Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 126

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 65

Lunedì, 19 Luglio 2010 06:18

Le trasformazioni dell’amore nella società italiana contemporanea

Vota questo articolo
(5 Voti)

 

1.     Trent'anni di grandi cambiamenti

Negli ultimi trent'anni la società italiana è stata caratterizzata da profondi mutamenti, avvenuti spesso in modo graduale, a volte quasi impercettibile, ma che ne hanno radicalmente modificato l'aspetto. Nascono sempre meno bambini e aumentano gli anziani, scompaiono le famiglie numerose e aumentano quelle unipersonali, i giovani restano sempre più a lungo in casa con i genitori[1]. Anche uno degli istituti che sembravano essere più consolidati, quale il matrimonio, è stato posto in discussione dalla diffusione di nuove forme di unione libera.

All'origine di questi cambiamenti vi sono le grandi trasformazioni culturali e sociali avvenute negli anni '60 del XX sec. in alcuni paesi precursori dell'Europa occidentale e scandinava, estesesi successivamente in tutto il resto del continente.

Dagli anni della contestazione giovanile e della rivoluzione sessuale è emerso un nuovo sistema di valori, detto successivamente post-materialista e post-moderno, incentrato sulla libertà individuale, la realizzazione personale, l'appagamento di sé, la tolleranza verso il comportamento altrui, e sul rifiuto del controllo sociale della comunità locale e delle istituzioni politiche e religiose. In questo contesto i legami coniugali si sono andati indebolendo, e le relazioni uomo-donna trovano fondamento esclusivamente nell’attrazione reciproca, divenendo un mezzo per il mutuo arricchimento emotivo e appagamento fisico, non necessariamente caratterizzato da obiettivi a lungo termine. Gli individui chiedono al rapporto di coppia condizioni minime di qualità, con una sempre minore attitudine al compromesso e una propensione crescente a mettere in discussione progetti e aspettative al modificarsi delle proprie esigenze. Questa enfasi sulla libertà individuale e sull'autorealizzazione ha fatto sì che le unioni vengano iniziate e concluse liberamente, senza aver più bisogno di essere sancite in modo formale dallo stato o dalla chiesa. Anche le profonde modifiche del ruolo della donna nella famiglia e nella società hanno influenzato i modi di formazione della famiglia. Da un modello femminile tradizionale di casalinga, moglie e madre, in una famiglia in cui l'uomo era l'unica fonte reddito, si è passati a un'omogeneizzazione dei comportamenti tra i generi, attraverso l'accresciuta istruzione femminile e un'ampia diffusione dei lavoro extradomestico della donna. La maggiore indipendenza e autonomia economica delle donne hanno quindi causato, secondo la teoria della nuova economia familiare, la diminuzione della propensione a sposarsi e ad avere figli[2]

In Italia i passaggi più visibili di questo processo sono state le varie leggi in materia matrimoniale e familiare: anzitutto la legge sul divorzio (1970, confermata dal referendum abrogativo del 1974), cui fecero seguito le norme sulla legalizzazione della pubblicità dei metodi contraccettivi (1971), sulla riforma del diritto di famiglia (1975, che ha abbassato la soglia della maggiore età da 21 a 18 anni ed equiparato quasi completamente i diritti dei figli legittimi e naturali), e sull'aborto (1978, legge n. 194, confermata dal referendum abrogativo del 1981). L'effetto di questi cambiamenti è stato dapprima lento, con i nuovi comportamenti presenti soltanto in avanguardie numericamente limitate, assumendo invece un ritmo più accelerato negli ultimi dieci anni in cui i nuovi stili di vita sono divenuti sempre più accettati e diffusi nella società italiana.

2.     Cenni sull'evoluzione recente del matrimonio

La rivoluzione culturale degli anni '60 e '70, a cui abbiamo brevemente accennato, ha influito considerevolmente, assieme al parallelo processo di secolarizzazione, sulle modalità di formazione della famiglia in Italia. Qui presentiamo in sintesi alcuni dati sul matrimonio in Italia, nelle prossime sezioni tratteremo invece ampiamente delle unioni di fatto. Negli ultimi decenni il numero di matrimoni celebrati ogni anno in Italia è diminuito in modo costante[3]. Dal massimo storico, registrato nel 1972, di 419 mila matrimoni si è arrivati ai 254 mila del 2006. In termini relativi se all'inizio degli anni '60 si celebravano 8 matrimoni ogni mille abitanti oggi se ne celebrano 4,3.

L'età media al primo matrimonio, dopo aver toccato il minimo alla fine degli anni '70 (26,8 anni per gli uomini e 23,7 per le donne), è cresciuta ininterrottamente fino ai livelli attuali di 32,2 anni per gli uomini e 29,5 anni per le donne. Parallelamente è diminuita la quota di matrimoni religiosi sul totale, scesa dall'80 % del 1995 al 68 % del 2005. Tuttavia una parte di questa variazione negativa è spiegata dall'aumento delle seconde nozze sul totale delle unioni (passate dall'8,3 % del 1995 al 12,2 % del 2005) e dei matrimoni in cui almeno un coniuge è straniero (nel 2005 il 13,3 % del totale), spesso di religione non cattolica. Aumenta infine anche la quota di coppie che sceglie il regime della separazione dei beni nel matrimonio (56 % nel 2005 contro 41 % nel 1995).

Negli ultimi decenni il matrimonio è anche divenuto più fragile: il numero di separazioni e divorzi si è infatti accresciuto notevolmente nel tempo (le separazioni sono passate da 52.323 nel 1995 a 82.291 nel 2005, i divorzi da 27.038 nel 1995 a 47.036 nel 2005). Castiglioni e Dalla Zuanna[4]4 hanno stimato che dei matrimoni celebrati nel 1994-1998 ben il 25 % saranno sciolti dopo vent'anni (con punte del 45 % in alcune regioni del nord), contro appena 1'8 % di quelli celebrati nel 1974-1978.

3.     La diffusione delle nuove forme di unione

Poiché le unioni libere non sono, com'è noto, registrate, non è possibile conoscere esattamente il loro numero. Tuttavia l'Istituto nazionale di statistica (Istat), nell'ambito delle indagini che svolge periodicamente sulla situazione della famiglia in Italia, tenta di valutarne l'ammontare[5]5.

L'indagine più recente (novembre 2003) stima il numero di coppie non coniugate in circa 606 mila (dieci anni prima erano circa 257 mila). Si tratta di livelli in forte crescita, ma ancora inferiori a quelli osservati in altri paesi europei come la Francia, la Germania o i paesi scandinavi.

Un secondo indicatore, anch'esso desumibile dalle indagini campionarie sulla famiglia dell'Istat, è la quota di prime nozze precedute da convivenza. Tra le prime nozze celebrate prima del 1974 solo una coppia su cento ha convissuto prima di sposarsi, quota cresciuta al 4% nel corso degli anni '70, al 10% negli anni '80 e al 14% negli anni '90 (fig. 1). A partire dalla fine degli anni '90 il cambiamento è stato molto più rapido: tra le coppie sposatesi nel quinquennio 1999-2003 ben il 25 % ha convissuto prima delle nozze. Protagoniste del cambiamento sono state quindi le generazioni nate nella seconda metà degli anni '60, ovvero quelle che hanno trascorso l'adolescenza durante o dopo i grandi cambiamenti culturali degli anni '70 (cf. fig. 1)

Un'altra fonte statistica che permette di stimare, indirettamente, l'evoluzione del numero di coppie di fatto è la rilevazione delle nascite, effettuata a livello comunale, i cui dati vengono raccolti ed elaborati dall'Istat. Se nel 1995 1'8 % dei nati nasceva da genitori italiani non coniugati, nel 2004 questa quota era salita al 13 %, con punte del 24% in Emilia Romagna, 21 % in Trentino Alto Adige e 19% in Toscana[6].

Fig, 1. Percentuale di matrimoni preceduti da convivenza. Fonte: Indagine multiscopo famiglie e soggetti sociali dell'Istat.

 

Sebbene già nel corso degli anni '80, come mostrano questi dati, s'intravedessero in Italia i primi segni di nuovi comportamenti coniugali, la loro diffusione nel quindicennio successivo è stata tuttavia molto limitala, ristretta perlopiù ai grandi centri urbani dell'Italia settentrionale[7]7. Le ipotesi sulle cause di questa lenta diffusione iniziale e sulla successiva brusca accelerazione a fine anni '90 sono più d'una.

Da una parte esse sono forse da ricercarsi, un po' paradossalmente, proprio nella forza dei legami intergenerazionali che pervadono la società italiana. Infatti, dove tali legami sono forti, comportamenti innovativi tra le giovani generazioni possono diffondersi soltanto se non sono ostacolati, in modo più o meno consapevole, dai genitori. Per cui, le unioni di fatto si sono diffuse in Italia solo quando è comparsa una generazione di genitori in grado di accettarle, ovvero quella socializzatasi durante la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70; anni, come già detto, della grande rivoluzione dei costumi. A supporto di questa ipotesi vi è il dato, riportato in tabella 1, sull'ammissibilità della convivenza a livello personale e sociale da parte dei giovani intervistati dall'Istituto di ricerche IARD in una serie di indagini successive svolte tra il 1983 e il 2000. Negli anni '80 la maggioranza dei giovani considerava ammissibile la convivenza, ma era anche consapevole di come la società vedesse in maniera negativa le nuove forme di unione. La situazione si è invece ribaltata all'inizio di questo secolo, proprio tra i figli dei protagonisti della «rivoluzione» di fine anni '60[8]

tab1

Tab. 1. Opinioni sulla convivenza. Giovani di età 15-24 anni. Fonte: Indagine perìodica dell'Istituto IARD sulla condizione dei giovani.

 

Inoltre, analisi condotte con tecniche statistiche avanzate hanno mostrato che la probabilità di coabitare per una coppia di giovani è legata più alle caratteristiche dei genitori che a quelle dei due partner. Queste analisi indicano che i figli di laureati e diplomati hanno una probabilità molto più alta di convivere prima del matrimonio rispetto ai figli di genitori meno istruiti (ipotizzando che il livello di istruzione sia anche un buon indicatore dell'attitudine ad accettare comportamenti nuovi), mentre il livello di istruzione dei giovani stessi ha un effetto meno importante su tale probabilità[9].

Un'altra spiegazione della lenta diffusione delle coppie di fatto è legata al processo di secolarizzazione della società degli ultimi decenni. Esso è stato meno rapido in Italia rispetto ad altri paesi dell'Europa occidentale. Tuttavia, sebbene nelle questioni di etica familiare la voce della chiesa cattolica italiana continui ancora oggi ad avere grande rilievo (anche sui mezzi di comunicazione di massa), la secolarizzazione in Italia è andata accelerando a partire dalla metà degli anni '90, come mostrano, ad esempio, i dati sulla frequenza alla messa domenicale[10]. Inoltre, anche per gli stessi credenti, non vi è più una perfetta coerenza tra adesione alla chiesa cattolica e comportamenti. Per molti di essi è più corretto parlare di religiosità del «bricolage», ovvero di una fede «personalizzata», che consente di accettare o rifiutare singoli insegnamenti e precetti morali della chiesa secondo le proprie esigenze. Poiché la coerenza a un insieme di norme è rimpiazzata dal desiderio di soddisfare il bisogno individuale di relazione con Dio, ecco che per molti cattolici diventano ammissibili comportamenti come l'uso di metodi contraccettivi non naturali, i rapporti sessuali prematrimoniali e la convivenza[11].

Quindi, se in passato, in un contesto di netta prevalenza di cattolici praticanti e forte controllo sociale della comunità locale, le convivenze erano molto meno diffuse, negli ultimi anni l'effetto dell'adesione alla chiesa cattolica sulle scelte riguardanti i comportamenti familiari e riproduttivi si è andato indebolendo[12].

Un'ulteriore serie di spiegazioni della rapida diffusione delle coppie di fatto nell'ultimo decennio in Italia è legata all'avanzare anche nel nostro paese di un sentire, tipico della nuova società postmoderna, poco favorevole all'assunzione di scelte definitive e irreversibili. In questo processo non è certamente indifferente il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare la televisione, e dei modelli da essi proposti, che fanno presa specialmente sui più giovani e sui meno difesi culturalmente. Oggi gli individui preferiscono investire le loro risorse in attività che li leghino per poco tempo, facilmente dismissibili nel caso in cui si cambi idea o si trovi un'alternativa migliore, e il matrimonio, specialmente quello religioso, se è una scelta maturata con consapevolezza, non ha per nulla queste caratteristiche[13]. Infine, ricerche empiriche hanno mostrato come la diffusione in Italia delle coppie di fatto (e di altri nuovi comportamenti familiari) abbia seguito un gradiente nord-sud e ovest-est (fig. 2), con le regioni del nord-ovest che hanno il ruolo di anticipatrici e le regioni del sud che giungono per ultime. Una seconda direttrice di diffusione è stata quella che ha visto come precursori le grandi aree urbane, seguite dai centri di media dimensione, e per ultime le località più piccole. Entrambi i processi sono strettamente legati alla diffusione territoriale di lungo periodo della secolarizzazione e della cultura post-materialista esaminate in precedenza.

 

Fìg. 2. Percentuale di matrimoni preceduti da convivenza, Italia e ripartizioni. Fonte: Indagine multiscopo famiglie e soggetti sociali dell'Istat.

 

Ad esempio, uno studio condotto a Milano a fine anni '90 ha riscontrato livelli di coabitazione molto più alti rispetto a quelli che allora si registravano nel resto del paese: durante il quinquennio 1995-1999 nel territorio comunale il 52 % delle prime unioni erano coabitazioni e il 40% dei matrimoni di donne nate nel 1965-1974 erano stati preceduti dalla coabitazione[14].

 

4.     Le caratteristiche delle unioni di fatto

Presentando le caratteristiche delle unioni di fatto oggi in Italia occorre innanzitutto definirne le diverse tipologie. A tale proposito può essere utile la classificazione proposta dalla studiosa francese Catherine Villeneuve-Gokalp[15].

I primi due tipi di coppia di fatto comprendono le unioni che si trasformano in matrimonio entro i tre anni dal loro inizio. In base alla loro durata si distinguono in unioni di preludio al matrimonio (meno di un anno) e unioni di prova del matrimonio (da uno a tre anni). Queste unioni sono vissute dai due partner come una fase preliminare al matrimonio e non come una vera e propria alternativa ad esso. Il terzo tipo comprende le coppie che si separano dopo un periodo di vita comune relativamente breve (meno di tre anni). Queste unioni sono definite dalla Villeneuve-Gokalp unioni effimere.

Gli ultimi due tipi comprendono le unioni di fatto di durata superiore ai tre anni che non si concludono con un matrimonio. Se nel corso dell'unione non avviene la nascita di un figlio, esse sono unioni stabili senza impegno, in cui i due partner convivono ma non desiderano obblighi familiari; esse sono alternative non solo al matrimonio, ma anche alla famiglia stessa come tradizionalmente intesa. Le convivenze in cui invece si verifica la nascita di un figlio non seguita, almeno negli anni immediatamente successivi, dal matrimonio, sono dette unioni libere, alternative al matrimonio. Secondo la Villeneuve-Gokalp solo queste ultime sono le vere unioni libere, intese dai due partner come un modo diverso di formazione della famiglia.

Una classificazione più semplice, ma altrettanto efficace, raggruppa le coppie di fatto in due tipologie, differenziandole a seconda dello stato civile dei due partner. Un primo tipo comprende le coppie di celibi o nubili, un secondo tipo le coppie in cui almeno uno dei due partner ha sperimentato una precedente unione di tipo coniugale[16];. I dati della più recente indagine Istat sulle famiglie (2003), già impiegati in precedenza, permettono di esaminare l'evoluzione e la diffusione di queste due tipologie di unioni di fatto in Italia.

Le coppie di fatto di celibi e nubili sono stimate dall'Istat in 264 mila nei 2003, circa 1'1,8 % del totale delle famiglie. Tale percentuale può apparire esigua, ma si ricordi che nel 1993 erano appena 67 mila. I partner di questo tipo di coppie di fatto sono relativamente giovani[17] 17, istruiti e inseriti nel mondo del lavoro. Inoltre, nella maggior parte dei casi, i due sono coetanei e il titolo di studio di lei è uguale (o superiore) a quello di lui. In queste coppie la presenza di figli è limitata (circa un terzo delle coppie), sia per la relativamente giovane età dei due partner, sia perché spesso quando si decide di avere un figlio la convivenza si trasforma in matrimonio.

 

tab2

Tab. 2. Numerosità delle coppie di fatto, anni 1993-2003, Dati in migliala. Fonte: Indagine multiscopo famiglie e soggetti sociali dell'istat, anni 1993-1998-2003.

 

L'altra tipologia di coppia di fatto è costituita da coloro che formano una nuova unione dopo il fallimento di una precedente esperienza coniugale. Tali coppie sono circa il 2 % delle famiglie. Per queste coppie spesso, ma non sempre, la convivenza costituisce generalmente una fase transitoria, di prova. Infatti, ad esempio, tra i risposati non vedovi del periodo 1999-2003 oltre due terzi ha convissuto prima del matrimonio, in media per circa quattro anni, spesso in attesa della sentenza definitiva di divorzio. Qui i due partner sono mediamente più anziani che nelle coppie di celibi/nubili, ed è più probabile la presenza di figli.

Le due tipologie si intersecano nelle unioni di fatto in cui uno solo dei due partner viene da una precedente esperienza coniugale. Tra queste prevalgono le coppie di donne nubili che convivono con uomini separati, mentre il viceversa è più raro[18].

5.     Unioni di fatto e matrimonio

Spesso, come si è visto, la convivenza tra i giovani costituisce solo una prova del matrimonio, più che un'alternativa ad esso. Il matrimonio viene infatti percepito come una forma di unione eccessivamente impegnativa (economicamente, ma non solo) e poco flessibile in una società che privilegia le scelte facilmente reversibili e non definitive. La convivenza viene trasformata in matrimonio nel momento in cui i due partner ritengono la coppia sufficientemente solida, spesso quando si raggiunge una maggiore stabilità lavorativa, si compera una casa di proprietà e/o si decide di avere un figlio.

Questo processo si è tuttavia andato indebolendo da un decennio all'altro: sia perché la durata del periodo di prova si è allungata nel corso del tempo, sia perché un numero sempre crescente di persone inizia a convivere senza avere l'obiettivo, almeno a medio termine, di sposarsi.

La durata della convivenza prematrimoniale è aumentata: se per un terzo dei matrimoni preceduti da convivenza celebrati prima del 1974 essa durava meno di sei mesi, per i matrimoni celebrati nel 1999-2003 tale quota è scesa a un decimo. Al contrario, la maggior parte delle coppie che oggi si sposa dopo aver convissuto lo ha fatto per alcuni anni (in media due o tre).

Sono inoltre diminuite le coppie di fatto che sin dall’inizio avevano come unico scopo un successivo matrimonio. Mentre tra le convivenze trasformatesi in matrimonio negli anni '70 circa tre quarti avevano come meta le nozze, tra quelle che hanno dato origine a un matrimonio negli anni dal 1999 al 2003 questa quota è scesa a metà del totale. Parallelamente sono aumentate le coppie che all'inizio della convivenza non prevedevano il matrimonio o non avevano ancora deciso.

6.     Il futuro del matrimonio

Come si è cercato di mostrare sinora, negli ultimi dieci anni le unioni di fatto si sono diffuse anche in Italia, con modalità non molto diverse rispetto a quelle osservate nei paesi che ci hanno preceduto nei mutamenti di costume. La loro avanzata è legata ai cambiamenti culturali degli ultimi decenni, con la nascita di una società post-materialista, incentrata su valori come la realizzazione personale e l'autonomia individuale, caratterizzata da generale insofferenza verso la regolazione della vita privata da parte delle autorità civili e religiose e dal desiderio di scegliere autonomamente le regole della propria esistenza. In questa società potrebbe sembrare che il matrimonio non abbia più spazio e sia destinato a soccombere e a sparire. In realtà non è così.

Infatti in una società che privilegia l'autonomia delle scelte individuali possono coesistere percorsi di vita molto diversi tra loro, come la libera unione e il matrimonio. Del resto le stesse unioni di fatto, come abbiamo visto sinora, non sono un insieme uniforme e compatto ma un universo assai variegato. Alcune coppie possono vivere tutta la vita in una o in più unioni di fatto, per altre la convivenza è seguita dal matrimonio dopo un periodo più o meno lungo; altre ancora scelgono di convivere dopo un matrimonio fallito. Inoltre tra gli italiani, anche tra i giovani che scelgono di convivere, sono pochi quelli che ritengono il matrimonio un'istituzione superata (cf. tabella 3). Del resto, anche nei paesi in cui la stragrande maggioranza dei giovani vive esperienze di convivenza, il matrimonio resta una scelta molto diffusa, tanto da essere richiesto anche dagli omosessuali.

tab3

Tab. 3. Percentuale di rispondenti d'accordo con le seguenti affermazioni. Fonte: Indagine multiscopo dell'Istat famiglie e soggetti sociali, anni 1993-1998-2003.

 

L'aumento delle coppie di fatto in Italia è legato a due fattori: il primo è la crescita delle convivenze prematrimoniali, vissute dai giovani come una fase di prova prima della scelta definitiva del matrimonio; tale pratica è sempre più diffusa in una società dell'incertezza che scoraggia le scelte definitive; il secondo fattore è la crescita delle coppie di fatto di adulti che si formano dopo la rottura di una precedente unione matrimoniale, con i due partner che non vogliono, o non possono, impegnarsi in una nuova unione di tipo formale.

L'analisi di quanto sta accadendo in Italia suggerisce che anche il nostro paese stia convergendo verso comportamenti già consolidati altrove. Ciò non significa che il modello tradizionale sia destinato a perdere di significato. Al contrario, il matrimonio senza convivenza prematrimoniale è destinato a diventare una scelta, forse numericamente minoritaria, ma sempre più consapevole e matura, non legata a un superficiale ossequio ai desideri dei genitori e alla tradizione.

Marcantonio Caltabiano

docente di Demografia presso il Dipartimento di Scienze Statistiche dell'Università di Padova

Caltabiano M., 2008 - Le trasformazioni dell’amore nella società italiana contemporanea. CredOg 28(1/2008) n.163: 7-19

 

 


[1] I cambiamenti più recenti della famiglia in Italia sono sinteticamente descritti in istat - ministero delle politiche per la famiglia, La famiglia in Italia. Dossier statistico, Istat, Roma 2007, elaborato in occasione della Conferenza nazionale delia famiglia tenutasi a Firenze dal 24 al 26 maggio 2007 e disponibile sui sito http://www.istat.it/istat/eventi/2007/famiglia/dossier.pdf. Una trattazione più estesa è contenuta in gruppo Di coordinamento per la demografia (ed.). Rapporto sulla popolazione. L’'Italia all'inizio del XXI secolo. II Mulino, Bologna 2007 e in M. Barbagli - M. Castiglioni - G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, il Mulino, Bologna 2003.

[2] Per la teoria della «nuova economia familiare» (new home economics) cf. G. Becker, A Treatise on the Family, Harvard University Press, Cambridge 1981 (nuova edizione rivista e allargata del 1991). In italiano è possibile leggere G. de santis, Demografia ed economia. II Mulino, Bologna 1997.

[3] La fonte principale di tutti i dati illustrati qui di seguito è l'Annuario statistico italiano, pubblicato annualmente dalì'Istat e scancabile dal sito http://www.istat.it, oltre ai volumi della serie Matrimoni, separazioni e divorzi, pubblicati anch'essi annualmente dall'Istat.

[4] M. castiglioni - G. dalla zuanna, Un'analisi per coorti di matrimonio dello scioglimento delle unioni in Italia, Dipartimento di Scienze statistiche dell'Università di Padova, Padova 2007.

[5] La principale indagine sulla famiglia in Italia è l'Indagine multiscopo su famiglie e soggetti sociali condotta ogni cinque anni dall'Istat. Ai risultati di tale indagine sono dedicati i volumi: Strutture familiari e opinioni su famiglia e figli, Istat, Roma 2006; La vita di coppia, Istat, Roma 2006; Diventare padri in Italia, Istat, Roma 2005, contenenti dettagliate analisi sulle unioni di fatto in Italia.

[6] istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti, Istat, Roma 2006.

[7] Cf. A. menniti, Le famiglie italiane negli anni '80, Istituto di ricerche sulla popolazione del CNR, Roma 1991 e M. barbagli - C. saraceno, Lo stato delle famiglie in Italia. II Mulino, Bologna 1997.

[8] C. Buzzi, A. cavalli, A. de lillo, Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2002. Si veda anche F.C. Billari, M. caltabiano, G. dalla zuanna, Gli eredi della rivoluzione sessuale, in F. bonarini, Conoscenze e comportamenti sessuali degli adolescenti, Cleup, Padova 2007.

[9] P. Di giulio, A. rosina, Intergenerational family ties and the diffusion of cohabitation in Italy, in «Demographic Research» 16 (2007): 441-468, disponibile anche sul sito http://www.demographic-research.org/volumes/voll6/14/.

[10] A tale proposito ricordo soltanto i recenti volumi di A. castegnaro, Fede e libertà: indagini sulla religiosità nel Patriarcato di Venezia, Marcianum, Venezia 2006 e G. Dalla Zuanna, G. Ronzoni, Meno preti, quale Chiesa?, EDB, Bologna 2003

[11] La personalizzazione della fede è descritta, ad es., in F. Garelli, G. Guizzardi, S. Pace, Un singolare pluralismo. II Mulino, Bologna 2003.

[12] 12 Si vedano gli studi di A. De Rose, A. Rosina, Scioglimento delle unioni, in P. De Sandre, A. Pinnelli, A. Santini (edd.), Nuzialità e fecondità in trasformazione: percorsi e fattori del cambiamento. II Mulino, Bologna 1999, pp. 569-588 e di I. De Sandre, G. Dalla Zuanna, Correnti socioculturali e comportamento riproduttivo, in Ibid., pp. 273-294.

[13] Si veda de Santis, Demografia ed economia, cit.

[14] P. De Sandre, F. Ongaro, Fecondità, contraccezione, figli attesi: cambiamenti e incertezze, in comune Di milano, Fecondità e contesto: tra certezze e aspettative. Dalla "Seconda Indagine Nazionale sulla Fecondità» alla realtà locale. Franco Angeli, Milano 2000. Sulle differenze territoriali nelle scelte familiari e riproduttivi si veda anche G. Dalla Zuanna, A. Righi, Nascere nelle cento Italie, Istat, Roma 1999.

[15] C. villeneuve-gokalp, Du mariage aux unions sans papiers: histoire recente des transformations conjugales, in «Population» 45 (1990) 265-297.

[16] istat, Diventare padri in Italia, cit.

[17] Si tratta generalmente di giovani adulti. In Italia, a differenza di quanto accade; nell'Europa del nord e in Francia, sono ancora rare le di unioni di fatto in cui i due partner sono ragazzi molto giovani.

[18] Qui si sono presentate soltanto alcune informazioni essenziali sulle coppie di fatto in Italia; chi desiderasse approfondire il tema può leggere, ad es., A. Rosina, Le prime unioni alternative al matrimonio, in osservatorio nazionale sulle famiglie E LE politiche locali di sostegno alle responsabilità familiari, Famiglie, mutamenti e politiche sociali, vol.I, II Mulino, Bologna 2002; A. Rosina, F. Billari, Flessibilità all'entrata in unione: i precursori del cambiamento, in M. Breschi, M. Livi Bacci, La bassa fecondità italiana tra costruzioni economiche e cambio di valori. Forum, Udine 2003; A. RosiNa, G. micheli, Modelli familiari e negoziazione dei percorsi di transizione allo stato adulto, in Atti del Convegno su Famiglie, nascite e politiche sociali (Roma, 28-29 aprile 2005), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2006.

Letto 10025 volte Ultima modifica il Venerdì, 28 Giugno 2013 08:58

Search