Formazione Religiosa

Giovedì, 24 Novembre 2011 17:48

Vedere giudicare agire (Giampiero Baresi)

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Tre momenti decisivi per una evangelizzazione più incisiva.

Nel maggio scorso si sono ricordati i 50 anni dell'enciclica Mater et magistra di Giovanni XXIII. Pubblicata il 15 maggio 1961 e incentrata sui «recenti sviluppi della questione sociale alla luce della dottrina cristiana», intendeva, a sua volta, celebrare il 70° anniversario della Rerum novarum di Leone XIII (15 maggio 1891).

Uno dei principali ispiratori della Mater et magistra fu il sacerdote belga Joseph-Léon Cardijn, che aveva dedicato la sua vita a portare la fede cristiana fra la classe operaia, accostandosi in particolare ai giovani. A lui Giovanni XXIII chiese di preparare un dossier sugli argomenti che intendeva trattare nella enciclica, invitandolo a suggerire idee. La sua collaborazione fu determinante anche nella scelta del metodo del trinomio “vedere-giudicare-agire”; valorizzato dal Pontefice nella struttura del documento.

Questo metodo era stato a lungo sperimentato nella Jeunesse Ouvrière Catholique (Joc), fondata da Cardijn nel 1925 (in Italia, Gioventù operaia cristiana). Il 21 febbraio 1965, don Cardijn fu consacrato vescovo. Il giorno dopo, Paolo VI lo nominò cardinale. Morì nel 1967.

La metodologia del “vedere-giudicare-agire”, già diffusa in America Latina, divenne, a partire dalla 2a Conferenza generale dell'episcopato latino-americano, a Medellín (Colombia) nel 1968 (la prima aveva avuto luogo a Rio de Janeiro nel 1955), è diventata un marchio registrato in tutte le conferenze episcopali della regione e in molti documenti delle chiese nazionali, soprattutto di quella brasiliana, e ha orientato la riflessione e i piani pastorali varati per una presenza ecclesiale più aggiornata e incisiva.

La Mater et magistra riassume così il metodo: «Nel tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di ciò che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano. Sono i tre momenti che si usa esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire» (n. 217).

La scelta dei tre momenti si combinava bene con la linea stessa dell'enciclica, elaborata con una prospettiva assai nuova rispetto ai precedenti documenti ecclesiali. Abbandonato lo stile astratto, il documento valorizzava la concretezza e la relazione diretta con la vita, concentrandosi sul “qui e ora”. Risultò una vera rivelazione e una autentica benedizione per tutti coloro che invocavano una chiesa calata nella realtà del continente latino-americano, con occhi aperti sulle molte realtà di povertà, disposta a usare tutti gli strumenti messi a sua disposizione dalle scienze umane per smascherare le vere radici di secolari ingiustizie, e pronta a impegnarsi in azioni concrete, lasciandosi sempre illuminare dalla Parola di Dio.

Nel gennaio 1979, i vescovi latino-americani, uniti a Puebla, Messico, per la loro 3a Conferenza generale, costatavano: «La Conferenza di Medellín aveva affermato: "Un sordo clamore si eleva da milioni di uomini che chiedono ai loro pastori una liberazione che non giunge loro da nessuna parte"... Oggi questo clamore è nitido, crescente, impetuoso e, in certi casi, minaccioso» (nn. 88-89). Analizzando a fondo la situazione di povertà, definita «peccato sociale» e avvertita come «il più devastante e umiliante flagello» (n. 29) (vedere), i vescovi si dissero convinti che «questa povertà non è una tappa casuale, ma il frutto di determinate situazioni e strutture economiche, sociali e politiche» (n. 30) (giudicare), e riconfermarono l'«opzione preferenziale per i poveri» già fatta a Medellín (nn. 382, 707, 733, 769, 1134, 1217) (agire).

Queste posizioni suonarono rivoluzionarie. E lo erano davvero. Le reazioni non si fecero attendere, sia nella chiesa che nella società, tanto in America Latina quanto nel mondo. E continuano pure oggi. Al punto che nella 5a Conferenza generale, ad Aparecida, Brasile (2007), forze regionali e centrali della chiesa hanno tentato, ma invano, di eliminare dalla struttura del documento finale l'approccio del "vedere-giudicare-agire".

L'ostilità al metodo veniva - e viene - dai signori dell'economia e della politica, consapevoli che esso possa mettere in pericolo il loro impero. In campo ecclesiale, il metodo è causa di turbamento nei difensori del passato, non rassegnati al terremoto portato nella chiesa dal Vaticano II. Parole come “opzione per poveri”, liberazione, analisi della realtà, "peccato sociale"... suonano tuttora come un allarme: meglio continuare con una evangelizzazione “pura”, monda da ogni profanazione con cose materiali e senza alleanze con chi non è dei “nostri”.

Eppure, lentamente ma con decisione, in conformità con la millenaria tradizione della chiesa, semi considerati zizzania stanno dando buoni frutti. L'insistenza della pastorale liberatrice, animata da pastori, profeti e martiri, continua risvegliare coscienze, a creare aspettative e a trasmettere speranza e coraggio in tutto il mondo.

Giampiero Baresi

(da Nigrizia, anno 2011, n. 10, p. 51)
 

Letto 2749 volte Ultima modifica il Domenica, 12 Febbraio 2012 21:11
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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