Vita nello Spirito

Attenzione

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Sabato, 30 Aprile 2005 22:34

Aquila e Priscilla. In due per il Vangelo

Aquila e Priscilla. In due per il Vangelo

 

Erano due sposi, presumibilmente giovani, quelli che aiutarono Paolo nel suo difficile inserimento a Corinto . Con l'apostolo condividevano il lavoro - erano come lui fabbricatori di tende - il vitto e la casa . Condividevano anche il lavoro pastorale, le preoccupazioni per la diffusione dell'Evangelo. Una evangelizzazione che prosegue anche a Roma dopo la morte di Paolo, e fatta a due a due, da due coniugi.

 

Al capitolo 18 degli Atti degli Apostoli si racconta che!' apostolo Paolo, durante il prolungato soggiorno nella città di Corinto, si stabilì nella casa di Aquila e Priscilla, due coniugi ebrei convertiti e allontanati da Roma per decreto dell'imperatore Claudio nell'anno 50, e di mestiere fabbricatori di tende.

Paolo: l'apostolo, il servitore di Cristo, il prigioniero del Signore, è uno skenopoios, un fabbricatore di tende. Può sembrare un titolo poco aristocratico, per niente episcopale, ma è la qualifica che lo inserisce abilmente nella trama del Regno.

 

La Chiesa: una tenda!

     La Chiesa, una tenda! Quella universale, quella particolare, quella domestica: non sono che attendamenti per cui Dio abita tra noi.

Giovanni 1,14: E il Verbo si fece carne e piantò la sua tenda tra noi... Si allude a Mosè, che nelle soste dell' esodo nel deserto faceva erigere una grande tenda delle riunioni: il luogo in cui il popolo si incontrava con il suo Signore ed era abbagliato dalla sua gloria. La tenda a Gerusalemme fu rimpiazzata dal tempio di pietra di cui Cristo-lo Sposo - è la pietra angolare. È lui, con la sua carne donata all'umanità, la tenda in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Apocalisse 21: ...Ecco la tenda di Dio con gli uomini...

Quante tende ha costruito Paolo? Sul suo telaio nella casa di Aquila e Priscilla gli orditi per le tende ai clienti si dilungavano prodigiosi nelle carte geografiche del nuovo Regno, ovunque accorreva per piantarvi la chiesa.

La preoccupazione primaria dell' Apostolo è di impiantare una comunità di fede che invochi coralmente il Risorto e dove il cristiano diventi nuova creatura in Cristo. Una volta avviata una comunità Paolo, instancabile, continua a seguire, visitare, esortare, ingelosirsi, amare, facendosi tutto a tutti. Le sue tende hanno dei paletti, pioli, tiranti e assi dai nomi grondanti affetto, collaborazione: Aquila e Priscilla, Onesimo e Filemone, Tito e Timoteo, e tanti altri legati al suo ministero.

 

La tenda affonda i paletti nella continua disponibilità degli sposi

È come se attorno al suo animo, bruciato dalla passione per Cristo e per le sue comunità, si attizzassero i tepori di un focolare e i ritmi incessanti dell'amicizia coniugale. Voi siete il corpo di Cristo: a chi si ispira Paolo con questa forte immagine? Romani 16,3-5: Salutate Priscilla e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù e la comunità che si raccoglie nella loro casa. In 1 Corinti 16,19 conclude con i saluti: Vi salutano Aquila e Priscilla con la comunità che si raccoglie nella loro casa.

La tenda per Dio e per l'uomo che Paolo tesse con la sua parola irruente, con la sensibilità del cuore che equilibra l'energia della sua volontà, affonda i suoi paletti di sostegno nella continua disponibilità di questi sposi a tenere sempre aperta la loro casa perché in essa l'embrione della comunità cristiana, avviata da Paolo, possa essere accolto e maturi nella fede.

Dall'anno 50 scorre un diario avvincente: arrivo di Paolo a Corinto e accoglienza nella casa di Aquila e Priscilla e comunanza nel lavoro; partono per la Siria, e Paolo lascia ad Efeso i due sposi impegnatissimi nel fare proseliti del calibro di Apollo, grande oratore; ritorno di Paolo ad Efeso, la città della magia, della dea Artemide, e battesimo di Apollo; prigionia di Paolo a Roma presso la casa di Aquila e Priscilla, rientrati nella capitale, e arresto di Paolo forse proprio nella loro casa.

 

Un cammino che può prevedere anche il martirio...

Le vie imperscrutabili dell'apostolato di Paolo proseguono fino al martirio. Non conosciamo, oltre i calorosi saluti in Romani 16,3 per Aquila e Priscilla, il seguito del loro cammino. Certamente, prima del loro martirio - come farebbe supporre la catacomba intitolata a Priscilla - i due sposi, mandati dal Maestro a due a due ad evangelizzare, hanno continuato a fare della loro casa quella chiesa accogliente e fraterna, luogo di catechesi e di tenerezza, delimitata dalle mura domestiche ma protesa ad impiantarsi come tenda di rifugio nella fede.

Floriano Vassalluzzo

 

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:36

"Anania e Saffira" (Paola Lazzarini)

 

Anania e Saffira

(At 5, 1-11)

Anania e Saffira vendono un terreno di loro proprietà, il ricavato è buono, probabilmente sopra le attese, e così decidono di trarre due vantaggi in una volta sola: arricchire davanti agli uomini e davanti a Dio (cfr. Lc 12,21). Dopo aver trattenuto per sé una parte del denaro vanno da Pietro a consegnargli la somma rimanente, dichiarando che è per quella cifra che hanno venduto il campo. La fine sarà orribile: uno dopo l’altro cadono morti davanti a Pietro e sono portati via e seppelliti dai giovani della Comunità.
Questo breve brano degli Atti degli Apostoli descrive con precisione e senza fronzoli il processo che porta la coppia da oasi di fecondità, ruolo attribuitele da Dio, a luogo di morte.
Alla coppia è dato tutto: l’amore di Dio si riversa sulla coppia continuamente, è un investimento illimitato del Signore che da quando la costituisce non smette mai di alimentarla e sostenerla, senza chiedere nulla in cambio.
Ma nella coppia può insidiarsi l’ombra astuta del Nemico (come già era accaduto per Adamo ed Eva) e quando il peccato entra in una coppia è ancora più difficile da scacciare, perché i due possono diventare l’uno per l’altro messaggeri di morte anziché di vita.
Il peccato di Anania e Saffira è di aver voluto rompere la logica di Dio. Dio ha donato tutto di sé gratuitamente e mette l’uomo davanti alla scelta: o entri in questa logica di gratuità e di circolo vivificante d’amore, oppure ne stai fuori e trovi il tuo posto nel mondo in cui tutto ha un prezzo.
Anania e Saffira non vogliono scegliere, o meglio, vogliono tutto. Vogliono la benedizione di Dio e vogliono le spalle coperte; dicono di credere nella Provvidenza e poi fanno l’Assicurazione sulla Vita! E questa scelta di non scegliere non può che portare alla morte.
E la morte separata dei due sposi ci svela che quando la coppia si lascia tentare dal Nemico a non fidarsi di Dio muore anch’essa: i due tornano ad essere individui separati, complici ma non più coniugi.
E le giovani generazioni non aspettano, raccolgono i cadaveri di questa coppia disfatta e senza una parola di pietà la seppelliscono e sembrano dire: "per noi sarà diverso".
Il progetto di Dio sulla coppia vuole portarla all’abbandono, non chiede i rimasugli del suo tempo e delle sue energie, chiede piuttosto di diventare la tenda nella quale la coppia dorme serena. Davanti a un Dio crocifisso non si possono fare compromessi e lo "scegliere di non scegliere" porta, come per Anania e Saffira, alla morte. Davanti a quell’Uomo appeso alla Croce dobbiamo decidere - e subito - se vogliamo seguirLo e imitarLo oppure no, dobbiamo scegliere cioè tra la Vita e la Morte.

di Paola Lazzarini

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:34

"Aquila e Priscilla" (Paola Lazzarini)

 

Aquila e Priscilla

(At 18,1-4 18-19)

La scena si apre su Paolo che, appena lasciata Atene si reca a Corinto. Ad Atene si era scontrato non con le sassate come ad Antiochia, né con le bastonate e il carcere come a Filippi, ma con un uditorio scaltrito e cinico, incapace di farsi coinvolgere, troppo abituato ad ascoltare discorsi e sofismi.

Neanche l’annuncio di Paolo riuscirà a toccare il cuore di quella gente e se ne andrà da quella città amareggiato. La sfida al mondo intellettuale, disincantato e agnostico, rimane aperta e come Paolo, anche noi cristiani presto rinunciamo davanti alle difficoltà di portare la Buona Notizia del Regno a chi ci oppone muri di cinismo e cultura.

Paolo arriva a Corinto ed incontra una coppia, Aquila e Priscilla, che era stata costretta a lasciare l’Italia a causa di un ordine dell’Imperatore che ingiungeva a tutti i Giudei di lasciare Roma, e si ferma ad abitare con loro. Il testo non dice molto di questi due personaggi, non dice neppure se si fossero già convertiti al cristianesimo o meno, dice solo che accolsero Paolo come un fratello e che egli lavorò con loro, tornando al suo antico mestiere, e che ogni sabato si recava nella sinagoga portando il suo annuncio a tutti, indistintamente.

Questa collaborazione e questo sostegno reciproco gettano una luce di speranza sul rapporto tra consacrati e sposi. Ed è soprattutto il verso 18 a colpirci: Aquila e Priscilla accompagnano Paolo fino ad Efeso, gli sono compagni ed alleati.

Davanti a questi pochi versi si infrangono tutte le difficoltà della collaborazione tra laici e consacrati: non ci sono rivendicazioni, non si sottolineano le diversità, perché il fatto che ci siano è naturale e necessario, ma si sceglie la strada del sostegno reciproco, e sono in particolare gli sposi, per la loro vocazione, a saper creare un contesto di accoglienza che rigenera l’apostolo e gli dà forza per proseguire il suo viaggio.

Scendendo un poco più in profondità nel discorso sui rapporti tra le diverse vocazioni bisogna innanzi tutto affermare che c’è una sostanziale incapacità di capire una vocazione diversa dalla propria. E’ un fatto col quale bisogna confrontarsi, per quanto santi e illuminati gli sposati hanno difficoltà a capire che cosa realmente sia una chiamata alla consacrazione, e allo stesso modo i consacrati non hanno modo di vedere fino nel cuore della vocazione matrimoniale, e prima accettiamo questa incomunicabilità, prima finiranno le rivendicazioni sul primato di una vocazione sull’altra, rivendicazioni sterili e inutili per la Chiesa.

Il sacramento battesimale rende tutti i cristiani "abili" all’evangelizzazione, non è necessario alcun sacramento aggiuntivo a questo scopo, per questo tutti abbiamo il dovere di prepararci responsabilmente a questa missione, ma certamente la Chiesa si nutre delle diversità che la fantasia di Dio ha creato, e la diversità delle vocazioni è una di queste. Ed è bellissima, perché nella sua multiformità svela tratti diversi del divino che vuole manifestarsi in noi.


di Paola Lazzarini

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:34

"Noemi e Rut" (Paola Lazzarini)

 

NOEMI E RUT

(Rut 1, 1-18)

Una coppia particolare, composta da due donne: Noemi e Rut, suocera e nuora, sa parlarci dell’alleanza coniugale all’interno della Chiesa.

Noemi, dopo essere rimasta vedova in terra straniera (a Moab), con le sue due nuore, anch’esse vedove, decide di tornare in Giudea perché ha sentito che il Signore ha visitato il suo popolo. Noemi, che è stata duramente provata dal Signore, non sente questa visita come rivolta anche a lei, ma decide ugualmente di partire sentendo che la promessa del suo popolo può diventare anche sua se ritornerà. Ugualmente Rut, moabita, si "attacca" letteralmente alla suocera, decide di non lasciarla qualunque cosa accada e di seguirla in quella terra.

Possiamo vedere nel popolo di Giuda la Chiesa, "visitata" da Dio e benedetta, alla quale ogni uomo si aggrappa, anche se sfiduciato e senza speranza, perché "ha sentito dire" che là c’è un pane che è per tutti.
E’ esperienza di tutti noi vivere dei periodi di sfiducia e anche disperazione; proprio in quei momenti la Chiesa-madre ci sostiene, perché possiamo sempre pensare che là dove la nostra fede non arriva arriverà la fede degli altri fratelli: questo ci riapre l’orizzonte permettendoci di continuare a credere. Quante volte solo guardando agli altri riusciamo a dire: "se lui/lei crede allora posso credere anch’io, magari appoggiandomi sulla sua fede nei momenti bui".
La scelta di Rut invece ci parla dell’alleanza che può stabilirsi tra due persone. Rut lascia il paese di suo padre e investe tutto ciò che ha e che è, il suo futuro, nel rapporto con Noemi. La promessa di Rut ci fa pensare alla promessa di una sposa: dove tu andrai io andrò, dove ti fermerai mi fermerò, il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio il mio Dio, dove morirai tu morirò anch’io.

Per Rut la conversione al Dio d’Israele passa attraverso la scelta esplicita di stare accanto ad un’altra persona.
Quella promessa che in principio era riservata al popolo e che Noemi fa sua a fatica, ora si allarga fino a diventare anche la promessa di Rut; anche per lei il Signore provvederà il pane e, infatti, le due donne si dirigono a Betlemme che in linguaggio popolare significava "Casa del pane". Proprio da Betlemme verrà poi il Pane della Vita.

Il matrimonio può e deve essere anche questo: il luogo della conversione quotidiana all’unico Dio che sa saziarci; amare e seguire l’altro è – nella vocazione matrimoniale – la via per amare e seguire il Signore.
Il matrimonio cristiano è anche un’alleanza esplicita come quella di Rut ed è una scelta che comprende tutto, che investe tutto e che porta una promessa individuale – quella della salvezza – a diventare una promessa di coppia e di famiglia. Tutto entro le braccia sicure della madre Chiesa che ci permette ogni giorno di ritrovare il Pane che ci dà la vita.

di Paola Lazzarini

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:32

"La sunammita" (Tony Piccin)

 

La Sunammita

(2 Re 4,8-37)

È impossibile calcolare i doni che abbiamo ricevuto da Dio, ma primo e sopra tutti, senza ombra di dubbio, c'è il dono della vita che ciascuno di noi ha ricevuto. Questo è il dono più bello del Signore; ce lo ha dato e non ce lo toglierà mai più in eterno perché noi, una volta nati, resteremo vivi per sempre pur se con modalità diverse come ci dice la nostra fede. E anche il servizio più grande che ci hanno fatto i nostri genitori. La coppia ha la grande responsabilità di generare, ossia di dare a Dio la possibilità di creare una nuova vita. È un bisogno quello della coppia di generare vita, ogni tipo di vita, da quella fisica a quella spirituale, ma è anche forte la tentazione di voler esserne padroni, di imprigionare "per noi" le vite che pulsano accanto a noi. La vita del partner o del figlio non è nostra, ma ci è stata messa accanto perché la custodiamo, perché la aiutiamo a svilupparsi in pienezza. La donna di Sunem ci si presenta come una persona "viva" ed attenta. Lei non ha figli ma c'è qualcun altro da accogliere: è l'uomo di Dio, il profeta. Ad Eliseo serve cibo per nutrirsi, un luogo in cui sostare: un letto, un tavolo, una sedia e una lampada" (4,10). Il profeta ha bisogno di riposare, ma anche di studiare la Torah e pregare in quella piccola stanza. Quasi come logica conseguenza della maturità interiore della Sunammita ecco il dono del figlio:

"L'anno prossimo, in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio" (4,~6). No mio Signore, uomo di Dio, non mentire con la tua serva" (4,16). Non mi illudere, non farmi promesse vuote. Infatti, quasi fosse un presentimento, il bambino che nasce, appena divenuto ragazzo improvvisamente muore.

"Essa salì a stenderlo sul letto dell'uomo di Dio; chiuse la porta e usci" (4,21). La coppia è il luogo (la situazione normale, l'ambiente naturale) dove nasce e fiorisce la vita, ma la vita è di Dio: egli l'aveva donata attraverso la preghiera di Eliseo, occorreva dunque rimettere tutto nelle sue mani.

Il profeta su quel letto non si può stendere perché è occupato da un cadavere. E poi quella donna non lo aveva pregato di non illuderla?

"Egli entrò, chiuse la porta dietro a loro due e pregò il Signore. Quindi salì, si distese sul ragazzo; pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle mani di lui e si curvò su di lui. Il corpo del bambino riprese calore (...) tornò a curvarsi su di lui; il ragazzo starnutì sette volte - la vita era tornata in pienezza - poi apri gli occhi" (4,33-35). L'atto di Eliseo sembra lasciarci il messaggio che "la vita genera vita" e solo l'amore è capace di compiere questo miracolo, qualsiasi tipo di amore, ma in modo tutto particolare quello che l'uomo nutre per la sua donna e la donna per il suo uomo.

Tony Piccin

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:28

"Il figlio come dono" (Tony Piccin)

 

IL FIGLIO COME DONO

(1 Sam 1,24-28)

La Bibbia ci presenta parecchie volte la situazione di donne che si trovano in pena perché non possono avere figli.

In ognuno di questi casi si legge un piano provvidenziale del Signore che, attraverso queste situazioni sofferte, prepara un personaggio chiave della storia che Egli sta conducendo col suo popolo eletto.

Ogni volta ci troviamo anche di fronte a coppie che si amano in modo profondo e cercano di superare la mancanza di figli con una sensibilità delicata che le mantiene vive.

E' il caso di Elkana e Anna: "Anna perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli? "(1 Sam 1,8).

Poi, il dono di Dio: Samuele!

Nel tempio del Signore in Silo prestava il suo servizio il sacerdote Eli e la sua famiglia. Tuttavia i suoi figli erano disonesti e non si curavano del Signore. La Bibbia ci fa capire che si stava creando una grave situazione di disordine sociale e religioso di cui erano responsabili i figli di Eli. Non basta averli, i figli, non basta crescerli in ambiente religioso perché questi seguano il progetto di Dio. Educare significa far scaturire dal cuore le realtà migliori create in noi ma non significa accontentare sempre, evitare ai figli i sacrifici, giustificare i loro errori... tutto ciò non rientra nel progetto di Dio.

"Io onoro chi mi onora, ma chi mi disprezza troverà disprezzo, dice il Signore" (1 Sam. 2,30). Ma il messaggio del Signore non è mai senza speranza, e la speranza questa volta è rappresentata da Samuele, consacrato al servizio del Signore presso il tempio di Silo.

Lo aveva consacrato la mamma con un voto quando, disperata aveva pregato per avere quel figlio:

"Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore, per tutti i giorni della sua vita..." (1 Sam l,11).

Ogni figlio, chiesto o non chiesto, è dono del Signore e deve crescere "in bontà e grazia, davanti a Dio e agli uomini".

Eli ha fallito con i suoi figli ma gli errori insegnano a crescere ed egli sa indirizzare bene Samuele, lo aiuta a riconoscere la voce del Signore: "Vattene a dormire e, se ti chiamerà ancora, dirai: parla, Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,9).

Per nostra fortuna c'è "Qualcuno" che sa chiamare ed educare nonostante le nostre contraddizioni e paure: è il Dio della vita e della speranza.

Tony Piccin

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:27

"Osea e Gomer" (Tony Piccin)

 

OSEA E GOMER

il coraggio di amare

Quando Osea scrive (750 anni prima di Cristo), nel popolo di Israele c’è una profonda crisi di fede. Da un lato c’è la fede in JHWH, il Dio dell’Esodo, ma dall’altro ci sono le divinità cananee, con i templi per la prostituzione sacra e i riti di fecondazione,e così la gente è divisa tra Dio e le urgenze dettate dalle stagioni e dai raccolti.

L’intuizione del profeta è originale: i rapporti uomo-donna sono qualcosa che assomiglia al rapporto dell’uomo con Dio, anzi sono "sacramento" di Dio. Ed Osea paragona il rapporto tra Dio e Israele alle sue vicissitudini personali. Egli aveva sposato una donna che amava tanto, ma questa, che prima di sposarsi faceva la prostituta, lo lascia e ritorna a fare la prostituta. Osea si dibatte, è geloso, la accusa, ma non la abbandona.

Perché questa donna si comporta così? Perché guadagna parecchio con poca fatica, è attratta dalla vita facile e piena di emozioni, tutte cose negate ad una brava moglie. L’amore vero perseguita questa donna, riesce ad impedirle di raggiungere gli amanti e la obbliga a vivere nella povertà e nel deserto.

La ricchezza, lo stordimento portano facilmente fuori strada, portano alla corruzione, agl’idoli, a credere in cose inutili e passeggere... ecco che cosa significa prostituirsi.

Il deserto, il silenzio è il luogo sacro dell’incontro con lo sposo: "la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16).

Hanno di nuovo inizio inviti, attenzioni, tenerezze, corteggiamenti... fino alla restituzione dei beni della terra che sono cosa buona se non sono vissuti come gli idoli.

Tutto quello che stiamo dicendo va riferito a Dio sposo che vuole riconquistare Israele sua sposa che si è allontanata da lui. Ma resta vero che l’immagine realistica di Osea e sua moglie sono sempre una realtà viva ed attuale: poco o molto tutti ci prostituiamo, tutti siamo infedeli.

Il termine che ricorre e chiarisce tutta questa situazione è "alleanza". Alleanza di Dio con il suo popolo significa che egli è sempre fedele anche se noi non lo siamo. "E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: marito mio, e non mi chiamerai più: mio padrone"(Os 2,18).

L’esperienza di sofferenza ha fatto maturare, ha fatto aprire gli occhi sull’uguaglianza del rapporto di coppia. Ritroverà un marito e non un padrone. Il padrone ricorda solo l’obbligo, la legge, i diritti e i doveri... e questo non basta in un rapporto amoroso di coppia. La coppia, il matrimonio sono il luogo, l’opportunità dove si impara a ricominciare da capo nell’amore, dove si cresce e si matura per saper vivere un vero rapporto personale umanizzante.

"Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore (Os 2,21)

Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore (Os 2,21)

Tony Piccin

("Gruppi Famiglia" )

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:24

"Maria e Giuseppe" (Tony Piccin)

 

LA COPPIA DI NAZARETH.

LA NOSTRA STORIA NELLA STORIA DI DIO

Dio è presente nella coppia come amore, come salvezza, come tenerezza, ma non ci appiana le difficoltà e ci chiede di servirlo amando la vita

Le parole mistero, sacramento, grazia, vocazione possono farci l’effetto strano di qualcosa di magico, di occulto, di entità invisibili che non possiamo controllare; realtà che esistono fuori di noi con le quali prima o poi abbiamo a che fare perché determinano la felicità o l’infelicità della nostra esistenza. Per fortuna c’è la storia di Maria di Nazareth e di Giuseppe, una coppia che i Vangeli ci presentano, ad aiutarci a capire il significato vero di queste parole.

Nei due racconti di Luca e Matteo possiamo cogliere una prima verità: Dio parla alla coppia. Parla a Maria, ma parla anche a Giuseppe perché la cosa riguarda anche lui come sposo di Maria. Dio ci parla attraverso gli avvenimenti, le situazioni, attraverso le persone, nella riflessione personale, nella preghiera, attraverso la sua "Parola". Ci chiede di ascoltare, di riflettere, di scegliere, ossia di fare discernimento. Ciò che ne risulterà è quello che egli desidera da noi.

"Il Signore è con te". Non si può pensare che Dio se ne stia lontano, semmai siamo noi che pretendiamo di agire senza di lui, senza il suo aiuto. Non si può pensare neppure che Dio, con la sua "Parola" dica una cosa diversa allo sposo e alla sposa. Dio parla a tutti e due e parla perché sposo e sposa si formino uno stesso modo di pensare, camminino in uno stesso cammino di coppia, si unifichino nella vocazione. Dio è presente come AMORE nella coppia. Quando Dio parla, nello stesso tempo trasforma la coppia. La parola di Dio non assomiglia alla luce fredda di una lampada al neon, ma al sole che illumina e nello stesso tempo riscalda ed asciuga la pozza d’acqua. La nostra religione non è la religione del "libro", della "sapienza" (anche se questa è necessaria) ma dell’AMORE. L’AMORE è lo Spirito di Dio presente nella coppia e di cui la coppia è segno (sacramento). Il bene che l’uomo e la donna si vogliono, tutto il bene dal desiderio al dono, sono manifestazione, se pur limitata, dell’amore immenso di Dio. Dio è presente come salvezza nella coppia. Il sacramento del matrimonio, come gli altri sacramenti, è cristologico e cristocentrico. Cristo è presente nella vita di coppia, per tutta la durata della vita della coppia, non solo nell’istante della celebrazione davanti all’altare. Il frutto che per opera dello Spirito viene accolto dalla coppia di Nazareth è Cristo, colui che salverà il genere umano con il suo sacrificio sulla croce e la risurrezione. Quante croci e risurrezioni nella coppia, quante volte si dona e si perdona; così come spesso siamo per l’altro motivo di risurrezione e vita. A dar senso al nostro agire sta il "mistero", quella realtà tanto profonda del Cristo sposo della sua Chiesa. Dio presente nella coppia non ci appiana le difficoltà. La situazione sia per Maria sia per Giuseppe si presenta in modo assai problematico. "Maria disse all’angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo" (Lc 1,34). Queste poche parole fanno capire che è stata una cosa sofferta a lungo ed è il risultato di una profonda lotta interiore. La fede di Maria è stata grande perché ha creduto, ha espresso un atto di fede in Gesù Cristo ancor prima che egli cominciasse ad esistere come uomo.

Maria non ha nessuna prova, nessuna garanzia per dire di sì; è all’oscuro di quanto poi avverrà. Ma c’è dall’altra parte la sofferenza di Giuseppe che nutre un grande amore per Maria. Perché non poteva coronare il suo sogno come gli altri, come era tradizione di tanti patriarchi? Perché quella realtà fuori del comune piena di incognite? La coppia è al servizio del Dio della vita. "Gesù nacque a Betlemme" (Mt 2,1). Il "sì" di Maria e di Giuseppe ed il loro mettersi a servizio del piano di Dio fu la condizione della nascita di Gesù, di colui che dirà: "Io sono la vita". Fecondità non è discutere sul numero dei figli ma mettersi a disposizione della "VITA".

Dio è presente nella coppia come tenerezza. Nei vangeli non c’è molto a questo proposito, ma quel poco lascia intuire una profonda intimità spirituale ed affettuosa anche se in un contesto di castità. "Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa..." (Mt 1,24). E quando Erode vuole uccidere il bambino Gesù, si vede ancora l’intimità della famiglia: "Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre..." (Mt 2,14).

Perché ci sposiamo in Chiesa? Meglio sarebbe dire: perché ci sposiamo in Cristo? Per vivere la nostra storia d’amore dentro la grande storia dell’AMORE.

Tony Piccin

(GRUPPI FAMIGLIA N° 42 marzo2003)

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 13 Novembre 2004 16:23

"Mosè e Zippora" (Tony Piccin)

 

MOSÉ E ZIPPORA

"Tu sei per me uno sposo di sangue".

La grande importanza data all'evento dell 'Esodo, dalla fede ebraica prima e da quella cristiana poi, ha messo in secondo piano il Mosè figlio, fratello, sposo, padre. Eppure, ad una lettura attenta, questi aspetti non sono affatto trascurati nel testo biblico. La Bibbia ci parla di una mamma e di una sorella di Mosè, ci parla di Zippora (Sefora) sua moglie e del figlio Gherson (da gher = ospite in paese straniero) (cfr. Es 2,22). Dunque la vita familiare di Mosè è strettamente correlata alla sua vita pubblica.

Un figlio della tribù di Levi.

Mosè è figlio di papà e mamma ebrei della tribù di Levi; la mamma studia uno stratagemma per farlo vivere a tutti i costi contro gli ordini del faraone. Abbandona il bambino in un cesto che galleggia sull'acqua del canneto sulle sponde del Nilo e lascia lì vicina, di guardia, la sorellina. Le vicende che seguono sono note. il racconto preso in modo superficiale ha i contorni di fiaba, però letto dentro il suo contesto contiene messaggi profondi. Infatti le levatrici Sifra e Pua fanno, si direbbe oggi, "obiezione di coscienza", ossia si rifiutano di far abortire o di lasciar soffocare i maschietti al momento della nascita per obbedire al Signore piuttosto che al faraone (cfr. Es I ,1 6). Nella storia della prima infanzia di Mosè viene sottolineato un tema di fondo: il tema della VITA. Il faraone capo e simbolo di un popolo e di una cultura di potere e di sopraffazione, dove l'interesse materiale appare come il valore a cui tutti e tutto può essere sacrificato, teme la forza vitale del popolo del Dio della vita.

Educato con la cultura egiziana.

Mosè diventa adulto in casa del faraone (di un egiziano) perfettamente consapevole di essere ebreo. Tuttavia quarant'anni di vita egiziana, come sostiene la tradizione rabbinica, lascia in lui il segno di una cultura di morte e violenza, come pure di efficienza, ricchezza, potere. Il "figlio della vita", al suo primo intervento pubblico, vuole instaurare la giustizia e il rispetto con i mezzi propri della sopraffazione e della morte. Mosè uccide l'egiziano che maltrattava l'ebreo (cfr. Es 2,12).

La storia, purtroppo, anche quella recentissima, è piena di maldestri tentativi di portare pace, giustizia, uguaglianza con il fucile, con le armi in pugno, con mezzi e strumenti di morte.

La fuga nel privato.

La fuga verso il "privato" a Madian in casa dì Ietro fa maturare due esperienze fondamentali per la vita e la missione di Mosè: la vita di famiglia e il deserto (il silenzio).

Nella vita di famiglia l'amore di Zippora e la nascita del figlio lo porta a vivere in pienezza, ad essere disponibile all'incontro con Dio, perché di nuovo capace di progetto e di meraviglia. Nel deserto Mosè pastore vive le sue lunghe giornate e trascorre le notti sotto le stelle silenziose. Questo tempo lo aiuta ad entrare nel profondo di sé, lo aiuta ad eliminare le contraddizioni della presunzione come della paura, dei calcoli umani come degli ideali ispirati,... lo aiuta ad eliminare la frammentazione della sua vita politica passata e di cogliere ciò che davvero è essenziale: l'ESSERE.

Il Signore rivela a Mosè il suo nome: "Io sono" (Es. 3, i 4). Soltanto "IO SONO" è l'unico riferimento di VITA.

Una famiglia per liberare un popolo.

Sposa e figlio condivideranno con lui le difficoltà del ritorno in Egitto e del progetto di liberazione del popolo.

"Lungo il viaggio, durante una sosta notturna, il Signore affrontò Mosè e voleva farlo morire. Allora Zippora tagliò con una pietra affilata il prepuzio del figlio, e con quello toccò il sesso di Mosè dicendo: -Tu per me sei uno sposo di sangue!-. Aveva detto 'sposo di sangue', perché aveva circonciso il figlio" (Es 4, 24-26 ABU).

I genitali sono gli organi che donano la vita, il sangue rappresenta la vita stessa. Il coltello di pietra ci fa capire che ci troviamo chiaramente in un contesto rituale (i coltelli di pietra si usavano solo per i riti) e Zippora inaugura il rito dell'iniziazione degli ebrei: la circoncisione.

Non è dunque un Mosè solitario che entra in Egitto, ma, di fronte ad un progetto tutto nuovo ed estremamente impegnativo, è la famiglia al completo che fa appello a tutte le sue forze vitali, le unifica simbolicamente attorno al punto centrale della famiglia stessa che è il legame sponsale tra Mosè e Zippora.

La cultura del popolo nuovo, il popolo di Mosè, è una cultura di vita, di timore di Dio, di solidarietà, di servizio, di condivisione,... ma anche di speranza in una vita sempre nuova; tutto ciò germoglia e fiorisce all'interno del calore domestico.

Tony Piccin

e con quello toccò il sesso di Mosè dicendo: -Tu per me sei uno sposo di sangue!-. Aveva detto 'sposo di sangue', perché aveva circonciso il figlio" (Es 4, 24-26 ABU).

I genitali sono gli organi che donano la vita, il sangue rappresenta la vita stessa. Il coltello di pietra ci fa capire che ci troviamo chiaramente in un contesto rituale (i coltelli di pietra si usavano solo per i riti) e Zippora inaugura il rito dell'iniziazione degli ebrei: la circoncisione.

Non è dunque un Mosè solitario che entra in Egitto, ma, di fronte ad un progetto tutto nuovo ed estremamente impegnativo, è la famiglia al completo che fa appello a tutte le sue forze vitali, le unifica simbolicamente attorno al punto centrale della famiglia stessa che è il legame sponsale tra Mosè e Zippora.

La cultura del popolo nuovo, il popolo di Mosè, è una cultura di vita, di timore di Dio, di solidarietà, di servizio, di condivisione,... ma anche di speranza in una vita sempre nuova; tutto ciò germoglia e fiorisce all'interno del calore domestico.

Tony Piccin

Tony Piccin

Pubblicato in Spiritualità Familiare
 

IL LINGUAGGIO DEL CORPO

NEL "CANTICO DEI CANTICI"

Soffermarsi su alcuni versi senza aver presente tutto lo sviluppo poetico di questo libro della Bibbia può far sorridere per la stravaganza delle immagini usate. Perciò cercheremo di capirne alcune, traducendole in linguaggio corrente, posandoci qua e là come farfalle, mantenendo tuttavia il filone narrativo.

Il Cantico non ha alcuna preoccupazione etica, è la descrizione dell’amore tra l’uomo e la donna. Presenta il tentativo della donna di farsi amare dall’uomo e quello dell’uomo di dimostrare alla donna il suo amore forte ed impulsivo.

(Ct 1,1) "Cantico dei Cantici": significa "Il più bel canto". Davvero non c’è canto più bello, più esaltante, più forte di quello dell’"amore". Per esso la vita continua da millenni nel mondo.

: significa "Il più bel canto". Davvero non c’è canto più bello, più esaltante, più forte di quello dell’"amore". Per esso la vita continua da millenni nel mondo.

(Ct 1,2) "Mi baci con i baci della sua bocca!". La parola "bacio" significa in ebraico "respiro": baciare l’altro è come trasmettergli la vita. È il gesto con il quale Dio trasmette la vita all’Adaham alle origini del mondo.

. La parola "bacio" significa in ebraico "respiro": baciare l’altro è come trasmettergli la vita. È il gesto con il quale Dio trasmette la vita all’Adaham alle origini del mondo.

(Ct 1,2) "Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi...". Il vino ubriaca, anche l’innamorarsi è una sorta di ubriacatura che permette di essere veraci, immediati, spontanei; di vivere l’esperienza amorosa senza calcolo prima ancora di valutarla con il freddo ragionamento, perché è esaltante.

. Il vino ubriaca, anche l’innamorarsi è una sorta di ubriacatura che permette di essere veraci, immediati, spontanei; di vivere l’esperienza amorosa senza calcolo prima ancora di valutarla con il freddo ragionamento, perché è esaltante.

(Ct 1,4) "A ragione le ragazze ti amano!". Le ragazze rimangono incantate davanti a lui, ma lui ha scelto me. Ecco ciò che fa gioire. Nella cerimonia delle nozze ci esprimiamo proprio in questo modo: "Prendo te", ossia ho posato la mia attenzione su di te, ti ho scelto fra tanti e tante che potevo scegliere.

. Le ragazze rimangono incantate davanti a lui, ma lui ha scelto me. Ecco ciò che fa gioire. Nella cerimonia delle nozze ci esprimiamo proprio in questo modo: "Prendo te", ossia ho posato la mia attenzione su di te, ti ho scelto fra tanti e tante che potevo scegliere.

(Ct 1,5) "Bruna sono, ma bella!". Lei si guarda allo specchio per prepararsi per l’incontro, ma lo specchio le riflette anche dei limiti (specchiandoci nell’altro ci si accorge dei propri lati negativi). Ha la pelle scura (non ci aveva fatto caso prima, la differenza si nota accanto a lui), e questo non è il massimo della bellezza per il mondo orientale. Si tratta non tanto dell’aspetto esteriore, ma della paura di non avere le qualità sufficienti per saper corrispondere all’amore, per essere alla pari.

. Lei si guarda allo specchio per prepararsi per l’incontro, ma lo specchio le riflette anche dei limiti (specchiandoci nell’altro ci si accorge dei propri lati negativi). Ha la pelle scura (non ci aveva fatto caso prima, la differenza si nota accanto a lui), e questo non è il massimo della bellezza per il mondo orientale. Si tratta non tanto dell’aspetto esteriore, ma della paura di non avere le qualità sufficienti per saper corrispondere all’amore, per essere alla pari.

(Ct 1,8) "Segui le orme del gregge...". Vai. Esci. Il termine ebraico esprime il concetto "va’ fuori da te stessa". Per amare occorre uscire e rischiare, non rimanere ripiegati narcisisticamente su se stessi, o timidamente segregati.

. Vai. Esci. Il termine ebraico esprime il concetto "va’ fuori da te stessa". Per amare occorre uscire e rischiare, non rimanere ripiegati narcisisticamente su se stessi, o timidamente segregati.

(Ct 1,12) "Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo...". Sembra esprimere tutta l’affettività dell’incontro, la ricchezza di emozioni: sono uno accanto all’altra, si ammirano, si accarezzano, parlano.

. Sembra esprimere tutta l’affettività dell’incontro, la ricchezza di emozioni: sono uno accanto all’altra, si ammirano, si accarezzano, parlano.

(Ct3,5) "Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme (...) non destate, non scuotete dal sonno l’amata...". Come vorremmo vivere sempre nel sogno, nell’idealizzazione! Ma così non si ama l’altro, si ama solo se stessi.

. Come vorremmo vivere sempre nel sogno, nell’idealizzazione! Ma così non si ama l’altro, si ama solo se stessi.

(Ct5,2) "lo dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa...". Ma allora l’incontro non è ancora avvenuto; quanto fin qui è stato detto è solo fantasia di lei, un’immaginazione così forte da sembrare realtà.

. Ma allora l’incontro non è ancora avvenuto; quanto fin qui è stato detto è solo fantasia di lei, un’immaginazione così forte da sembrare realtà.

(Ct 5,3) "Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli?". Ora appare tutta la contraddizione dell’incontro reale. Nel sogno, nell’immaginazione tutto è scontato, tutto è semplice perché ci siamo costruiti un "altro" ad immagine di noi stessi, secondo i nostri desideri, secondo i nostri bisogni; quando poi ci si trova a tu per tu le parole non escono, i gesti sono impacciati, non siamo disposti ad abbandonare le nostre piccole pigrizie... L’amore bussa e ribussa alla porta, poi si stanca e se ne va. Rimane allora una grande delusione.

. Ora appare tutta la contraddizione dell’incontro reale. Nel sogno, nell’immaginazione tutto è scontato, tutto è semplice perché ci siamo costruiti un "altro" ad immagine di noi stessi, secondo i nostri desideri, secondo i nostri bisogni; quando poi ci si trova a tu per tu le parole non escono, i gesti sono impacciati, non siamo disposti ad abbandonare le nostre piccole pigrizie... L’amore bussa e ribussa alla porta, poi si stanca e se ne va. Rimane allora una grande delusione.

(Ct 5,6) "Ho aperto allora al mio diletto ma il mio diletto già se n’era andato...". Corre allora a cercarlo. Si ricorda delle amiche e le invita ad aiutarla a cercare e quelle le rispondono:

. Corre allora a cercarlo. Si ricorda delle amiche e le invita ad aiutarla a cercare e quelle le rispondono:

(Ct 5,9) "Che ha il tuo diletto di diverso da un altro?". Non preoccuparti tanto, le dicono, ne troverai un altro. Sembra strano, ma solo quando "si perde" qualcuno ci si accorge della sua statura, dei suoi valori. Chi non vive il momento magico dell’innamoramento non può capire che la persona amata è unica al mondo, non perché è la più dotata, ma perché è stata scelta e ci ha scelto.

Non preoccuparti tanto, le dicono, ne troverai un altro. Sembra strano, ma solo quando "si perde" qualcuno ci si accorge della sua statura, dei suoi valori. Chi non vive il momento magico dell’innamoramento non può capire che la persona amata è unica al mondo, non perché è la più dotata, ma perché è stata scelta e ci ha scelto.

(Ct 6,3) "lo sono per il mio diletto e il mio diletto è per me". Il ritrovamento dopo essersi smarriti è ancora più bello perché conquistato.

. Il ritrovamento dopo essersi smarriti è ancora più bello perché conquistato.

(Ct 8,6-7) "Mettimi come sigillo sul tuo cuore...". La grande nemica dell’uomo è la morte ed il contrario di morte non è vita, ma amore.

. La grande nemica dell’uomo è la morte ed il contrario di morte non è vita, ma amore.

Tony Piccin

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