solo decide quel che l'uomo è. È sotto l'auto­rità della Parola anche come fallito. L'uomo muore davanti a Dio.

Non è possibile quindi considerare l’"ateismo ontolo­gico" di Flacio che fa dell'uomo l'immagine sostanziale del diavolo. Lo status corruptionis è una degenerazione della relazione. La colpa è una questione di orgoglio: un debito, una negligenza una mancanza e una confusione del rapporto. L’uomo è responsabile del dono ricevuto, ma non ha la libertà alla quale è chiamato; scatena così il caos. La sola riparazione sta nel perdono perché l'uomo non è senza Dio. Di fronte a questo mistero dell'onnipo­tenza divina bisogna fermarsi senza tirare in ballo l'onni­presente tentazione della religione. (27)

La discussione sulla "cooperazione", sulla "sostanza" e sulla «relazione" continuerà a travagliare, con accenti diversi a seconda delle epoche, la teologia dei secoli suc­cessivi. Allo scadere del XX secolo si possono intravede­re le luci antesignane di tempi nuovi. Si tratta della Concordia di Leuenberg, della Dichiarazione Congiunta sulla giustificazione per fede (28) e della Carta Ecumenica per l'Europa. Sono documenti collettivi che trovano un sempre più ampio consenso tra le chiese e le singole comunità che rivelano l'inutilità dei dialoghi captativi (proselitismo) o oblativi (perdita d'identità). La disponi­bilità al dialogo (al cambiamento) sembra aprire nuovi orizzonti lasciando sedimentare nelle biblioteche e negli archivi, a beneficio degli studiosi, la storia dell'incomuni­cabilità degli uomini e della divisione delle chiese.

Note

* Il presente testo è apparso in Studi Ecumenici, cf. R. Bertalot, Mattia Flaco: agli albori del luteranesimo, in Studi Ecumenici, 20 (2002), pp. 453-459.

1) S. Caponetto, Melantone e l’Italia, Claudiana Torino, 2000 p 19.

2) R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofa del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993.

3) S. Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino, 1992, pp. 60 ss.

4) Id.

5) G. Gullino (a cura), La Chiesa di Venezia tra Riforma Protestante e Riforma Cattolica, Ed. Studium, Venezia, 1990; cf. S. Tramontin, Tra Riforma cattolica e Riforma protestante, in S. Tramontin (a cura), Storia religiosa del Veneto. Patriarcato di Venezia, Giunta Regionale del Veneto – Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1991, p. 100.

6) E. Comba, I nostri protestanti Il, Claudiana, Firenze, 1895, p. 383.

7) F. Melantone, Lettere per l'Europa, Claudiana, Torino, 2000, p. 46; cf. S. Caponetto, Benedetto da Mantova. Marcantonio Flaminio: Il Beneficio di Cristo, Claudiana, Torino 1975.

F. Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del '500, Franco Angeli, Milano, 1999. D. Cantimori; Umanesimo e religione nel Rinascimento, Einaudi, Torino 1975, pp. 183-188.

10) Caponetto, La Riforma protestante, p. 229.

11) Melantone, Lettere, p. 24.

12) Caponetto, Melantone; pp. 7, 27, 55-59.

13) Melantone, Lettere, IVs,, 27, 46-55.

14) Comba, I nostri protestanti Il, pp. 361ss.

15) J. L. Neve, A History of Christian Thought I, The Muhlenberg Press, Filadelfia 1946, p. 295.

16) Caponetto, La Riforma protestante, p. 179.

Comba, I nostri protestanti II, p. 370; K. Heussi, G. Miegge, Sommario di storia del cristianesimo, Claudiana, Torino, 1960, pp. 215 ss.

18) Comba, I nostri protestanti II, p. 370.

19) Neve, A History, pp. 295s.

20) Comba, I nostri protestanti II, p. 381.

21) L. A. Loescher, Twentieth Century Enciclopedia of Religious Knowledge, Baker Book House, Grand Rapids 1955, voce Flacius,

22) Comba, I nostri protestanti Il, p. 376.

23) Loetscher, Twentieth, voce Flacius.

Tillich, Storia del pensiero cristiano, Ubaldini, Roma 1969, p. 265.

25) Neve, A History, pp. 295-304.

26) Cornba, I nostri protestanti II, pp . 368ss. pp. 375-390.

27) K. Barth, Dogmatique, vol. XVIII, Ed. Labor et Fides, Ginevra 1966, pp. 134ss.

28) R. Bertalot, Fasi della cultura europea d'oltralpe, Istituto di Studi Ecumenici, Venezia 2002, pp. 52-58.

Pubblicato in Chiese Cristiane
Venerdì, 07 Aprile 2006 01:19

Salve Venezia (Renzo Bertalot)

Salve Venezia

di Renzo Bertalot

1. Premessa

Non si può ricordare l'ecumenismo che si è sviluppato a Venezia negli anni sessanta senza richiamare i precedenti che lo hanno determinato. Si tratta di richiamare rapidamente l'esperienza fatta all'estero e più precisamente in Canada negli anni 1954-61.

Appena consacrato pastore dal sinodo valdese del 1954 trascorsi i primi sette anni del mio lavoro con la comunità italiana della Chiesa Presbiteriana del Canada, che si trovava a Montreal, nella provincia del Quebec. Era necessario conoscere le due lingue del luogo e mantenere i rapporti ecclesiastici in inglese. Ero uno dei tanti pastori stranieri al servizio degli emigranti europei. I particolarismi e i provincialismi di ognuno cedevano lentamente il passo all'interesse comune per il pane quotidiano e alla spontanea e reciproca solidarietà.

Le comunità di lingua straniera erano luoghi di forte aggregazione. Nonni, figli e nipoti si trovavano insieme in tutte le attività. Con il tramonto dei nonni bisognava inserire le nuove generazioni nel mondo inglese e vederle cavalcare i fusi orari senza apparente difficoltà. La consistenza delle comunità era evidentemente destinata ad assottigliarsi sempre più. A quarant'anni di distanza la mia antica comunità italiana si è trasformata in comunità presbiteriana coreana.

Le comunità di lingua inglese o francese subivano un fenomeno analogo nel senso che ogni anno il settantacinque per cento si trasferiva altrove e veniva sostituito da elementi delle stessa lingua. Così diversa dall’Europa la cura pastorale si trasformava nell’esercizio di un ministero a favore di una continua processione di gente sempre in movimento.

Anche gli studi assumevano aspetti diversi almeno per le minoranze degli immigrati. Con un titolo universitario italiano era possibile iscriversi agli studi per il Master soltanto dopo alcuni esami integrativi. Si poteva allora, dopo aver frequentato i corsi, presentare una tesi per ottenere il Master che, se valutata positivamente, permetteva la continuazione degli studi verso il dottorato di ricerca (Ph.D.). superati gli esami in lingua straniera e quelli generali delle sei cattedre di teologia si era ammessi a presentare una tesi definitiva per il dottorato di ricerca (Ph.D.). ricordo una curiosità oggi ancora lontana dall’orizzonte europeo. Mi fu, tra l’altro, richiesta una dissertazione scritta sulla preghiera nell’Islam. L’esame orale avrebbe avuto luogo all’Istituto Islamico dove non c’era neanche un cristiano. Ora il dottorato di ricerca ammette direttamente alla carriera universitaria o a quella diplomatica. Anche nel mio caso tutto era possibile. E la cattedra c’era! Bastava un sì, ma avevo promesso alla mia chiesa di tornare in Italia dopo i sette anni di missione. E così fu.

Come si sa ogni ritorno comporta gioie e dolori, ma il nostro fu funestato dal più grande dolore che genitori possano conoscere: la perdita di un figlio di soli cinque anni.

2. Ecumenismo veneziano anni sessanta

Negli anni sessanta eravamo in pieno Concilio Vaticano II e le notizie ecumeniche, messe in circolazione, facevano presentire l’aprirsi di un’epoca nuova. Era entrato in gioco un nuovo modo di pensare che aveva rari precedenti storici. Si parlava dell’incontro dei fratelli cristiani sulla base del par cum pari, delle gerarchie delle verità in rapporto al nesso centrale e di una perennis reformatio.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese seguiva con vari osservatori le fasi evolutive della nuova apertura. Allo stesso modo l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e una serie notevole di teologi tracciavano le vie per orientare l’incontro delle chiese e incoraggiare confronti ed eventuali divergenze. Le Chiese in Italia si trovarono a fare i conti con un passato difficile, più incline al monologo che al dialogo.

Nonostante queste difficoltà vi furono incontri ecumenici fruttuosi tra le comunità locali: “fra i primi quello di Venezia per opera del pastore Renzo Bertalot e del teologo don Germano Pattaro” (1). Era giunto il momento di lasciar cadere le iniziative sporadiche ed occasionali per lo più a carattere sociale.

Il Sinodo Valdese del 1962 invitò tutte le comunità a dedicare un anno di studio al problema dei matrimoni misti. Come pastore, appena approdato a Venezia, cerca di mettere in moto un aspetto della metodologia ecumenica, lungamente attestato all’estero, che faceva parte della mia settennale esperienza canadese. È infatti importante che il “diverso da noi” presenti se stesso per evitare fraintendimenti e mistificazioni. Fu quella l’occasione per chiedere udienza al patriarca cardinale Urbani ed ottenere che la posizione cattolica venisse presentata alla comunità valdese da un teologo cattolico. Era la richiesta di un servizio che escludeva polemiche e si limitava a domande di precisazione e di approfondimento. Con molta cortesia l’invito fu accettato e don Germano Pattaro arrivò alla chiesa valdese di Venezia insieme a Mons. D’Este. Si trattava di studio e non certo di programmare un matrimonio misto.

L’incontro ebbe un risultato molto positivo e facilmente si prolungò nel tempo. Nonostante la forte minoranza valdese l’incipiente interesse interconfessionale si allargò sempre più a livello di base favorendo la conoscenza di diverse comunità cattoliche cittadine.

Stava maturando una nuova metodologia ecumenica -Dall'incontro con il "diverso" si passò all'informazione reciproca diretta man mano che da Roma e da Ginevra uscivano documenti orientati verso il confronto e la convergenza. Non c'è formazione senza informazione perché, come già si diceva alla conferenza di Losanna nel 1927, è necessario andare a scuola gli uni dagli altri.

In seguito a questi primi passi le presenze evangeliche agli incontri andavano lentamente allargandosi nella misura in cui si cominciava a transitare dal monologo al dialogo.

Don Pattaro ed io fummo invitati in molte altre località (Brescia, Chiari, Bassano, Treviso, Mestre e Pinerolo) Anche istituti, seminari (S. Massimo, S. Zeno, S. Bernardino di Verona) e università ci ospitarono per incontri con gli studenti o per colloqui internazionali (Roma).

L’editrice cattolica Morcelliana pubblicò una serie di mie conferenze, tenute durante il 1963 e l'AVE di Roma ristampò il Corpus Domini di Ugo Janni che, in Italia prima della seconda guerra mondiale, fu un precursore valdese dell'ecumenismo. In entrambi i casi le prefazioni erano di don Germano. Anche il piccolo Centro Evangelico di Cultura della comunità valdese di Venezia fece una larga diffusione di un opuscolo sulle "componenti del dialogo ecumenico". Era un'occasione per richiamare alla memoria i teologi protestanti più significativi che si erano impegnati nel dialogo e nel confronto con i sacerdoti cattolici. Più tardi, negli anni settanta, fu sollecitata una collaborazione tra la Claudiana (casa editrice protestante) e la LDC (casa editrice cattolica).

Al di là dei documenti ecumenici che uscivano da Roma e da Ginevra, i punti di riferimento di don Germano Pattaro e miei avevano una forte componente estera, ricca di una meditazione ecumenica approfondita e capace di tracciare nuove prospettive per il futuro. (Per don Pattaro: Y.Congar, J.B.Metz, H.U. Balthasar, K. Rahner. La mia scelta andava a favore di K. Barth, P. Tillich, R. Niebuhr, P. Lehmann, J. Dewey).

Bisognava tradurre o travasare la teologia contemporanea al livello delle comunità in base alla metodologia ecumenica emergente. L’accento cadeva sulla conversione a Cristo e non degli uni verso gli altri.

Nonostante l'opposizione a qualsiasi forma di curiosità, di superficialità, di "embrassons nous", di irenismo e di neutralità lo zoccolo duro dell'integrismo opponeva le sue resistenze temendo che l'ecumenismo, come conversione al Signore di quanti lo invocano, portasse ad una perdita della propria identità anziché ad un approfondimento della fede comune (2).

3. L'orizzonte ecumenico

È chiaro che l'interesse ecumenico ha un suo lungo e complesso retroterra. Per chi appartiene ad una forte minoranza, come gli evangelici italiani, il problema si pone fin dai primi anni di scuola, in cui il confronto con gli altri è inevitabile: Le polemiche sono spesso infantili, ma non esauriscono il discorso. Si formano anche amicizie che durano tutta una vita e che diventano molto apprezzabili quando gli antichi compagni di banco si ritrovano ad insegnare nelle università. Infatti agli incontri di studenti seguono anche riunioni di gruppo che discutono temi religiosi. I membri delle comunità evangeliche ne hanno fatto spesso l'esperienza anche se soltanto dopo aver familiarizzato con gli studi teologici ci si rende conto della complessità degli argomenti.

Nel 1943, a Trento,era stata significativa la formazione dei Focolarini. Venne organizzato un movimento in prospettiva ecumenica. Il successo enorme, ottenuto oggi su scala mondiale, rende merito all'impegno dei singoli membri. Se una critica è stata sollevata (così ancora all’assemblea di Graz, Austria, nel 1997) questa consiste nel fatto che, prima del Concilio Vaticano II, non era facilmente pensabile un'organizzazione interconfessionale indipendente dalla supervisione della chiesa.

Anche Venezia, sulla terra ferma, ha avuto (almeno fin dal 1958) i suoi momenti di confronto, soprattutto in riferimento al piano politico (3).

Nel 1963 la prof. Maria Vingiani incontrò don Germano Pattaro a Verona in occasione di esercizi spirituali e lo invitò ad offrirsi come esperto e consulente per la formazione dei gruppi ecumenici che stava progettando. Ancora una volta la via passò, ricalcando l'esperienza precedente, attraverso l'autorizzazione del cardinale Urbani. All'inizio non fu facile, ma il desiderio venne esaudito e il compito fu ancora affidato a don Germano Pattaro. A mia volta venni coinvolto dal teologo veneziano nel suo nuovo incarico. Avevamo così l'occasione di verificare insieme le metodologie ecumeniche che nel frattempo erano maturate a Venezia.

4. Segretariato Attività Ecumeniche

Intanto il 15 dicembre 1966 veniva costituito ufficialmente il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE) che assumeva un carattere interconfessionale sia pure in assenza di firme evangeliche. Fu un momento decisivo per l'incontro delle chiese in Italia. La presenza evangelica alle riunioni di studio andava aumentando di anno in anno. Un’opera di promozione della prof. Maria Vingiani raggiunse risultati in continua crescita che andavano consolidandosi al di là delle stesse aspettative (4). Il contributo specifico della nostra esperienza veneziana fu espresso con la stesura dei "Principi metodologici" ( ancora attuali) che lo stesso don Pattaro trasmise allo stato di bozza cioè prima che assumesse la veste giuridica definitiva. Le sessioni ecumeniche registrarono un'espansione notevole passando dalla Mendola a Camaldoli, a Napoli e poi nuovamente alla Mendola. La presenza degli ebrei si fece sentire in maniera molto positiva e lentamente andava proponendosi anche l'avvicinamento alle altre "fedi viventi".

L'esperienza dei giovani, che partecipavano agli incontri, aveva richiamato la nostra attenzione sulla necessità di prestare maggiore ascolto al variare dei tempi. Nel parlare alle nuove leve non era saggio dare risposte a domande mai poste (così Paul Tillich). Era urgente promuovere innanzi tutto la formulazione delle domande dei partecipanti e soltanto in un secondo tempo organizzare le relazioni agli incontri.

La caduta del muro di Berlino segnò un momento molto significativo nel lavoro comune di ricerca che, affiancato all'interesse per le altre religioni, aprì prospettive nuove alla meditazione ecumenica.

Intanto Don Pattaro ed io eravamo stati impegnati in vie diverse. Pur essendo sempre accomunati dalla stessa prospettiva ( l'uno spesso a Roma, all'ombra di papa Luciani e l'altro alla prima Società Biblica interconfessionale nata in Italia), fummo costretti dalla cattiva salute del teologo veneziano a rallentare le attività sia come consulenti nazionali del SAE sia come esperti delle varie attività che erano emerse dal lavoro comune.

Il 27 settembre 1986 don Germano si spegneva.

Secondo le parole commemorative del patriarca di Venezia, don Germano aveva ricevuto il dono di una grande intelligenza e ne aveva fatto un servizio.

5. I rapporti con le chiese

L’esperienza internazionale, ampiamente verificata a Venezia, portava con sé la necessità di un continuo aggiornamento degli eventi ecumenici e richiedeva un'attenzione particolare riguardo alle filosofie e alle loro metodologie. Anche la scienza delle traduzioni andava evolvendosi. Per oltre trent'anni fui invitato a tenere corsi negli istituti veneti (S. Massimo, S. Zeno, S. Bernardino di Verona prima e di Venezia poi) di Parma, Bologna e Sorrento. La mia collaborazione ai Marianum di Roma è andata oltre i trent'anni.

L’ecumenismo veneziano ha rappresentato una svolta decisiva per tutto l'evangelismo italiano. L'interesse dei valdesi faceva eco a quello metodista con il past. Mario Sbaffi, a quello del past. Fausto Salvoni della Chiesa di Cristo a quello del past. Mario Affuso della Chiesa Apostolica Italiana e a quello del past. Enrico Paschetto della Chiesa Battista.

Le università di Sassari e di Milano avviarono un corso di formazione ecumenica sulla storia della Riforma protestante. Fui invitato nelle due città a tenere le lezioni che vennero in seguito pubblicate dall'Università di Sassari: "Dalla teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto».

6. La Società Biblica interconfessionale

L'esperienza precedente si riverberava sugli impegni futuri, relativi al lavoro biblico: altri quindici anni in missione in un contesto internazionale e volutamente ecumenico. Dopo vari sondaggi e consultazioni si arrivò al progetto di traduzione della Bibbia in lingua corrente (TILC), sulla scia delle altre nazioni e in conformità ai principi direttivi varati dal Vaticano e dall'Alleanza Biblica Universale il 2 giugno 1968. Trovati i candidati per la traduzione, i revisori e i consulenti il progetto fu approvato separatamente sia dalla Chiesa Valdese sia dalla Commissione Episcopale italiana.

Nel 1976 il Nuovo Testamento in lingua corrente fu consegnato alle rispettive chiese (era allora papa Paolo VI).

I tempi di Dio non sono segnati dal nostro orologio. Fu cosi che, dopo ottocento anni, un altro gruppo di valdesi, accompagnato dai collaboratori cattolici, tornò in Vaticano con traduzioni della Sacra scrittura m volgare, come si diceva allora o in lingua corrente come si dice oggi. Nel 1985 fu consegnata l’intera Bibbia (era allora papa Giovanni Paolo II). Da quel giorno le traduzioni comuni riguardano circa un migliaio di lingue parlate oggi nel mondo. La Società Biblica che rimane la più grande casa editrice del protestantesimo in Italia, stampa le Sacre Scritture approvate dall'Alleanza Biblica Universale e generalmente confermate secondo i principi direttivi, dalle Conferenze episcopali nazionali. Due milioni di copie vennero offerte ai giovani durante il giubileo dell'anno 2000.

Va detto che il lavoro svolto in quegli anni fino all'età della pensione non era un cammino in discesa. Bisognava "mendicare", come disse Lutero in punto di morte, ogni singola collaborazione ed ogni singolo sostegno. Erano gli anni di piombo non particolarmente aperti al dialogo.

Mi fu d'indispensabile aiuto mia moglie incaricata di mantenere i contatti con tutte le denominazioni e tutte le chiese. L'agenda dei lavori e la corrispondenza erano interamente nelle sue mani. Si trattava inoltre di partecipare alle assemblee più importanti organizzate dalla Società Biblica con le varie comunità.

Interessante fu la collaborazione con i pentecostali che, per principio, non possono allontanarsi da una traduzione biblica letterale. La TILC fu perciò adottata come primo commentario per capire le espressioni più ermetiche che potevano prestarsi ad un facile o spontaneo fraintendimento.

Per quanto riguarda la nuova traduzione essa rappresenta l’unico monumento ecumenico italiano del XX secolo, che toccava direttamente la carta costituzionale di tutte le chiese, la Sacra Scrittura. Più tardi si arrivò anche ad un documento comune sui matrimoni misti, firmati dalla C.E.I. e dalla Chiesa Valdese, che , secondo la tradizione protestante, sono temi da decidere innanzi tutto sul piano civile delle singole nazioni.

7. Uno sguardo al futuro

L'attuale comunione reale, ma imperfetta reciprocamente, tende a rafforzarsi non perdendo mai di vista la conciliarità. Si potranno prendere insieme e non più separatamente decisioni sempre più conformi alla visibilità della chiesa, una, santa, cattolica e apostolica evitando tentazioni captative o oblative delle singole identità confessionali. Non si può chiedere alla regina Elisabetta d'Inghilterra di iscriversi al partito repubblicano, né si può chiedere al presidente Ciampi di proclamarsi re d'Italia. Rimane quindi aperto il discorso sub Petro anche se la discussione sul primato torna su tutte le agende e impegna particolarmente gli ortodossi.

Nell'evoluzione delle metodologie occorrerà non perdere di vista il concreto e coerente nesso cristologico perché su questa base si potranno identificare gli elementi separanti da quelli compatibili con l'unità nella diversità.

Bisognerà evidenziare il sempre nuovo e invariabile fondamento della fede liberandolo dalle forme non più attuali e dovute alla variabilità del tempo e dello spazio, alle incrostazioni storiche e alla variegata sensibilità teologica dei continenti. Così già si è espressa la Dichiarazione Comune sulla giustificazione per fede firmata tra cattolici e luterani nel 1999.

Una moratoria sui valori ultimi che impediscono il dialogo interreligioso non dovrà cedere al secolarismo vuoto e colmo di idolatrie nascoste, ma potrà impegnarsi a coltivare con oculatezza quella secolarizzazione che cela in se stessa un segreto messianico: il Signore che provvede alla salvezza degli uomini "secondo vie a lui solo note". All'assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, tenutasi a Canberra nel 1991, siamo stati resi attenti ai doni dello Spirito che possono essere presenti anche nelle altre religioni, perciò dobbiamo anche saper imparare da loro.

Insieme dovremo saper affrontare i temi della giustizia, della pace, e della salvaguardia del creato, già proposti alla nostra attenzione dall'assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, tenutasi a Vancouver nel 1983.

Il profeta Isaia ci ricorda che il Signore "sarà il giudice delle genti e l'arbitro dei popoli. Trasformeranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci. Le nazioni non saranno più in lotta tra di loro e cesseranno di prepararsi alla guerra" (Isaia 2,4).

Note

1. Valdo Vinay, Storia dei Valdesi III, Claudiana, Torino 1980, p. 465.

2. Cfr. Roberto Giraldo: Inaugurazione anno accademico 2002-2003.

3. Cfr. Maria Vingiani: Un’esperienza di ecumenismo locale. Memoria storica. In Atti del Sae, Edizioni Dehoniane, Bologna 1988: “A Venezia si era tutto spento per la mia partenza e l’avvicendamento dei pastori locali...”.

4. Cfr. Renzo Bertalot: Per dialogare con la Riforma, L.I.E.F., Vicenza 1989. dalla dedica: “All’infaticabile Maria Vingiani, con l’augurio che il servizio del SAE continui per lungo tempo”.

(da Aa.vv., Fede e cultura, Quaderni di Studi Ecumenici n. 8, I.S.E. Venezia, 2004, pp. 155-165)

Pubblicato in Chiese Cristiane

Teologie a confronto:
Paul Tillich e Karl Barth
di Renzo Bertalot

Con la salita di Hitler al potere nel 1933 Karl Barth e Paul Tillich perdono le loro cattedre in Germania. Il primo trova rifugio in Svizzera e il secondo negli Stati Uniti d'America. Gia si è scritto molto su questi due teologi che hanno segnato profondamente la teologia del XX secolo. Non si tratta quindi di insistere sui contenuti delle loro opere, ma soltanto di rilevarne alcuni punti che hanno caratterizzato la loro testimonianza.

Insieme hanno partecipato alla crisi della società borghese che si era affermata con il liberalismo precedente. Le chiese avevano fatto il loro nido, con una certa soddisfazione, accanto ai poteri costituiti ed erano entrate in crisi per il crescente allontanamento del proletariato e dei giovani sempre più attratti dalle promesse di una secolarizzazione crescente.

Per Karl Barth e Paul Tillich era giunto il momento di far riemergere tutta la forza dell'Evangelo che contesta sempre le nostre sicurezze e riorienta il divenire della comunità cristiana.

Vi fu innanzi tutto una rinnovata attenzione di carattere politico. Il socialismo religioso di Paul Tillich e il socialismo democratico di Karl Barth erano entrambi tesi all'ascolto delle nuove esigenze della società e al carattere profetico delle attese che andavano manifestandosi. Si incarnava così un nuovo modo di vivere in riferimento alla riscoperta dell’Evangelo.

Intanto tra i due teologi si erano inseriti altri elementi. La distanza tra l'Europa e l'America e i venti di guerra che stavano preannunciando nuove catastrofi, non facilitavano i contatti delle rispettive esperienze.

Paul Tillich lasciò l'Europa con grande amarezza non certo per risentimenti personali, ma per la convinzione della maledizione della storia europea e della demonia della cultura tedesca che si era affermata. "La Germania sopra tutti" non aveva convinto solo i politici ma anche gli spiriti più avvertiti dell'epoca. La malattia radicale era dovuta al "provincialismo", cioè al metro con il quale andiamo costantemente misurando gli altri e li troviamo sempre mancanti. Gli Stati Uniti offrivano un crocevia di culture che, offrendo ognuna il meglio di se stessa, dà un carattere veramente universale alla ricerca e allo studio. Paul Tillich conobbe anche la contestazione pratica che ebbe modo di apprezzare. Al termine delle sue dotte lezioni gli veniva posta la domanda: "A che serve?" L'esistenzialismo europeo, al quale Tillich faceva spesso riferimento, si presentava come una corazza ingombrante per i popoli dell'America e dell'Asia: non era conforme al loro modo di intendere la vita.

La nozione di angoscia va curata dal medico in casi nevrotici, ma la scienza è impotente quando si tratta di mancanza di significati e di senso di colpa. Tuttavia, a sua grande meraviglia, Paul Tillich incontrò un russo che non conosceva affatto l'angoscia.

Per Tillich dalla nostra angoscia nascono gli interrogativi sulla nostra esistenza. Bisogna indagare attentamente per individuare i valori definitivi perché non possiamo dare risposte a domande mai poste! L'uomo non può che formulare interrogativi che per lo più puntano verso l'idolatria. La risposta viene solo (extra nos) dalla Parola di Dio.

Per Karl Barth la situazione è diversa. Si trovò impegnato nell'opposizione al nazismo cominciando con la stesura delle tesi di Barmen (1934) e il sostegno alla chiesa confessante che respingeva l'atteggiamento dei cristiano-tedeschi, perché non contestavano apertamente le avventure hitleriane. Barth era molto vicino a Bonhoffer che, per la sua opposizione manifesta al nazismo, venne impiccato.

Paul Tillich e Karl Barth condividono con termini molto forti il rifiuto di ogni teologia naturale: una teologia dalla situazione anziché rivolta alla situazione. La teologia e la filosofia non vanno confuse. Per Barth il teologo che dal basso (è in cammino inverso dell'incarnazione) tenta di risalire a Dio è un "criptoteologo" e il filosofo che parte dall'alto per fare della filosofia di questo mondo è un "criptofilosofo".

Per Tillich la teologia e la filosofia non vanno confuse. Tra di loro non v’è sintesi, non v'è terreno comune, perciò una filosofia cristiana è una "disonestà filosofica". Bisogna saper vivere sulla linea di confine. La religione (la religiosità) non produce fede anche se costituisce la sostanza della cultura e la cultura le dà una forma.

Tuttavia per entrambi una filosofia della religione, pur non essendo necessaria, può essere utile per indagare le forme della nostra religiosità. Da un lato ci aiuta a superare le nostre superstizioni e i nostri pregiudizi e dall'altro ci ricorda la nostra umanità (Cristo vero uomo). Non abbiamo strumenti sterili e non condizionati per parlare della rivelazione!

Sia Barth sia Tillich sono riconoscenti a Kant per averci liberati dalla metafisica dei "visionari" e ridotto le nostre dissertazioni entro i rigorosi limiti della ragione e del fenomeno. Per Tillich, Kant si conferma come "filosofo del protestantesimo". Per molti contemporanei Kant riesce sempre a riaffermarsi dopo il crollo o il tramonto delle varie filosofie.

Per Tillich il mondo creato da Dio non è stato abbandonato come una nave senza timone nella tempesta. Dio gestisce la storia e ne prende le redini nei momenti da lui ritenuti opportuni. È quindi in atto una vittoria di Dio sia pure frammentariamente e saltuariamente, sulle nostre distorsioni e i nostri fallimenti. Questa vittoria, per chi ha occhi per vedere e orecchi per udire rende la nostra storia trasparente. E la storia del Christus Victor!

Anche per Barth meno propenso ad indagare quello che passa nella mente del filosofo (o di qualunque uomo) siamo tuttavia strutturati in vista del nostro destino del Regno di Dio La creazione non gli è estranea: v’è un’analogia creationis.

Con entrambi assistiamo ad una concentrazione cristologia riguardo alla teologia sistematica. Per Barth la cristologia è tutto o siamo di fronte al vuoto. Già nel 1957, riprendendo con Hans Kùng il tema della giustificazione per fede, prevedeva che tra cattolici e protestanti si andasse evidenziando una stessa fede, non più alternativa anche se formulata in maniera diversa. Per Tillich il pensiero teologico gravita intorno al Nuovo Essere che si esprime in Gesù il Cristo.

Intanto si affacciano all'attenzione delle nuove generazioni altri problemi di grande attualità. Qual è il rapporto con le altre religioni? Per Tillich bisognerà interrogarsi sullo Spirito Concreto nella prospettiva del pan-en- tei-smo: tutti raccolti in Dio.

Per Barth nelle varie religioni ci sono delle parole vere, buone, autentiche e notevoli: sono combinazioni o luci non concorrenziali con Dio.

Un'ultima parola sull'uomo: Barth rovescia la tesi di Cartesio "cogito ergo sum". È importante affermare invece "cogitor ergo sum". Quello che io penso di Dio può essere significativo e importante per le nostre biblioteche, ma è decisivo sapere quello che Dio pensa di noi. Io sono quel che sono all'interno del suo pensiero. Chi cerca se stesso non troverà nulla; chi è trovato da Dio troverà se stesso.

(da: Quaderni di Studi ecumenici, Fede e cultura, 8, I.S.E. Venezia)

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Fasi della cultura europea d'oltralpe

Galeazzo Caracciolo (1517 - 1586)

di Renzo Bertalot


Premessa

Paolo III aveva sollevato gli spiriti europei ai più alti livelli di attesa per una riforma della chiesa. Imperatori, principi e teologi si erano rimboccate le maniche per correggere quelli che allora erano detti alcuni abusi.

A Ratisbona nel 1541 vi fu in proposito una gran festa Se l'incontro non raggiunse i risultati sperati si trattò soltanto di un rinvio imperiale al prossimo concilio.

Nel 1542 tutto cambiò. Le motivazioni sono, come sempre, nelle mani di storici scrupolosi, in grado di investigare innumerevoli archivi e biblioteche. Da loro (1) si rimane in continua attesa, quando si è lontani dalle cattedre specialistiche, di una buona soggettività visto che l'oggettività non mai al nostro orizzonte. Tuttavia diventa difficile trattenere nella penna dell'osservatore, che non è storico di professione, qualche supposizione.

Intanto con l'inquisizione di tipo spagnolo instaurata molti fuggono dall'Italia. Teologi italiani, esuli famosi, sono accolti presso le cattedre più prestigiose d'Europa. Non è senza significato che ad Oxford la lingua ufficiale dell'università sia appunto l'italiano (2).

A Ginevra si costituisce una chiesa italiana che raccoglie i rifugiati sfuggiti all'inquisizione. La comunità raggiungerà dalle quattromila alle cinquemila unità. V'erano valdesi, veneti, lucchesi, napoletani e anche valdesi fuggiti dalla strage di Calabria. L’istituzione resse per due secoli e la sua borsa per il soccorso agli esuli durò fino al 1870 (3).

Erano tempi molto difficili. Ogni ombra di riforma venne eliminata dalla penisola. I divulgatissimi libri di origine protestante vennero un po' ovunque ammucchiati nella piazze e dati alle fiamme. Si considerava una grazia la decapitazione al posto del rogo!

Per la Riforma in Italia fu un'eclissi totale. Bisognerà arrivare fino alla seconda metà del secolo scorso per veder tornare il sole alle sue prime luci di un'era nuova. Si è iniziato un cammino in cui nessuno può fermarsi pretenden­do che soltanto l'altro si muova. Per gli uni una perennis reformatio, per gli altri una ecclesia semper reformanda.

Dei tanti nomi ne ricorderemo uno solo: Galeazzo Caracciolo, quasi un simbolo dell'epoca.

La vita

Galeazzo Caracciolo nasce a Napoli da Colantonio Caracciolo (fatto marchese di Vico da Carlo V) e da madre della famiglia Carafa. Sposa Donna Vittoria figlia del duca di Nocera dalla quale ebbe quattro figli maschi e due femmine (4).

Galeazzo Caracciolo non è un dotto né un teologo; è un nobile addetto ai vari incarichi di corte sia all'interno che all'estero. Era giunto a conoscenza delle idee di Juan Valdes che da otto anni teneva una scuola in città (5) e predicava la giustificazione per fede contro la propria giustizia, i meriti delle opere e le superstizioni.

Un suo congiunto, Gian Francesco Alois, lo porta ad assistere ad una lezione di Pietro Martire Vermigli, allora canonico regolare. Fu il " colpo di fulmine" (6). Il predicatore nel commentare la Sacra Scrittura si soffermò a lungo sull'immagine del ballo. Quando si osserva da lontano la gente che balla, ma non si sente il suono della musica si è convinti che si tratta di pazzi, ma avvicinandosi al gruppo e lasciandosi coinvolgere dalle note si comincia volentieri a ballare. Così è dello Spirito di Dio. Era il 1541. Marcantonio Flaminio gli scrisse una lunga lettera, conservataci integralmente, esortandolo a perseverare (7).

Galeazzo Caracciolo cambiò radicalmente vita. Vi fu gran festa tra i valdesiani e anche per Vittoria Colonna che allora abitava a Viterbo e gli mandò i saluti di Reginald Pole (8). Fu determinante l'influenza di Pietro Martire Vermigli (9).

Per il padre Colantonio e la moglie Vittoria la conversione di Galeazzo non fu soltanto un pericolo da scongiurare, ma soprattutto un disonore e un'infamia per tutto il casato e per tutti.

L’8 giugno 1551 il Caracciolo arrivò a Ginevra sconosciuto e forse anche sospettato. Fu accolto come uno qualsiasi. Prestò giuramento ed elesse come suo maestro Calvino che lo accettò come amico e consulente. Il riformatore gli dedicò il commentario alla Prima Lettera ai Corinti e più tardi l'intera traduzione italiana Istituzione della religione cristiana (10). In suo onore fu coniata una grossa medaglia che rimane l'unica effigie di Galeazzo Caracciolo.

La famiglia

Galeazzo Caracciolo era pronipote di Gianpietro Carafa futuro Paolo IV. A Napoli venne stabilita la confisca dei beni e dei titoli nobiliari. Il padre supplicò l'imperatore di risparmiare l'infamia per la famiglia. Ottenne la grazia, ma non convinse Galeazzo. Chi aveva tentato la fuga, ma esitò a passare la frontiera, venne catturato, decapitato o condannato al rogo (11).

Galeazzo non era insensibile ai legami familiari ma non era disposto a cedere in materia di fede. Accettò di incontrare il padre prima a Verona, poi a Mantova e ancora nell'isola dì Lesina, dove avrebbe dovuto rivedere anche la moglie (sempre innamorata del marito) che invece mancò all'appuntamento. Galeazzo fu contento di rivedere i suoi, ma fu irremovibile. L'ultima volta decise di andare direttamente a Vice rischiando anche di essere imprigionato (12). Le suppliche di ritornare sui suoi passi non lo fecero retrocedere, neppure quelle della sua figlia dodicenne. Partì con il cuore spezzato, ma la moglie, sotto la minaccia di scomunica del confessore, rifiutò di seguirlo. Il padre giunse quasi a maledirlo.

Sulla via del ritorno visitò i riformati della Valtellina e dei Grigioni. Nel 1558 ritornò a Ginevra e diede inizio alle pratiche del divorzio.

Il divorzio

Sulla questione del divorzio ci fu una lunga consultazione. Calvino chiese il parere di molti, tra cui Pietro Martire Vermigli, Bullinger e Ochino. Tutti si mostrarono favorevoli. Calvino, a nome del sindaco e del concistoro, scrisse direttamente a Vittoria che non accettò di seguire il marito. Il Piccolo Consiglio diede allora il parere favorevole al divorzio e al permesso di risposarsi (13).

Sposerà Anna Framèry vedova e anch'essa rifugiata (14).

La comunità

Intanto nel 1552 a Ginevra si era costituita la chiesa italiana. Massimo Martinengo da Brescia, già collaboratore di Pietro Martire Vermigli, viene eletto pastore e approvato dalla Compagnia dei pastori. La reggenza della chiesa è sostenuta da quattro anziani e da quattro diaconi.

Galeazzo Caracciolo frequentava la predicazione e leggeva la Sacra Scrittura, aveva l'incarico di sorvegliare gli italiani per evitare scandali, spionaggio (15) con i dissidenti anabattisti e antitrinitari.

La comunità italiana fornì anche pastori all'Italia tra cui Giovanni Luigi Pascale che morì martire.

Giordano Bruno soggiornò due mesi a Ginevra esercitando l'arte del correttore in una stamperia. Non aderì alla Riforma e partì per Venezia dove l'inquisizione lo braccò e nel 1600 finì sul rogo a Roma.

L'epilogo

Un religioso cattolico fu ancora inviato a Ginevra per convincere Galeazzo a tornare sui suoi passi per non impedire il proseguimento della carriera ecclesiastica del figlio Carlo, ma la sua insistenza aveva un carattere provocatorio e fu allontanato (16). Il padre Colantonio era morto nel 1562 a settantasette anni. Il figlio di Galeazzo, anche lui di nome Colantonio, fu sospettato di eresia e morì a Venezia nel 1577. Vittoria muore il 18 settembre del 1584 e Anna Frambèrv l'anno successivo (17).

Galeazzo Caracciolo muore il 7 maggio del 1586 a settantanove anni. Così si arriva alla fine dei marchesi di Vico.

NOTE

1. Il testo segue in particolare: E. Comba (a cura), Nicolao Balbani, Historia della vita di Galeazzo Caracciolo, Claudiana, Firenze, 1875 e B. Croce, Un calvinista italiano. Il marchese di Vico, Laterza, Bari, 1973.

2. R. Bertalot, Dalla Teocrazia al laicismo. Propedeutica alla filosofia del diritto, Università di Sassari, Sassari, 1993, p. 78.

3. Croce, Un calvinista, p, 48.

4. Comba, Nicolao Balbani, Historia, pp. 11-13.

5. Croce, Un calvinista, p. 12.

6. Croce, Un calvinista, p. 13.

7. Comba, Nicolao Balbani, Historia, pp 17-24.

8. Comba, Nicolao Balbani, Historia, p. 14.

9. Ricordiamo il De fuga in persecutione. Cf Croce, Un calvinista, p. 17.

10. S. Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino, 1997, p. 265.

11. Pietro Carnesecchi è uno dei tanti. Cf. Croce, Un calvinista, p. 30.

12. Comba, Nicolao Balbani, Historia, p. 39.

13. Croce, Un calvinista, pp. 41-44.

14. Croce, Un calvinista, p. 50.

15. Comba, Nicolao Balbani, Historia, p. 68; Croce, Un calvinista, p. 51.

16. Croce, Un calvinista, p. 71.

17. Croce, Un calvinista, pp. 67-73.

(Tratto da: Renzo Bertalot, Fasi della cultura europea d’oltralpe, Venezia, 2003, I.S.E., Quaderni di Studi ecumenici 7, p. 23).
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Domenica, 08 Agosto 2004 01:56

Battesimo, Eucaristia e Ministero. 1982-1990

di Renzo Bertalot

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese aveva già raccolto e pubblicato le risposte ricevute dalle chiese al documento di Lima 1982 su battesimo, eucaristia e ministero. Si trattava di ben sei volumi che sono stati recensiti su Protestantesimo, 3/1989. La nuova pubblicazione intende fare il punto sulla situazione in maniera ancora provvisoria e in attesa del prossimo incontro di Fede e Costituzione atteso per il 1993. Il volume in esame vuol essere anche un segno di riconoscenza inviato a tutte le chiese che hanno collaborato rispondendo agli interrogativi e alle proposte provenienti dalla ricerca comune sintetizzata nel documento di Lima.

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Domenica, 08 Agosto 2004 01:46

La divisione dei cristiani

di Renzo Bertalot

Premessa

Il documento della Commissione teologica internazionale (Memoria e riconciliazione: La Chiesa e le colpe del passato) è innovativo, sotto molti aspetti, anche se non si può dire del tutto nuovo. Infatti, si accenna ad Adriano VI, a Leone X e a Paolo VI. Si tratta di un'acuta riflessione in casa propria, che si pone anche come esempio per altri settori esterni. Nel passato era fin troppo facile confessare il peccato di altri tempi. altri luoghi e altre persone. Risanare la memoria, secondo le indicazioni dell'assemblea ecumenica di Graz (1997), è un momento importante per tutti.

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Domenica, 08 Agosto 2004 01:40

Aspetti dell'ecumenismo in Italia

di Renzo Bertalot

Possiamo guardare al tema propostoci partendo da un punto fermo precedente il Concilio Vaticano II.L'opinione delle chiese protestanti si trovava più o meno arroccata intorno alla domanda se dovevamo considerare i cattolici come pagani da convertire, cioè per riprendere un'immagine biblica come ateniesi oppure giudaizzanti da richiamare alla retta interpretazione dell'Evangelo sulla scia della Lettera ai Galati. L'opinione era fortemente divisa.

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