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A 40 anni dall’Unitatis Redintegratio
Un cammino tra ombre e luci
di Brunetto Salvarani

  

Quale sarà il futuro del movimento ecumenico? Il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, nel tracciare un bilancio del cammino ecumenico a 40 anni dal decreto conciliare Unitatis Redintegratio (= UR) promulgato da Paolo VI il 21 Novembre 1964 dalla quasi unanimità dei padri conciliari, ha mostrato una grande fiducia nel futuro. L’occasione per la valutazione è stata costituita da una Conferenza internazionale tenuta a Rocca di Papa (Roma) dall’organismo vaticano non solo per celebrare adeguatamente l’anniversario, ma anche per interrogarsi sulle nuove prospettive del dialogo tra le confessioni cristiane, oggi. Durante quell’incontro è stato confermato il carattere di caso serio da assegnare all’ecumenismo, nella consapevolezza – come ha rilevato Kasper – "che la divisione dei cristiani è uno degli ostacoli più gravi per l’evangelizzazione alla quale siamo chiamati".

A dire la propria, a Rocca di Papa, c’erano anche, opportunamente, le voci degli altri, dal metropolita di Pergamo, Johannis Zizioulas, del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, al professor Geoffrey Wainwryght, del Consiglio Metodista Mondiale, per le Chiese della Riforma. Il pastore e teologo Paolo Ricca nel confermare una valutazione largamente positiva ha posto alcuni interrogativi a partire da esso: "L’UR ha avuto la grande intuizione di proporre la Trinità come modello dell’unità, fornendo di quest’ultima un’immagine dinamica e non uniformante. Le diversità delle chiese possono essere definite il segno della ricchezza dello Spirito, carismi affidati a ciascuna di esse? Molto si è parlato dei peccati contro l’unità, ma allo stesso modo andrebbero esaminati quelli contro la diversità".

Significato di ecumenismo

Qual è il significato della parola ecumenismo? Per i geografi greci dell’antichità ecumeneoichumène = abitata, sottinteso ghè = terra). Dietro ad esso c’è in ogni caso il riferimento all’oikos, nel senso di casa, abitazione. Nel medesimo ambito semantico si colloca la parola "ecumenismo", che il Vaticani II descrive così: "Per movimento ecumenico si intendono le attività e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della chiesa e l’opportunità dei tempi sono suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani…" (UR 4). Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugina e, all’epoca, Presidente del Segretariato per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI, evidenziava che "la parola ecumenismo vuol dire ricerca insieme della casa comune". designava la parte abitata della terra (dal participio

Ma non dobbiamo stancarci a domandarci in quale direzione si sta movendo, oggi, l’ecumenismo, anche se rispondere è davvero difficile. Contro coloro che affermano che l’ecumenismo è paralizzato, Kasper dice che preferisce parlare di uno stadio di maturazione e di un necessario chiarimento.

L’ecumenismo, oggi, lo si potrebbe paragonare al movimento del pendolo il cui moto ondulatorio rimanda ad un percorso permeato di ombre, ma anche di luci. Un clima inasprito, negli ultimi anni, del cupo risorgere di piccole patrie ed etnocentrismi, chiusure identitarie che rilanciano sul presunto scontro di civiltà, conflitti interreligiosi,fondamentalismi e integralismi di ogni risma oscurano il dialogo. È, però, innegabile come il secolo appena concluso ha fatto registrare indubbi passi avanti.

Situazioni apertamente critiche

Rinunciando a stilare un elenco di situazioni apertamente critiche ci limitiamo a riandare ad un caso emblematico quanto spinoso: le relazioni cattolico-ortodosse in Russia. Nel febbraio dell’anno scorso il cardinal Kasper si è recato a Mosca, dopo un periodo di fortissime tensioni, culminato con l’elevazione, da parte cattolica dello status di diocesi delle quattro amministrazioni apostoliche già erette in quel paese. [Le accuse di parte ortodossa sono di tenere un atteggiamento uniatista in Ucraina e quella di svolgere un’azione di proselitismo nel territorio canonico dell’Ortodossia]. Secondo il resoconto del cardinale l’esito della visita è stato positivo ed effettivamente ha segnato la ripresa del dialogo. Al Patriarca Alessio II egli ha comunicato la volontà di voltare pagine perché: "… l’Europa, il mondo non hanno bisogno delle nostre divisioni, ma della nostra unità". Di ritorno, Kasper ha ammesso che "vi è certamente una responsabilità preminente della chiesa cattolica in campo ecumenico. Non solo perché siamo la chiesa più grande (…), ma per la concezione ecclesiologica che abbiamo maturato".

Unità nella diversità

Per una valutazione equilibrata della situazione va ribadito che il cammino ecumenico non consiste in un viaggio verso l’ignoto, non vuol causare né un assorbimento reciproco, né una fusione; non dovrebbe produrre uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell’unità.La via dell’incontro ecumenico è giovane e non deve essere frettolosa. Solo con l’UR al n. 7 nella Chiesa cattolica si delineano i tratti primari di un atteggiamento autenticamente ecumenico: "conversione interiore, rinnovamento nello Spirito, rinuncia a se stessi, sincera abnegazione, umiltà di servizio, generosità fraterna".

Accanto all’UR una serie di altri eventi hanno caratterizzato il cammino:

  1. 1962: nascita del Segretariato dell’unità dei cristiani;
  2. 1964: l’enciclica del dialogo di Paolo VI, Ecclesiam Suam;
  3. 1965: cancellazione della reciproca scomunica con la Tòmos Agàpis;
  4. 2000: dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione stilata fra cattolici e luterani;
  5. 2001: sottoscrizione della Charta Oecumenica da parte della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE).

Un ecumenismo di stile

Fra gli indizi che lasciano ben sperare c’è la novità delle chiese locali, centri studi e comunità a ribadire che le parole d’ordine dell’incontro tra le fedi cristiane saranno meno squisitamente teologiche e più spirituali.

Un autentico specialista, don Piero Coda, così si esprime in merito: "non vorrei venissero moltiplicate le commissioni, le strutture. Prima di tutto penso a uno stile. Lo stile tocca la sostanza: uno stile ecclesiale di ascolto, di partecipazione, di corresponsabilità, diventa di per sé unvito allo scambio, all’apertura, e produce luoghi do formazione adeguata".

Lo evidenziava lo stesso Giovanni Paolo II nella Ut Unum sint:"Il movimento a favore dell’unità dei cristiani non è soltanto una qualche appendice, che si aggiunge alla tradizionale attività della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione" (n. 20).

B. Salvarani, Un cammino tra ombre e luci. A quarant’anni dall’Unitatis Redintegratio, in "Testimoni", 1 (2005), pp. 7-10. Riduzione di Cesare Filippini.

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Martedì, 29 Marzo 2005 23:40

Ucraina. Per il Patriarcato (L. Pr.)

Ucraina
Per il patriarcato
di L. Pr.


I cattolici ucraini di rito orientale non intendono rinunciare alla richiesta di un patriarcato per la loro Chiesa con sede a Kiev. Ma dopo l'importante visita del card. W. Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, ad Alessio Il a Mosca (16-22 febbraio) e l'unanime, decisa opposizione ortodossa, l'attesa per una decisione del papa rispondente ai desideri dei greco-cattolici ucraini si è stemperata. I responsabili della Chiesa «uniate» ucraina hanno reagito esponendosi fortemente per riaffermare le loro ragioni. Il card. Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Lviv degli ucraini, ha firmato e diffuso una dichiarazione (1° marzo) a nome del sinodo dei vescovi e mons. Basil H. Losten, eparca ucraino di Stamford (USA), portavoce della commissione ecumenica ucraina, ha pubblicato una lettera aperta ai patriarchi ortodossi.

La storia ucraina. Il confronto avviene sullo sfondo della complessa storia della cristianità ucraina, da sempre attenta sia alle sue radici orientali sia alla comunione con Roma (anche dopo il 1054), e del duro martirio patito nel secolo appena concluso (fra guerre, persecuzioni, fame e violenza, si calcolano 17 milioni di morti). Rilevante è anche l'attuale contesto geopolitico, con l'imminente estensione dell'Unione Europa fino alla frontiera ucraina e le prossime elezioni politiche del paese (previste per il 31 ottobre), che verteranno anche sulla collocazione pro-occidentale o pro-sovietica della Repubblica.

Accanto ai testi diffusi, va registrata la visita del card. Husar al papa (27 marzo) e le 150 firme di parlamentari ucraini, stimolati da O. Hudyma, che hanno sollecitato il riconoscimento del patriarcato. Tutte le Chiese ortodosse sono contrarie; anche il Patriarcato di Mosca teme un patriarcato nella sede della sua origine storica (Kiev) e un'intesa fra «uniati» e Chiesa ortodossa ucraina di Filarete per una chiesa di tipo nazionale e in funzione anti-russa. Per decenni dall'Ucraina sono venuti un numero rilevante di ecclesiastici ortodossi e un sostegno economico ragguardevole. Nessuna incertezza fra i vescovi della Chiesa greco-cattolica. Il sinodo del 2002 ha unanimemente richiesto al papa il patriarcato. Semmai si può registrare una modifica: dalla disponibilità a procrastinare nel tempo la risposta si è passati alla domanda
per un adempimento immediato, considerato maturo e non rinviabile. In Vaticano quanti sono favorevoli si avvalgono della tesi della prova di forza per tutti i patriarcati ortodossi degli ultimi secoli e della convinzione che la coerente plausibilità della soluzione istituzionale si rivelerà nel futuro. Il no è invece alimentato dall'affermazione della priorità ecumenica per la Chiesa cattolica, dal riconoscimento della diversità ecclesiologica fra evangelizzazione e proselitismo e dalla responsabilità cattolica sull'insieme del cammino ecumenico delle Chiese cristiane.

Osservazioni da Kiev. Husar lamenta che l'ultima parte della discussione sia stata svolta a Mosca, non a Roma, ne a Leopoli, ne a Kiev, e, «cosa essenziale, senza la nostra partecipazione». Ma le trattative «in nessun modo cancellano quel corso generale per lo sviluppo del patriarcato che scaturisce dalle decisioni del sinodo dei vescovi della nostra Chiesa». «Secondo il diritto canonico, la Chiesa greco-cattolica ucraina è una Chiesa sui iuris, non una parte di un'altra Chiesa, e perciò si sviluppa conformemente alla propria natura ecclesiologica». Sollecitati dall'esempio del metropolita Jossyp Slipyi (1892-1984) «siamo profondamente convinti della necessità di tale struttura canonica per il consolidamento dell'unità della Chiesa e del popolo e per un loro adeguato sviluppo». «Siamo convinti che la struttura patriarcale è utile sia per noi sia per le altre Chiese ortodosse e quelle cattoliche orientali».

L'esarca B. Losten denuncia l'opposizione precipitosa dei patriarchi ortodossi prima ancora di conoscere a fondo la questione. Ritiene scarsamente apprezzabile la ragione del principio ecclesiologico: un vescovo per ogni territorio. Plausibile e ragionevole un tempo non lo è oggi, con i cristiani divisi in un mondo globalizzato, come del resto è visibile nel comportamento pratico delle Chiese ortodosse. Altre voci sottolineano aspetti diversi. M. Marynovych, vicerettore dell'Università cattolica ucraina, si mostra consapevole della distanza critica di buona parte della pubblicistica cattolica in Occidente sulla questione. Mentre I. Dacko, direttore dell'lstituto per l'ecumenismo della stessa università, sottolinea l'ambiguità dell'ecumenismo invocato da Mosca e le ragioni politiche che emergono dal comportamento e dalle parole dei responsabili russi.

Oggi la Chiesa greco-cattolica ucraina può contare su cinque milioni di fedeli (sui 50 dell'intero paese), in larga maggioranza raggruppati nella parte occidentale del paese. È guidata da 15 vescovi per cinque eparchie e da 2.200 preti. l monaci sono 750, le religiose 1.100, le chiese sono 3.000. Presenze significative di cattolici ucraini sono registrate, in seguito a una triplice ondata di emigrazione, negli Stati Uniti (due esarcati), in Canada (cinque diocesi), in Brasile, Argentina e Australia. In Europa occidentale la presenza tradizionale è registrata in Inghilterra, Francia e Germania. Ma nell'ultimo decennio si contano anche in Italia circa 200.000 ucraini.

La recente nomina del nunzio apostolico in Ucraina, mons. Ivan Jurkovic, finora nunzio apostolico in Bielorussia, sembra segnalare la volontà della Santa Sede di voler privilegiare il dialogo ecumenico.

(da Il Regno, 8, 2005)
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Mercoledì, 23 Marzo 2005 00:07

Un ecumenismo da vivere (Giacomo Ruggeri)

Un ecumenismo da vivere
di Giacomo Ruggeri





«L'ecumenismo è uno dei rari punti luminosi nel 20° secolo, che è stato un secolo buio con due guerre mondiali: milioni di uccisi, fuggitivi, conseguenza di due sistemi totalitari e disumani. In questo secolo buio inizia il movimento ecumenico per impulso della grazia dello Spirito Santo. I cristiani di tutte le chiese e comunità cristiane separate sin da 1500 anni come le chiese antiche orientali, da 1000 anni come le chiese ortodosse, da 500 anni come le comunità protestanti, tutti quanti si sono accorti che questa divisione contraddice apertamente alla volontà di Cristo, è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura. Così il ristabilimento dell'unità era uno dei principali intenti del concilio Vaticano II». Con queste parole il card. W. Kasper ha aperto la relazione raccolta negli atti di un convegno svoltosi due anni or sono, ora divenuto un punto di riferimento dopo la promulgazione della Charta oecumenica a Strasburgo il 22 aprile 2001.

Nel momento in cui viene sancita la Carta Europea, è importante sottolineare che la credibilità del Vangelo è data dall'unità dei cristiani stessi. A partire dal documento della Charta oecumenica, le edizioni Banca del gratuito hanno raccolto in un unico volume i preziosi contributi che offrono uno spaccato tra memoria e profezia, in ordine alla causa ecumenica.

La ricerca della verità

Kasper tiene a precisare che «il problema ecumenico concerne la tesi dell'unicità della chiesa di Cristo che sussiste, cioè che è concretamente presente, nella chiesa cattolica e che le comunità che non hanno la successione apostolica nell'episcopato non sono chiese nel senso proprio. C'è una differenza nodale con le comunità protestanti. È del tutto naturale che, in una situazione di non ancora piena unità cristiana, sul cammino ecumenico ci siano delle pietre d'inciampo e a volte addirittura dei macigni. Tuttavia questo non deve scoraggiare e amareggiare, ma piuttosto spingere a proseguire sulla via del dialogo. Il nostro cammino non dovrà essere caratterizzato da uno spirito di indifferentismo, di relativismo o di falso irenismo poiché la verità dovrà essere ricercata in maniera autentica e senza compromessi fuorvianti. Novo millennio ineunte afferma con lucidità e realismo le tristi eredità del passato che seguono ancora oltre la soglia del loro millennio. La celebrazione giubilare ha registrato qualche segnale davvero profetico e commovente, ma ancora tanto cammino rimane da fare. Tuttavia, nonostante il cammino sia faticoso, esso è anche pieno di speranza e lo Spirito è capace di sorprese sempre nuove».

Verso quali prospettive e quale, dunque, lo scopo dell'impegno ecumenico? Il card. Kasper evidenzia che «il futuro ecumenico non è un viaggio nel buio, ma ha uno scopo chiaramente definito nel Vangelo secondo la preghiera del Signore alla vigilia della sua morte. Questo scopo è l'unità dei seguaci di Cristo. Più precisamente dobbiamo dire è l'unità visibile dei seguaci di Cristo perché la struttura della salvezza e della chiesa è "incarnatoria", perciò l'unità non può essere soltanto spirituale. In conformità alla dottrina cattolica esistono tre vincoli di questa unità:
1) La professione della stessa fede.
2) La celebrazione degli stessi sacramenti.
3) L'unità nello stesso ministero apostolico, particolarmente nell'episcopato nella successione apostolica e in comunione con il successore dell'apostolo Pietro principe degli apostoli e vescovo di Roma.
È quindi necessario imparare o continuare ad imparare dagli altri e con gli altri perché il dramma della divisione impedisce alla chiesa di attuare la pienezza della cattolicità nel suo essere e nel suo operare
».

«Qual è, dunque, lo scopo dell'impegno ecumenico?» si è chiesto il card. Kasper e ha proseguito:  «Il card. Ratzinger lo ha definito in modo molto breve e allo stesso tempo molto chiaro: le chiese devono rimanere chiese e tuttavia diventare una chiesa. Ciò vuol dire: sin dal concilio la nostra chiesa ha abbandonato il concetto di ecumenismo di mero ritorno e lo ha sostituito con il concetto di ecumenismo di viaggio, di pellegrinaggio a partire da una comunione imperfetta verso la piena comunione. Il concilio dichiara anche che l'unità non richiede affatto che si sacri fichi la ricca diversità di spiritualità, di disciplina, di riti liturgici e di elaborazione della verità rivelata a condizione che tale diversità rimanga fedele alla tradizione apostolica».
Impegnarsi per l'ecumenismo, è stato detto in modo chiaro ed evidente nel corso del tempo, non sta nel creare o dare vita all'unità delle chiese. «l'unità - prosegue Kasper - ha bisogno di essere accolta e sviluppata  in maniera  sempre più profonda, come scrive il Santo Padre. Inequivocabilmente questo imperativo è insieme forza che sostiene e salutare rimprovero per la nostra pigrizia e ristrettezza di cuore. Ma anche questa piena unità non possiamo né fare né costruire, solo lo Spirito di Cristo può rivelarci questa unità. Non possiamo fare l'unità, ma possiamo pregare per l'unità. Così il concilio, come l'enciclica Ut unum sint, ribadisce la priorità dell'ecumenismo spirituale e il primato della preghiera
».

Dono indistruttibile


Ma la Charta oecumenica, che di certo ha un taglio nettamente pastorale, su quali punti insiste, soprattutto per le implicanze della nuova Europa di oggi? Mons. Aldo Giordano, così afferma: «Il secondo capitolo della Charta è intitolato In cammino verso l'unità visibile delle chiese in Europa, quindi vengono indicati i passi che le chiese devono fare per crescere nell'unità visibile. Anche questo punto è molto delicato; infatti la chiesa cattolica afferma che in essa l'unità visibile già sussiste, ma anche i fratelli di Mosca hanno scritto la stessa cosa. Essendo le prospettive diverse, bisogna trovare dei testi che accettati da tutti».

In questo secondo capitolo, che tratta i passi che devono essere fatti per crescere nell'unità visibile, è stato dato il primato all'evangelizzazione. La prima responsabilità è essere credibili in Europa nel testimoniare il Vangelo, ma le divisioni minano tale credibilità. In questo capitolo leggiamo: «Ci impegniamo a riconoscere che ogni essere umano può scegliere, liberamente e secondo coscienza, la propria appartenenza religiosa ed ecclesiale. Nessuno può essere indotto alla conversione attraverso pressioni morali o incentivi materiali. Al tempo stesso a nessuno può essere impedita una conversione che sia conseguenza di una libera scelta».

Qui viene affrontato il tema del proselitismo, anche se questo termine non appare nel testo in quanto è troppo carico di emotività e di un pluralismo ermeneutico di interpretazione. Il problema è dato dal fatto che, da una parte, bisogna arginare quelle costrizioni che possono esistere in certe forme di annuncio del vangelo: dall'altra vi è il dovere dell'evangelizzazione e la libertà di coscienza.

Il secondo titolo di questo capitolo è Andare l'uno incontro all'altro. In esso si sottolinea il voler superare l'autosufficienza per scoprire la ricchezza di stare con l'altro evitando i pregiudizi. Siamo nella società dei media, dove tutto è trasparente ma, in realtà, «ci sono molti pregiudizi che nascono dall'ignoranza». Ed è sull'ignoranza che spesso nascono e prendono vita ambigue visioni religiose, specie in Europa. A tal proposito Mons. Giordano mette in guardia: «Come chiese ci accorgiamo che in Europa si diffonde un religioso molto ambiguo (le sette, un certo tipo di buddismo che entra in Europa che non è quello classico delle grandi vie dell'Asia). Probabilmente il buddismo avrà in Europa un'influenza maggiore di quella che avrà l'islam e l'incontro con l'Asia sarà la grande sfida del futuro (i due terzi della popolazione mondiale abita in Asia). Da una parte, come chiese, vogliamo difendere la libertà di religione di tutti ma, dall'altra, ci sono esperienze molto pericolose».

L'unità è il frutto di un amore nel segno della croee, è l'agape di Dio fatta anche di riconciliazione e di perdono reciproco. Ed è su questa linea che Mons. Chiaretti, nel redigere le conclusioni per quanto concerne lo scenario italiano afferma: «Dalla Charta oecumenica ci giunge un ulteriore invito alla speranza sapendo che l'ecumenismo è una realtà complessa, in continua evoluzione e questo documento vuole essere l'inizio di questo ulteriore processo di avvicinamento. Tuttavia c'è un preciso impegno morale, quello della receptio del documento multilaterale da parte dei cattolici in Italia delle diverse diocesi ed entro tre anni si farà una verifica sia sul testo che sulla receptio».

Da straordinario a ordinario


Quali le piste obbligate affinché questo documento non cada nel vuoto? Mons. Chiaretti indica alcuni punti-base: «I contenuti di questa carta devono essere conosciuti, acquisiti, divulgati dai vescovi in primo luogo ma anche dai presbiteri nella pastorale ordinaria delle chiese locali. Fino ad oggi abbiamo pensato che l'ecumenismo appartenesse alla pastorale straordinaria della chiesa oggi dobbiamo considerarlo come parte della pastorale ordinaria. Non si può annunciare con fedeltà il vangelo se non si entra appieno dentro questa dimensione ecumenica. I contenuti della Charta devono essere approfonditi anche in giornate e incontri di studio e di riflessione sia a livello popolare che a livello accademico vale a dire negli istituti di scienze religiose e negli istituti teologici Oggi è presente anche una particolare preoccupazione che riguarda il riqualificare l'insegnamento della religione cattolica che ha una sua dimensione storico-culturale all'interno delle scuole laddove viene scelto. È molto importante che ci sia questa consapevolezza della dimensione ecumenica e del dialogo interreligioso soprattutto per le caratteristiche della nostra popolazione scolastica sempre più pluralista e bisognosa di una lettura intelligente di queste diverse realtà religiose, come è altrettanto importante una preparazione adeguata dei catechisti e dei ministri laici. Tali contenuti... devono essere tradotti in forme concrete nelle celebrazioni ecumeniche e affrontati in forum di chiese e comunità ecclesiali anche limitati ad un particolare territorio per trovare poi concretamente punti di incontro e di collaborazione, inculturazione e di servizio reciproco».


AA.VV., Charta oecumenica per l'Europa. Prospettive di riconciliazione all'inizio del terzo millennio, ed. Banca del gratuito, (per richieste del testo: 0721/865012/13).

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Quadro sintetico delle relazioni tra le comunioni
 e delle cronache delle Chiese
da gennaio a febbraio 2004


RELAZIONI TRA LE COMUNIONI



1. Cattolici ed altri cristiani

Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, accompagnato da Mons. B. Farrello, segretario dello stesso Consiglio, si è recato a Mosca dal 17 al 23 febbraio. L’incontro ha avuto luogo su invito delle conferenza dei vescovi cattolici della Federazione Russa. Il Cardinale ha parlato di “L’ortodossia e la Chiesa Cattolica a quarant’anni dal decreto sull’ecumenismo”. Ma il centro prioritario di questo viaggio era costituito dall’eventualità della costituzione di un Patriarcato greco-cattolico a Kiev e dalle tensioni tra il Patriarcato Russo e la Chiesa Cattolica.

In proposito si è avuto un incontro tra il Cardinale ed il metropolita Cyrillo presidente del dipartimento per le relazioni ecclesiali estere del Patriarcato. Il Cardinale ha assicurato che la Santa Sede ha preso in seria considerazione le reazioni negative di fronte al problema “Ucraina”, sia di Mosca che di Costantinopoli, sia degli altri Patriarcati e Chiese ortodosse.

Le due parti hanno convenuto sull’utilità di creare un gruppo misto di lavoro per esaminare i problemi sospesi e proporre poi delle soluzioni.

I presidenti delle conferenze episcopali cattoliche di Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Grecia, Romania, Serbia-Montenegro, Turchia riunite a Belgrado dal 20 al 22 febbraio 2004 hanno espresso la loro volontà di dare maggior forza alla loro collaborazione con le chiese ortodosse asserendo che è necessaria una testimonianza cristiana più forte, favorendo il rispetto per la vita e la famiglia.
Hanno partecipato alla sessione anche due vescovi ortodossi serbi.
Il Patriarcato serbo Pavle I ha ricevuto con spirito fraterno e cordiale i vescovi cattolici. Nell’incontro è stato affermato che l’unificazione dell’Europa potrebbe essere un contesto in cui collaborare, come Chiese, per la riconciliazione dei gruppi etnici e per la soluzione dei gravi problemi economici.

Precalcedoniani

La Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese precalcedoniane si è riunita dal 27 al 30 gennaio 2004 sotto la presidenza congiunta del Cardinale Kaspe e del Metropolita Bishoy segretario generale del Santo Sinodo copto-ortodosso. La riunione, ospitata dal papa copto-ortodosso Shenouda III si è tenuta al Cairo.
Degli inviti erano stati rivolti ai Primati delle seguenti chiese: Copto-ortodossa, sirio-ortodossa, Catolicasato di tutti gli Armeni, Catolicasato di Cilicia, Chiesa Etiopica ed eritrea ortodosse, chiesa malankarese sirio-ortodossa.
Nel discorso di apertura i due copresidenti hanno sottolineato che l’incontro segnava l’inizio di un nuovo dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolica e le Chiese Ortodosse Precalcedoniane.
Vi sono stati degli incontri, molto cordiali ed aperti, con il Papa Shenouda III.
Nella prima parte della riunione sono stati rivisti studi, dialoghi, attività degli ultimi 30 anni. Nella seconda parte si è stabilito che nel prossimo incontro, 25-30 gennaio, si affronterà una parte dell’ecclesiologia: “La Chiesa come comunione” con approfondimento dei seguenti punti:
- Comprensione ed elementi costitutivi della comunione
- Comunione particolare ed universale; significato di Chiese sorelle e di famiglie di Chiese
- Piena comunione e gradi di comunione, il comune obiettivo ecumenico.

Anglicani

La commissione internazionale anglicano-cattolica si è riunita dal 28 gennaio al 3 febbraio a Seattle, sotto la copresidenza di Mons. A. Brunett, Arcivescovo di Seattle, e di Mons. P. Carnely, Arcivescovo anglicano di Perth.
La Commissione ha completato l’elaborazione del testo della dichiarazione di Seattle, “Maria: grazia e speranza in Cristo”.
La comprensione del ruolo di Maria è stato origine di una vivace controversia tra anglicani e Cattolici ma la Commissione si è sforzata di andare al di là di ogni posizione rigida per elaborare un approccio comune all’oggetto del dibattito.
L’Arcivescovo cattolico Farrell ed il canonico anglicano Cameron hanno espresso alla Commissione la gratitudine delle due Chiese per l’importante lavoro svolto in un ventennio.

Luterani

Nel 2004 è stato festeggiato il quinto anniversario della firma ufficiale da parte della Chiesa Cattolica e della Federazione Luterana Mondiale della “Dichiarazione Comune sulla dottrina della giustificazione”.
L’evento, che ha avuto luogo ad Angsbourg in Germania il 31/10/1999, è stato ricordato dal Card. Kasper e dal dott. Noko ai cattolici ed ai luterani invitandoli a celebrare con iniziative ecumeniche.






2. Ortodossi ed altri cristiani

Cattolici

Il 5 gennaio 2004 il Patriarcato Ecumenico Bartolomeo I ha inviato un messaggio al Papa Giovanni Paolo II in occasione del quarantesimo anniversario dell’incontro tra il Patriarca Atenagora I ed il Papa Paolo VI a Gerusalemme.





3. Anglicani ed altri cristiani
 
Cattolici

Il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha preso le distanze dalla proposta fatta nella dichiarazione “Il dono dell’autorità” pubblicata dalla Commissione Internazionale anglicano-cattolica (ARCIC) secondo la quale l’autorità dell’insegnamento del papa sarebbe: “un dono da ricevere da parte di tutte le chiese”.
Una maggioranza schiacciante del Sinodo ha chiesto all’ARCIC di approfondire meglio i fondamenti della sua dichiarazione. Tuttavia il Sinodo ha riaffermato l’impegno della Chiesa Anglicana nella ricerca della piena unità visibile della Chiesa di Cristo.





4. Luterani ed altri cristiani

Ortodossi

Dal 26 al 31 gennaio 2004 una delegazione luterana si è recata a Costantinopoli per esaminare con dei rappresentanti del Patriarcato Ecumenico la possibilità di approfondire il partenariato tra le chiese luterane ed ortodosse.
Sia il Segretariato della Federazione Luterana Mondiale che il Patriarca Ecumenico hanno affermato la necessità di rinforzare la collaborazione tra le due famiglie confessionali perchè ciò aiuterà i loro sforzi nel fare fronte alle grandi sfide del mondo contemporaneo.

Anglicani

In occasione della sua riunione dal 21 al 23 febbraio 2004 il Comitato esecutivo della Federazione Luterana Mondiale ha approvato la creazione di una nuova commissione internazionale di dialogo con l’Alleanza Riformata Mondiale.
Il Comitato ha approvato che la nuova commissione si occupi della realizzazione del rapporto finale: “Chiamati alla comunione ed alla comune testimonianza”.
Altro compito della commissione sarà quello di iniziare due nuovi studi:
- Esame dei rapporti tra le “strutture” di Chiesa e la comunione
- Ricerca sulla storia delle Chiese luterane e riformate con un particolare riguardo alle evoluzioni che possono avere influenzato in modo positivo o negativo relazioni tra le due famiglie confessionali.




5. Riformati ed altri cristiani

Precalcedoniani

Una delegazione della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti si è recata nel febbraio 2004 ad Antelias in Libano presso Sua Santità Aram I catholicos Armeno di Cilicia.
Scopo della visita era quello di approfondire i rapporti tra le Chiese degli USA e quelle del Medio Oriente.
Il Catholicos Aram I ha accolto con gioia la proposta ed ha sottolineato l’importanza dell’unità come testimonianza vivente data al Vangelo di Gesù Cristo.




6. C.C.E.

Alla vigilia della fine del suo mandato, il 31 dicembre 2003, il segretario generale uscente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha concesso un’intervista all’agenzia stampa: “Ecumenical News International”. Nell’intervista ha chiesto alle Chiese di accettare la sfida ecumenica di rivedere le loro idee di cristianesimo in un mondo di pluralismo religioso.
Nell’epoca della mondializzazione che vede tutto, uomini e cose, come dei prodotti commercializzabili ed il mondo come un grande mercato, si è fatta strada la tendenza a salvare le identità singole.
Il CCE, ha aggiunto, deve avere un duplice obiettivo, l’unità della Chiesa e dell’umanità.

Il pastore Sam Kobia, delle Chiese metodiste del Kenya, è stato ufficialmente istallato il 18 febbraio 2004 come segretario generale del CCE.




7. Tra Cristiani

KEK-CCEE

Il Comitato misto del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) si è riunito a Slaski in Polonia dal 29 gennaio all’1 febbraio 2004 ospite dell’Arcivescovo di Opale. L’ordine del giorno ha subito portato ad un dibattito sulla situazione ecumenica che esiste in questo momento in Europa. Infatti le Chiese si trovano a dover far fronte alle sfide derivanti da un contesto multireligioso e dal processo di unificazione europea.
“Un’Europa politicamente unita con delle Chiese divise costituirebbe una situazione intollerabile” ha detto il Vescovo di Coira Monsignor H. Grab.
È dunque necessario, ha aggiunto, intensificare sia il dialogo che la collaborazione. Il progresso del cammino della riconciliazione sarà, in ogni caso, più vero e visibile nella misura in cui le Chiese vivranno il vangelo.
Il Metropolita Daniel di Moldavia e Bucovina, membro del presidium del KEK, ha continuato la riflessione mettendo in evidenza i tre maggiori ostacoli attuali contro l’ecumenismo: secolarizzazione, fondamentalismo religioso, proselitismo aggressivo da parte delle “sette”.
È necessario, ha aggiunto, superare le controversie con un dialogo corresponsabile profondo e vivendo una spiritualità autentica.
Ed ha concluso dicendo: “Creati da un Dio che è comunione di persone, non possiamo che esistere nella comunione”.
Il Comitato ha poi proposto un cammino triennale: 2005-2006-2007 che guidi le Chiese in una riflessione su “Cristo luce dell’avvenire”.
Questo cammino offrirà alle Chiese l’occasione di riflettere, incontrarsi con riferimento alle radici cristiane dell’Europa.

CETA

Il pastore Mvune Dandala, segretario generale della Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (CETA) si è rivolto ai responsabili delle Chiese invitandoli ad essere in prima linea nella difesa dei diritti umani, soprattutto in Africa dove esistono delle crisi persistenti legate ai conflitti ed all’insicurezza.



 

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Martedì, 01 Marzo 2005 21:34

La spiritualità ecumenica (Card. Walter Kasper)

Relazione introduttiva del presidente
La spiritualità ecumenica
Card. Walter Kasper


La spiritualità ecumenica. Relazione introduttiva del presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani card. Walter Kasper, in "Il regno-documenti", 21 (2003), pp. 653-658; riduzione del testo a cura di Cesare Filippini.



I princìpi

Il Pontificio consiglio non fa ecumenismo a suo gradimento, né cerca di imporlo come gli aggrada, ma compie la missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli alla vigilia della sua morte (Gv 17,21) e agisce per mandato della Chiesa che ha scelto il cammino ecumenico inaugurato dal Concilio Vaticano II. L’ecumenismo non è una semplice appendice alla missione pastorale della Chiesa, ma appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione (Unitatis redintegratio, n. 1), ed esso è una delle priorità pastorali dell’attuale pontificato (Ut unum sint, n. 99).

La promozione dell’unità dei cristiani è compito dell’ecumenismo ad extra, cioè ell’ecumenismo del dialogo; dell’ecumenismo ad intra, cioè la promozione e divulgazione dello spirito e dell’azione ecumenici nella stessa Chiesa cattolica. Questi due ecumenismi devono avvenire nella verità e nella carità. Il suo scopo dichiarato è l’unità visibile della Chiesa nella fede, nei sacramenti, soprattutto nella comune celebrazione dell’eucaristia e nel ministero gerarchico.


La situazione ecumenica: luci e ombre

1. Siamo testimoni di un’incoraggiante crescita alla base della consapevolezza ecumenica. L’ecumenismo è una realtà scontata, solidamente radicata nella vita della Chiesa. Esso non ha assunto soltanto la forma di un’attività esteriore, ma abbiamo un gran numero di testimonianze toccanti di una spiritualità ecumenica vissuta. Nell’insieme, si può affermare che il compito affidato al Pontificio consiglio corrisponde alle attese e alle aspirazioni di numerosi cristiani, "che tutti siano una cosa sola".

È ancora attuale quanto Giovanni Paolo II ha sottolineato nell’enciclica Ut unum sint riferendosi ai frutti del dialogo (n. 41; EV 14/2741). Il Santo Padre afferma che il vero frutto è la fraternità ritrovata.

L’unità della Chiesa è, al tempo stesso, segno e strumento dell’unità del genere umano (LG n. 1). Per questo motivo, la solidarietà dei cristiani tra di loro è un servizio reso a tutta l’umanità. In questo senso è stato commovente e significativo rilevare lo scorso anno, la sintonia non concertata delle Chiese e comunità ecclesiali, che si sono prnunciate a favore della pace e contro la guerra. Nella giornata di preghiera per la pace (2002 ad Assisi) hanno affermato insieme che Dio è una parola di pace, e che egli non può dunque, in alcun modo, essere invocato per giustificare la guerra.

2. Inversamente, esistono purtroppo tendenze d’orientamento opposto che suscitano tensioni e, a volte, anche divisioni in seno alle Chiese. Se, da una parte, si perviene a vincere gli antichi contrasti, dall’altra insorgono nuove divergenze, per la maggior parte in materia etica: aborto, divorzio, eutanasia, omosessualità; analogamente i problemi etnici, sociali e politici hanno spesso l’effetto di causare divisioni. Le tensioni tra le Chiese ortodosse autocefale, nell’ambito della Comunione anglicana e delle comunità di tradizione della Riforma, come anche a volte nella Chiesa cattolica, nuocciono al dialogo.

In tale contesto il Consiglio si chiede chi sono i suoi partner in una situazione in cui si constata la paralisi di alcune famiglie confessionali mondiali provocata dai loro conflitti interni. In linea di principio il Pontificio consiglio intrattiene un dialogo teologico con l’insieme delle Chiese ortodosse e con le famiglie confessionali mondiali.

Un altro problema sorge dal fatto che la consapevolezza ecumenica e la pratica dell’ecumenismo sono spesso superficiali. Il pensiero pluralista e relativista moderno e postmoderno, che si discosta dalla questione della verità, vuole negligere le differenze attuali in materia di fede e si impone una tolleranza mal compresa, non basata sul rispetto dell’opinione altrui, ma su un atteggiamento indifferente nei confronti delle proprie convinzioni di fede e di quelle dell’altro. L’ecumenismo, allora, non è la causa, ma la vittima di questo relativismo.

Di fronte a questo pericolo, in tutte le Chiese e comunità ecclesiali si notano i segni forieri di un nuovo confessionalismo. Malgrado le preoccupazioni, giustificate e non da trascurare, che affiorano in queste tendenze, non è una soluzione praticabile il ripiegarsi sulla propria identità confessionale che basta a se stessa. Il movimento ecumenico postula disponibilità al cambiamento di pensiero, alla conversione e alla riconciliazione. Quando alcuni comportamenti sconfinano nel fondamentalismo fanatico, essi possono condurre, anche oggi, a forme d’ostilità confessionale e perfino a manifestazioni violente.

3. Quest’ultimo fenomeno si riscontra in modo particolare nelle sette, antiche e nuove, e in numerosi movimenti neo-religiosi. Il problema è estremamente complesso e le sue cause sono molteplici. Il concetto stesso di setta è molto difficile da definire e fino a ora teologi e sociologi della religione non sono pervenuti a intendersi sull’argomento. Abbiamo a che fare con una vasta gamma di fenomeni che non sono affatto uniformi tra loro e che emergono nelle diverse regioni del mondo con caratteristiche diverse.

Sullo sfondo di questo movimento si intravedono diversi motivi ed elementi: delle autentiche preoccupazioni spirituali, elementi eclettici, sincretisti, ovvero ideologici di una nuova gnosi, motivi politici ed economici, smania del miracoloso, vanagloria, manifestazioni demoniache.

Il dialogo rimane molto difficile, se non spesso impossibile, con le sette che affermano in modo aggressivo un esclusivismo fanatico della salvezza. Nella pratica, tuttavia, molte sfumature sono possibili. Constatiamo ciò soprattutto con i movimenti carismatici e pentecostali.

Il dialogo con le Chiese orientali

1. Il dialogo con le Chiese orientali è stato una delle più accentuate priorità dell’attività del Consiglio durante gli ultimi due anni. Siamo molto vicini a queste Chiese nella fede, nei sacramenti e nel ministero episcopale e siamo legati ad esse in una "comunione della fede e della carità". Esse conservano una ricchezza spirituale che è patrimonio della Chiesa universale. Nei nostri contatti le difficoltà sono causate da fattori non teologici, dalla diversità di storia, di cultura e di mentalità. Tuttavia siamo lieti di poter affermare che i vincoli di communio fraterna con molte singole Chiese ortodosse si sono rafforzati in modo impensabile fino a poco tempo fa. A tali progressi ecumenici hanno ampiamente contribuito i viaggi del papa. Il Pontificio consiglio ha potuto anch’esso stabilire nuovi contatti e annodare nuove amicizie in occasione di una serie di visite.

Un’ulteriore e incoraggiante esperienza di dialogo è stata realizzata con le antiche Chiese dell’Oriente.

2. Le relazioni con la Chiesa ortodossa russa, nell’insieme buone fino alla svolta politica del 1989-1990, hanno assunto una configurazione delicata. A partire da quegli anni (’89-’90) vi sono state lamentele al riguardo del cosiddetto uniatismo (relativamente alla Chiesa greco-cattolica in Ucraina occidentale) e del proselitismo, lamentele che si sono riaccese nel febbraio 2002 con l’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche nella federazione russa e, più recentemente, nel Kazakistan. A queste difficoltà si aggiungono i problemi teologici circa la comprensione della Chiesa (autocefalia, territorio canonico, comprensione del termine Chiesa sorella).

Tuttavia il dialogo non si è mai completamente interrotto: una serie di contatti informali hanno avuto luogo negli ultimi due anni e, più di recente, sono emersi segni della volontà di un netto, anche se lento, miglioramento delle relazioni. Sarebbe auspicabile stabilire una sorta di codice di comportamento tra il Patriarcato di Mosca e la Conferenza episcopale cattolica di Russia (ovvero la Santa sede).

3. Il problema principale nelle nostre relazioni con le Chiese orientali è costituito dall’impasse in cui si dibatte il dialogo teologico internazionale avviato nel 1980 con le Chiese ortodosse nel loro insieme. Difficoltà interne tra alcune Chiese ortodosse hanno impedito una nuova convocazione della Commissione, anche se si manifesta da parte di tutti il desiderio di continuare il dialogo.

Nel maggio scorso, il Pontificio consiglio ha convocato un simposio accademico cattolico-ortodosso sul ministero petrino. La riunione è stata caratterizzata da interventi ad alto livello scientifico e si è svolta in un’atmosfera molto positiva. Il problema teologico centrale è quello della koinonia/communio, quello cioè che riguarda l’autocefalia. In prospettiva futura bisogna elaborare il concetto concreto e la prassi di una comunione universale nel pieno rispetto delle ricche e antiche tradizioni liturgiche, teologiche, spirituali e canoniche delle Chiese orientali.

I rapporti della Chiesa cattolica con singole Chiese orientali seguono un cammino positivo e pieno di promesse.

Il dialogo con le comunità ecclesiali occidentali

1. Le differenze non soltanto storiche e culturali, ma anche di carattere dottrinale, con le comunità ecclesistiche occidentali sono più gravi di quelle con le Chiese orientali. Quanto è stato detto sui cambiamenti della scena ecumenica e sulle luci e ombre dell’ecumenismo si applica anche ai dialoghi con le comunità ecclesiali occidentali. Tra le Chiese e comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è di gran lunga la Chiesa che intrattiene il maggior numero di dialoghi ecumenici. Dalle Dichiarazioni ufficiali i dialoghi avanzano lentamente, ma con serietà.

Un accenno particolare merita il dialogo con la Comunione anglicana che progrediva assai positivamente, ma che improvvisamente, a causa dei nuovi problemi etici, ha rallentato il cammino.

2. Un’analisi più approfondita di tali difficoltà permette di constatare, al di là degli umori del momento, per la maggior parte passeggeri, il problema di fondo nel dialogo con le comunità ecclesiali di tradizione della Riforma. Abbiamo a che fare con delle ecclesiologie diverse che conducono a diverse concezioni dello scopo ecumenico al quale si tende. Tali concezioni suscitano attese differenziate che, per loro natura, provocano delusioni da una parte e dall’altra proprio per il fatto che un partner non risponde a ciò che l’altro si attende da lui. Questa situazione ha portato ad una sorta di situazione di stallo che rende impossibile ogni progresso sostanziale, fino a quando cioè le questioni dell’ecclesiologia non saranno fondamentalmente risolte.

Lo scopo ecumenico, dal punto di vista cattolico, è la comunione piena e visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero gerarchico. Questa comunione – vedi l’esempio delle Chiese orientali – considera una ricchezza la pluralità delle forme d’espressione delle diverse Chiese locali a condizione che esse non comportino divergenze sostanziali. Da ciò si discosta il modello d’unità proposto dalla Concordia di Leuenberg (1973) diventato predominante soprattutto nel contesto del protestantesimo del continente europeo.

Secondo tale modello, le Chiese confessionali fino ad ora separate adottano una forma di comunione ecclesiale che presuppone un consenso di principio circa la comprensione del Vangelo, pur lasciando sussistere professioni di fede diverse. Dal punto di vista confessionale ed istituzionale, le Chiese restano separate, ma sono in comunione per il pulpito e la santa Cena; inoltre riconoscono reciprocamente i loro ministeri rispettivi. Tale pluralismo confessionale è considerato legittimo sulla base del N.T.

Risulta chiaro che una tale comprensione della comunione ecclesiale si distingue fondamentalmente dall’unità ecclesiale in quanto unità di communio secondo la concezione cattolica. Si comprende allora in che modo e per quale motivo le Chiese protestanti insistano attualmente sull’intercomunione ovvero sull’ospitalià eucaristica.

3. Il modello di Leuenberg non è l’unico e solo modello applicato da parte evangelica; ci sono anche i risultati del dialogo con gli anglicani, la dichiarazione della Chiesa luterana evangelica d’America, la dichiarazione della Chiesa luterana del Canada. Studiosi di Lutero, sia protestanti che cattolici, hanno dimostrato che la sua intenzione – come quella degli altri riformatori – non era di fondare una propria Chiesa confessionale, ma di riformare, a partire dal Vangelo, la Chiesa universale esistente. Un tale progetto è fallito per ragioni sia teologiche che politiche. Poiché attualmente il movimento ecumenico accoglie le richieste legittime degli uni e degli altri come uno "scambio di doni", viene a cadere per ciò stesso ogni legittimità di una separazione delle Chiese.

L’ecumenismo in un prossimo futuro

La situazione che abbiamo descritto non deve essere motivo di rassegnazione. Nel frattempo il movimento ecumenico è pervenuto ad una situazione untermedia di buon vicinato e di communio ecclesiale più profonda sebbene non ancora completa. Si tratta ora di un ecumenismo di vita; si tratta di dare forma ad una situazione intermedia e d’infondere la vita in una tale situazione. Se potessimo realizzare tutto ciò che è fattibile, e anche opportuno, senza difficoltà e senza infrangere nessuna regola ecclesiale, saremo molto più avanti nel nostro cammino.

Alla luce di quanto detto vorrei attirare particolarmente l’attenzione su un punto. Di fronte all’attuale pericolo di erosione di ciò che secondo i principi cattolici dell’ecumenismo costituisce la base di fede dell’ecumenismo – il battesimo e la fede battesimale, il Credo – è necessario rinforzare tali fondamenta. In conformità con l’ultima Assemblea plenaria il Pontificio consiglio ha iniziato questo compito chiedendo alle conferenze episcopali di pervenire ad un accordo sul reciproco riconoscimento del battesimo con i loro partner ecumenici, ovvero di verificare e approfondire gli accordi esistenti. Non si tratta soltanto del riconoscimento formale della validità del battesimo conferito con l’acqua e con la formula trinitaria, ma di un accordo sulla comprensione del battesimo e della professione di fede che di esso fa parte. Le reazioni che sono pervenute fino ad ora a queste iniziative del nostro dicastero sono incoraggianti.

Aristotele ha dimostrato che ogni comunità, stato compreso, dipende, per la sua conservazione, dall’amicizia e dalla cerchia dei suoi amici (Nic. Etica 1155; 1160a-61a). L’amicizia è un’importante categoria del N.T. ed è un termine che i primi cristiani usavano per descrivere se stessi. (Gv 15,11-15; 3 Gv 15). L’ecumenismo non progredisce principalmente con documenti e azioni, ma grazie alle amicizie che superano le barriere confessionali. In ragione dell’unico battesimo, della comune appartenenza all’unico corpo di Cristo, della vita che emana dallo Spirito Santo, queste amicizie vanno al di là di una semplice simpatia umana e creano innanzitutto quel clima di fiducia e di reciproca accettazione che permette al dialogo teologico di fare sostanziali progressi.

L’ecumenismo spirituale è l’anima e il fulcro del movimento ecumenico. Alla spiritualità ecumenica appartiene in primo luogo la preghiera, che si concentra nella settimana di preghiera per l’unità; grazie ad essa, cresce in noi la consapevolezza che l’unità non può essere frutto soltanto degli sforzi umani; l’unità è un dono dello Spirito; come esseri umani non la possiamo fare. Importante è la conversione e la santificazione personale, poiché non vi è ecumenismo vero senza conversione personale e rinnovamento istituzionale.

Ritengo che, soprattutto a partire da una comprensione purificata e chiarificata della spiritualità ecumenica, si possa pervenire a una pratica ecumenica rinnovata e approfondita, capace di imprimere un nuovo slancio alla ricerca ecumenica, e liberarla dalle difficoltà, dalle aporie e dalle crisi attuali.


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Sabato, 05 Febbraio 2005 20:14

Gli Evangelici verso l'unione

Germania.
Gli Evangelici verso l'unione


L'11 dicembre 2004 sono state resi noti gli ulteriori passi compiuti per una sempre maggiore integrazione e cooperazione tra l'Unione delle Chiese evangeliche luterane di Germania (VELKD), la Chiesa evangelica di Germania (EKD) e l'Unione delle Chiese evangeliche nella EKD (UEK).

Dopo due anni di incontri e discussioni, sembra ormai prossima la firma di un accordo che consenta la creazione di una struttura unica, con sede ad Hannover.

La nuova istituzione garantirà a ciascun membro l'autorità di deliberare sull'attività secondo le proprie costituzioni e confessioni.

Il raggiungimento di questo accordo preliminare apre le porte al dibattito negli organi direttivi e nei sinodi delle Chiese in modo da giungere alla firma definitiva, una volta raccolte osservazioni e proposte di modifica, entro il 2006, così da diventare effettivo l'accordo a partire dal 1° gennaio 2007.


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Domenica, 30 Gennaio 2005 15:35

Ecumenismo: irrevocabile e irreversibile (G. B.)

Ecumenismo:
irrevocabile e irreversibile
di G. B.

Quarant'anni sono una misura biblica. Tempo adeguato per verifiche.

Il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, nel quarantesimo della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio (21 novembre 1964), ha organizzato, l'11 e il13 novembre 2004, una conferenza di bilancio del cammino ecumenico da allora compiuto (1). L'ecumenismo - ha detto il card. Kasper, presidente del Pontificio consiglio presentando l’iniziativa, il 10 novembre - non è qualcosa di secondario, non è soltanto un'appendice della missione e della pratica pastorale della Chiesa". "Esso era ed è, come lo stesso papa Giovanni Paolo II afferma nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint, una delle priorità pastorali del suo pontificato. La scelta ecumenica di Unitatis redintegratio è - secondo la stessa enciclica - irreversibile e ha una validità permanente".

Il convegno ha avuto sostanzialmente due momenti: uno di riflessione e confronto sul cammino dottrinale; e un secondo di verifica dello sviluppo ecumenico interno alla Chiesa cattolica. A questo secondo tratto hanno dato voce le relazioni interne al Pontificio consiglio di mons. Fortino (sottosegretario) sull'azione ecumenica svolta dal Pontificio consiglio stesso in questi quarant'anni; e da mons. Farrell (segretario) sui risultati di un questionario inviato dal dicastero a tutte le conferenze episcopali.

L'indagine mostra come vi sia stata nella Chiesa cattolica una effettiva maturazione nella consapevolezza ecumenica: la ricerca dell'unità è diventata un obiettivo presente nelle Chiese locali; nella maggior parte di esse è stata creata una commissione ecumenica ed esiste un incaricato per l'ecumenismo; diffusa è oramai la partecipazione cattolica a raduni e preghiere ecumeniche e la collaborazione pastorale tra comunità cristiane; migliore il grado di conoscenza delle altre Chiese e comunità ecclesiali. Dalle Chiese locali viene anche la richiesta al dicastero romano di un maggiore incoraggiamento per la formazione teologica e il coordinamento dell'azione ecumenica. Accanto alla consapevolezza delle questioni teologiche irrisolte e ai rischi di un ecumenismo volontaristico, si sottolinea la necessità di integrare le diverse iniziative ecumeniche nell'insieme dei programmi pastorali diocesani. Le Chiese locali chiedono poi una riflessione circa le risposte da dare a un proselitismo aggressivo; evidenziano l'opportunità di associare esperti di altre confessioni alla formazione ecumenica dei sacerdoti e degli operatori pastorali. Il convegno ha risposto con il progetto di un Vademecum ecumenico per promuovere l'ecumenismo spirituale nella Chiesa cattolica.

Dai vescovi di due Chiese locali, Murphy-O'Connor (Westminster) e Koch (Basilea), sono giunte indicazioni particolari: l'uno ha insistito sull'esigenza che accanto all'ecumenismo spirituale e all'ecumenismo di verità progredisca anche l'ecumenismo di vita, cioè l'esperienza concreta di cristiani e comunità che sono in cammino con gli altri cristiani: "niente può sostituire i contatti personali"; l'altro ha sottolineato la sfida posta al cammino di unità dalla trasformazione sociale e culturale in atto, che accentua in forma indiscriminata ogni elemento di pluralizzazione. Il confronto teologico è stato affidato alle relazioni del card. Walter Kasper (presidente del Pontificio consiglio), al metropolita di Pergamo loannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico e al rev. Geoffrey Wainwright, metodista, a nome delle comunità ecclesiali riformate.

Con il decreto Unitatis redintegratio siamo al centro del rinnovamento conciliare. Grazie a una nuova e più limpida comprensione della Chiesa come "popolo di Dio in cammino" il Concilio ha potuto abbracciare il movimento ecumenico, sorto al di fuori della Chiesa cattolica, attraverso la rivalorizzazione della dimensione escatologica della Chiesa. "Così compreso - ha detto Kasper - l'ecumenismo è la via della Chiesa. Non è né un'aggiunta, né un'appendice, ma è parte integrante della vita organica della Chiesa e della sua attività pastorale". Ma la dinamica escatologica e quella pneumatologica necessitavano di una chiarificazione ecclesiologica che la costituzione Lumen gentium ha fornito con la formula del "subsistit in". "Si è voluto rendere giustizia al fatto che, al di fuori della Chiesa cattolica, non vi sono soltanto singoli cristiani, ma anche "elementi di Chiesa" ed anche Chiese e comunità ecclesiali che, pur non essendo in piena comunione, appartengono di diritto all'unica Chiesa e sono per i loro membri mezzi di salvezza" (cf. Lumen gentium, nn. 8; 15; Unitatis redintegratio, n. 3; Ut unum sint, nn. 10-14 );.La Chiesa di Cristo ha nella Chiesa cattolica il suo luogo concreto, ma essa non intende più se stessa in termini di splendid isolation: "Nel formulare la sua identità, la Chiesa cattolica stabilisce un rapporto dialogico con queste Chiese e comunità ecclesiali".

Questa prospettiva escatologica e spirituale introduce una teologia della conversione, del rinnovamento e del perdono. Lo scopo dell'ecumenismo non può essere concepito come un semplice ritorno degli altri, nel seno della Chiesa cattolica. La meta della piena unità può essere raggiunta soltanto attraverso l'impegno animato dallo Spirito di Dio e la conversione di tutti all'unico capo della Chiesa, Gesù Cristo. La misura dell'unità a Cristo diviene misura dell'unità reciproca e condizione per realizzare in pienezza la cattolicità propria della Chiesa. "L'unità nel senso della piena communio non significa uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell'unità. All'interno dell'unica Chiesa vi è posto per una diversità legittima di mentalità, di usi, di riti, di regole canoniche, di teologie di spiritualità (Lumen gentium ,n. 13; Unitatis redintegratio, nn.4; 16s). Possiamo anche dire che l'essenza dell'unità concepita come communio è la cattolicità nel suo significato originario che non è confessionale ma qualitativo; essa indica la realizzazione di tutti i doni che le Chiese particolari e confessionali possono apportare".

Per Zizioulas, l'apertura avviata dal decreto conciliare "delle frontiere della Chiesa e del riconoscimento della presenza dello Spirito al di fuori delle sue frontiere canoniche, assieme all'ammissione dl colpevolezza per la divisione della cristianità da parte degli uni e degli altri, fonda l'ecumenismo su una solida base ecclesiologica". A proposito dell’importanza del decreto per le relazioni tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, il metropolita ha rilevato che il testo "non esita a chiamare le Chiese ortodosse con il nome di Chiesa, nel significato pieno del termine" e a riconoscere che vi è una piena realtà e vita sacramentale in queste chiese (cf. Unitatis redintegratio, n. 15). Egli ha inoltre sottolineato che nel decreto il concilio "dichiara solennemente che le Chiese dell'Oriente, pur consapevoli della necessità dell'unità di tutta la Chiesa, hanno il potere di governarsi secondo le proprie discipline".Egli ha poi osservato che "poiché, dal punto di vista cattolico, l'unità di tutta la Chiesa è salvaguardata e mantenuta attraverso il ministero petrino, ne consegue che tale ufficio deve essere riconosciuto dalle Chiese ortodosse affinché l’unità possa essere ricomposta".

Il rev. Wainwright ha affermato che "presupposto fondamentale del l'ecumenismo è che il cristianesimo esiste in qualche forma al di là dei confini dell'istituzione alla quale l'individuo appartiene, in un mondo cristiano diviso". Così, il principale compito ecclesiologico del XX secolo è stato quello di definire e situare "l'unica Chiesa, santa, cattolica, e apostolica, alla quale tutti i cristiani appartengono realmente o idealmente".

Wainwright ha anche esaminato le questioni riguardanti il mistero petrino, sollevate dall’enciclica Ut unum sint. ln tale contesto egli ha avanzato un suggerimento personale, chiedendo che "il vescovo di Roma inviti quelle comunità cristiane che egli ritiene essere in una comunione reale sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica romana, a nominare rappresentanti affinché collaborino con lui e con i suoi incaricati alla formulazione di una dichiarazione che possa esprimere il Vangelo da predicare al mondo oggi. In tal modo il dialogo fraterno voluto da Giovanni Paolo II passerebbe dalla teoria dell’ ufficio pastorale e dottrinale alla sostanza di ciò che si crede e che si predica. E lo stesso esercizio dell'elaborazione di una dichiarazione di fede... mette in luce la questione di "un ministero che presieda nella verità e nell'amore"".

(1) A Rocca di Papa, dove si è svolta la "Conferenza sul XL anniversario della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio", erano presenti 260 delegati e invitati: rappresentanti delle conferenze episcopali di tutto il mondo, delegati fraterni delle Chiese ortodosse, delle Chiese orientali ortodosse, delle Chiese e delle comunità ecclesiali derivanti dalla Riforma e protestanti; i co-presidenti delle Commissioni miste internazionali incaricate dei dialoghi ecumenici; rappresentanti dei dicasteri della Santa Sede. Il giorno 13, il papa ha ricevuto in San Pietro per i vespri i partecipanti al convegno.

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Anglicani.
Incontro con l'arcivescovo di Canterbury
"Non accade niente
 di interessante nella Chiesa
se non per opera di Gesù"
di Gianni Valente


Quando non aveva ancora due anni, Rowan Williams prese la meningite e fu sul punto di morire. I dottori dissero che quel bambino fragile per sopravvivere avrebbe dovuto trascorrere per quanto possibile una vita tranquilla. Niente a che vedere col duro lavoro che gli è toccato in sorte, da quando nel 2002 è stato eletto centoquattresimo arcivescovo di Canterbury e primate di una Comunione anglicana attraversata come non mai da dissidi dottrinali e da presagi di declino. Eppure il 54enne gallese, che 30giorni ha intervistato durante il convegno su Thomas Merton organizzato dalla Comunità di Bose dall'8 al 10 ottobre, non ha l’aria della persona angosciata. Oggi che anche tanti ecclesiastici si agitano per riaffermare e difendere il peso e lo spazio dei valori religiosi nella società postmoderna, lui ha ben presente che camminare con Gesù "comporta il rischio di non avere da dire niente che il potere possa ascoltare, il rischio di diventare una nullità nello schema di qualcuno". E cita i primi cristiani, i quali sapevano bene che "appartenere al Dio di Gesù è altra cosa rispetto ad essere un cittadino, qualcuno con chiari diritti e uno status pubblicamente riconosciuti".

Lei è diventato arcivescovo di Canterbury da quasi due anni, e sono stati anni turbolenti all'interno della Comunione anglicana. Sono noti i suoi studi sul cristianesimo del IV secolo e sulla crisi ariana. L'hanno aiutata a valutare la condizione presente del cristianesimo nel mondo?

ROWAN WILLIAMS: Qualche volta forse abbiamo costruito un'immagine troppo abbellita delle epoche passate, come se tutto andasse bene nella vita della Chiesa. Invece se si studia la storia, ti accorgi che a volte per interi decenni la Chiesa era profondamente divisa. Ma questo non vuol dire che anche in quei periodi non ci fossero verità da scoprire. Lo studio del IV secolo che ho condotto per tanti anni mi ha aiutato a vedere che le persone possono rimanere sante pur in mezzo al vortice degli eventi in tempi tribolati. E che non puoi pensare di dedurre da che parte sta la verità contando le teste. Perché in quella crisi sant'Atanasio era rimasto quasi solo a custodire la vera fede davanti all'arianesimo. In alcune situazioni occorre aspettare con pazienza. Atanasio era molto vicino alla vita monastica dei suoi tempi. E questo per me è un indizio che coloro che affidano la propria vita alla vocazione monastica hanno spesso la vista più lunga.

Anche dei primi vescovi in terra britannica lei ha esaltato la virtù della pazienza...

WILLIAMS: Il vescovo Restitutus nel 314 aveva preso parte al Concilio di Arles. Negli ultimi anni doveva essere fiducioso nel futuro della sua Chiesa, perché le cose parevano andare bene. La persecuzione era finita, l'imperatore era amico. Se fosse vissuto cento anni dopo, avrebbe visto la fine di quella iniziale civilizzazione cristiana, quando i pirati barbari travolsero tutto. Quando arrivò Mellitus, inviato da Gregorio Magno, non sembra che ci fossero più tracce di presenza cristiana. Dovette rimanere parecchio tempo in Francia, in attesa di tempi migliori, che permettessero di ricominciare. Per questo ho detto che i vescovi di Londra hanno sempre dovuto essere tenaci e pazienti...

Il nostro appare come un tempo di prova per il cristianesimo. Eppure sembra un tempo religioso e spirituale. Come spiega questo paradosso?

WILLIAMS. Uno dei tratti salienti della nostra cultura è che siamo individualisti e con un'attitudine consumistica nei confronti delle cose. Anche nella religione non si cerca quello che è vero, che è reale, ma ciò che mi offre benessere, che si può usare per sentirsi a posto. Un sentimento spirituale che tranquillizzi il resto della propria vita. Non un annuncio che irrompa nella vita come una novità, cambiando le cose. In vaste parti dell'Occidente, poi, le persone hanno il rigetto verso l'appartenenza a organizzazioni collettive. Se la Chiesa ha una crisi della propria membershtp, i partiti politici stanno anche peggio...



Il cristianesimo appare come un passato che non riguarda la vita, o addirittura come un peso. Le Chiese reagiscono cercando di riaffermare il proprio peso nella società. E moltiplicano gli interventi pubblici. Su ogni argomento.

WILLIAMS. Quando ascolto domande come questa, mi sento subito imputato. Dall'arcivescovo tutti si aspettano che parli in pubblico su tante cose. È una cosa che adesso mi tocca fare, e non è facile. Quando mi capita di incontrare dei giovani, si vede bene che quello che può attirarli alla fede non sono certo i pronunciamenti dei capi della Chiesa. Quando ero vescovo in Galles mi davo molto da fare per i giovani della diocesi, e per molti anni abbiamo avuto un eccellente ministero pastorale rivolto a loro, che consisteva principalmente nell'intrattenerli e farli divertire. Poi è arrivato un nuovo cappellano, ha organizzato subito un ritiro di preghiera con i giovani della diocesi per la Settimana santa. E in quell'occasione un ragazzo che era venuto da agnostico alla fine ha chiesto di essere battezzato. Da quel semplice fatto ho intuito che vedere gli occhi di altri che guardano al Signore è la sola cosa che fa prendere sul serio la Chiesa. Se la Chiesa qualche volta ha cose utili da dire sulla cultura e la politica beh, si può fare, e va bene. Ma la storia non finisce lì...

Cosa è la Chiesa per lei?

WILIIAMS: Ho scritto di recente sulla cristianità degli inizi, e ciò che secondo me descrive la Chiesa nei primi secoli è che è una comunità che vive seguendo un altro Re. A pensarci bene, nei tempi moderni diamo molto peso alle convinzioni teoriche delle persone, a quello che hanno nella loro testa, ma non pensiamo mai all'appartenenza reale a Cristo, dentro una comunità. La Chiesa non esiste per decisione mia o di un qualsiasi numero di persone, ma per l'azione di Dio. Noi, le nostre opinioni, le nostre prospettive, non dettiamo legge su ciò che la Chiesa è al presente. L'esperienza di tale assenza di controllo è in sé stessa salutare. Mentre a volte le Chiese sembrano agitate per questo, per l'incontrollabilità, di Gesù Cristo, per il fatto che Lui non è prigioniero dei nostri pensieri. Adesso c'è bisogno di questo riconoscimento, più che in altri momenti. Il riconoscere che siamo nella Chiesa come degli invitati, perché siamo stati chiamati. Altrimenti la Chiesa sarebbe soltanto una Litigiosa società umana.

E i litigi di certo non mancano.

WILLIAMS: Il fatto è che la Chiesa non è la comunità di persone che vanno d'accordo con noi e condividono le stesse idee. Sono persone che non scegliamo noi. Che magari non ci piacciono. Ma che sono scelte e cambiate da Gesù stesso. Non accade niente di interessante nella Chiesa se non per opera di Lui, che può redimere i nostri disastri umani. Che ha promesso di rimanere coi suoi ogni giorno, fino alla fine del mondo. E ha detto di guardare e chiedere aiuto ai piccoli, ai poveri, ai bambini.

Mi ha colpito la frase di un suo discorso, in cui lei ha detto che "l'ortodossia fluisce, sgorga dalla gratitudine, e non il contrario". Cosa intendeva dire?

WILLIAMS: Il pensiero dei primi cristiani, anche a livello teologico dottrinale, sorse dal fatto che loro vedevano di essere condotti da Gesù in una nuova vita. Le prime parole del cristianesimo sono state quelle usate per rendere gloria a Dio. La dottrina teologica è sorta riflettendo su questo. Se manca questa iniziale gratitudine e riconoscenza per il semplice fatto di Gesù, non si risolvono certo i nostri problemi solo insistendo sulla disciplina.

D'altra parte, circolano anche teologie per cui l'incarnazione di Cristo garantirebbe a priori la salvezza a tutto il genere umano e a tutto il mondo, in maniera meccanica. Concorda con queste tesi?

WILLIAMS: Il disaccordo che provo nei confronti di alcune correnti della teologia americana della creazione è sul fatto che tutto è già deciso, non lasciano spazio neanche alla possibilità che l'uomo possa dire no. Non conosco il cuore degli altri ma conosco il mio, e so che sono capace di creare disastri. Il mio professore all'Università mi ripeteva sempre che nessuna teologia può stare in piedi senza tenere in conto la possibilità del fallimento.

È noto che lei si appassiona alle vite dei santi. Quali santi le sono più cari?

WILLIAMS: Amo soprattutto santa Teresa e san Giovanni della Croce. Ho sempre avuto una predilezione per la spiritualità carmelitana. Ho letto Teresa a quindici anni. Non l'ho capita, ma sentivo che mi piaceva. Poi ho letto anche Edith Stein. Riguardo alle Chiese d'Oriente, mi sono affezionato a san Serafino di Sarov. Lo scorso anno in Russia ho potuto visitare la sua tomba.


Lei cita spesso anche sant'Agostino.

WILLIAMS: Agostino ha creato la disciplina dell'autoanalisi, dell'autocomprensione, mostrando come siamo modellati dalla nostra memoria. Oggi, nell'era postmoderna, siamo indotti a passare da sensazione a sensazione, bruciamo esperienza dopo esperienza, e non c è più storia. Mentre lui ci fa vedere che è la storia che fa la persona. Anche nel rapporto con la realtà civile, Agostino ci ha insegnato che dobbiamo cercare il bene della città in cui viviamo, del luogo in cui siamo, lavorando per la giustizia, senza identificare mai il successo di tale società con il regno di Dio. Coinvolgimento, e allo stesso tempo distacco. Come ho detto prima, noi siamo di un altro Re. Insomma, a volte dico che Agostino può anche essere considerato il fondatore della psicoanalisi e della politica moderna...

É nota anche la sua passione per la liturgia.

WILLIAMS: La liturgia ci ricorda sempre che andiamo verso il giudizio. Che le nostre vite sono poste dentro un nuovo contesto, dove noi entriamo come ospiti. Una liturgia che fosse solo la proiezione delle mie idee sarebbe qualcosa di effimero. Della liturgia che si celebra alla Comunità di Bose, ad esempio, mi piace che non è frettolosa, si prende il tempo che serve, è piena di riferimenti biblici, ed è semplice.

In tutta sincerità, come giudica il primato petrino?

WILLIAMS: Mi è chiaro che fin dall'inizio c'è stato uno speciale carisma, un servizio speciale esercitato dal vescovo di Roma per tutta la Chiesa. Ma dal momento in cui questo è diventato qualcosa di legale e rigidamente definito dal punto di vista teologico, come risulta nelle definizioni del Concilio Vaticano I, mi riesce difficile non avere riserve. Ad esempio, riguardo all'infallibilità come carisma spirituale individuale. Come scriveva il teologo anglicano Austin Farrer, l'infallibilità non dovrebbe essere considerata come una "licenza di stampare fatti". Da quando questo Papa nell'enciclica Ut unum sint ha invitato a discutere di questo tema, tutti noi, anglicani, cattolici e altri, abbiamo una buona occasione per valutare criticamente ciascuno la propria storia. Noi anglicani sperimentiamo come può essere difficile vivere in una Chiesa senza un centro chiaro di autorità. Io non voglio essere un papa. Ma ho presente il problema. So quanto è importante nelle Chiese avere una vera responsabilità l'uno verso l'altro. Nella Chiesa d'Occidente questa esigenza di un'autorità centrale storicamente si è focalizzata nel papato...

Ma si tratta solo di una costruzione storica? Il ruolo della Chiesa di Roma non sorge dal martirio degli apostoli Pietro e Paolo?

WILLIAMS: Quando io e mia moglie siamo venuti a Roma, scendendo alla tomba di Pietro siamo rimasti veramente commossi. La testimonianza apostolica di Pietro, riportata in tutto il Vangelo, si compie lì, nel suo martirio. E quando si parla di ministero petrino, si parla di questo, io penso che sia questo. Hans Urs von Balthasar, un teologo a cui sono affezionato, scrisse sul ministero petrino al tempo di Paolo VI, quando Paolo VI era criticato e attaccato da tutte le parti. E lui scrisse: ecco, adesso io vedo bene cosa è realmente il ministero petrino.

Nelle convulsioni del presente, in Occidente aumentano gli allarmi nei confronti dell'islam, che starebbe portando un sistematico attacco alla civiltà occidentale e alle sue radici cristiane. Come giudica queste interpretazioni dell'attuale momento storico?

WILLIAMS: Uno degli impegni che mi sono assunto come arcivescovo è stato quello di continuare il dialogo islamo-cristiano ad alto livello iniziato già dal mio predecessore. Alcune settimane fa sono andato in Egitto, e all'Università islamica di Al-Azhar ho parlato sulla dottrina della Trinità. In quel Paese, ad esempio, c'è una stretta collaborazione tra le nostre comunità e le comunità islamiche. Io non vedo come prospettiva obbligata quella dello scontro di civiltà. La civilizzazione cristiana deve qualcosa al mondo islamico, cosi come la civiltà islamica deve molto alla cristianità. Ebrei, cristiani e musulmani hanno una lunga storia comune. Più riconosciamo questa storia di convivenza, meglio è per il futuro. Non è neanche vero che tutto il Medio Oriente è islamico. Le antiche Chiese d'Oriente sono lì dai tempi della predicazione apostolica. Prima della guerra in Iraq ho fatto interventi pubblici e ho anche parlato privatamente con membri del nostro governo per segnalare il pericolo che sarebbe venuto, a causa della guerra, ai cristiani del Medio Oriente, che finiranno per pagare il risentimento crescente verso il mondo occidentale.

A pagare nel vortice di violenza che avvolge il mondo sono spesso i bambini. Lei ne ha parlato spesso...

WILLIAMS: Ritengo che uno dei peggiori nuovi mali degli ultimi due decenni, propriamente satanico, è l'attacco ai bambini. Quelli di Beslan, quelli iracheni o egiziani. Quelli palestinesi e quelli israeliani. O gli innocenti bambini soldato in Africa. È una connessione difficile da fare, ma anche la scelta dell'aborto la prendiamo così alla leggera... Non c'è più speranza e fiducia nel futuro dei bambini, e in queste vicende ciò si vede come in uno specchio.

(da 30giorni, n. 10, anno XXII - 2004)

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Nelle nostre parrocchie
i semi del dialogo e dell'unità
di Olivo Bolzon




Il dettato della Costituzione europea, ormai definitivo, non include le famose "radici cristiane" che Giovanni Paolo II e tutte le Chiese europee volevano includere. Sembra insufficiente e vago il preambolo che parla genericamente di una spiritualità capace di animare la nuova Europa e dell'art. 51 che proclama la libertà religiosa come bene necessario per la vita del nostro Continente.

Il nostro sguardo di credenti è però ottimista, perché si radica su un'affermazione evangelica che ci pare ancora più forte e impegnativa: « Li riconoscerete dalle loro azioni... Si può forse raccogliere uva dalle spine o fichi da un cespuglio? Se un albero è buono, fa frutti buoni; ma se un albero è cattivo, fa frutti cattivi. Un albero buono non può fare frutti cattivi, così come un albero cattivo non può fare frutti buoni. Ma un albero che non fa frutti buoni si taglia e si butta nel fuoco... Dunque, è dalle loro azioni che riconoscerete i falsi profeti» (Matteo 7,16-20).

L'ecumenismo ci ha abituati a confrontarci con il mondo a partire dall'impegno quotidiano delle Chiese, a riconoscere che la validità del Vangelo è la testimonianza dei credenti e la comunione tra le Chiese. Al di là di quello che può scrivere la Costituzione è importante per la nuova Europa, un nuovo modo di essere delle Chiese, una comunione reale nella celebrazione della Parola e del Sacramento, efficace e capace di mostrare la fraternità di tutti. Interesserà molto alla nostra Europa vedere la vita dei discepoli di Cristo: rendersi conto che le relazioni tra i popoli europei non possono essere fondate solo su impegni economici e commerciali. L'unità non è reale se si regge solo su legami economici, se è impegnata a occupare nuovi mercati, a vincere le varie competizioni tecnologiche. Le Chiese unite possono dare la speranza di realtà umane nuove e più autentiche.

«Proprio ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani» (Atti 11,26). L'Europa che sta nascendo ha bisogno di vedere persone che hanno fiducia, intessono tra loro relazioni di amicizia e sono in grado di mostrare con la vita quanto l'apostolo Pietro ha scritto: «Siate sempre a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi» (1 Pietro 3,15).

Il cammino ecumenico percorso dalle Chiese ci autorizza a sperare e a vedere segni evidenti di un nuovo futuro. Le "orme ecumeniche" sono segni poveri, facilmente cancellabili, ma testimoniano che qualcosa di nuovo è già nato e crescerà. Non ci riferiamo solo ai grandi incontri come la visita del cardinai Kasper a Mosca nello scorso febbraio che pure ha portato il frutto della creazione di una "Commissione mista cattolico-ortodossa" per studiare e sciogliere i nodi ancora esistenti. È stato un grande evento anche l'abbraccio tra Bartolomeo I e Giovanni Paolo II nella festa dei Santi Pietro e Paolo. Molte però e più modeste sono le realtà che i cristiani d'Europa vivono, e grande il carico profetico che il quotidiano in gesti semplici mostra a tutti. Stiamo inaugurando un nuovo stile di vita, una comunione di fede che supera tante difficoltà esistenti in passato.

Anche nelle nostre parrocchie più tradizionali sarebbe ormai impossibile arroccarsi su affermazioni che erano costume e persuasione nella nostra educazione cattolica. Basterebbe ricordare quanto scriveva nel 1928 Pio XI nell'enciclica Mortalium animos: «Ma dove parvenze di bene ingannano più facilmente parecchi, è quando si tratta di promuovere l'unità fra tutti quanti i cristiani. Si sente ripetere con insistenza che non solo è giusto, ma doveroso e quanti invocano il nome di Cristo si astengano da reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta in vincoli di vicendevole carità... Eppure sotto codeste attrattive e lusinghe si nasconde un gravissimo errore che scalzerebbe dalle basi il fondamento della Chiesa cattolica... Risulta quindi evidente, venerabili fratelli il motivo del permanente divieto posto da questa Sede Apostolica ai fedeli di partecipare a riunioni degli acattolici. L'unico modo possibile di favorire l'unità dei cristiani è di agevolare il ritorno dei dissidenti all'unica vera Chiesa di Cristo».

Giovanni Paolo II parla oggi di un cammino ecumenico irreversibile e necessario, di un dialogo tra le Chiese in vista di una visibile unità «perché il mondo creda». Chi accoglie questo grande segno dei tempi rinnova la propria fede e ritrova un'impegnativa appartenenza alla propria Chiesa.

(da Jesus, agosto 2004)


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Sabato, 27 Novembre 2004 20:38

Restituite le reliquie

[b][size=medium]Chiesa Cattolica - Ortodossia[/size][/b]
[size=x-large]Restituite le reliquie[/size]


 



[size=medium]Il 27 novembre 2004 in San Pietro Giovanni Paolo II ha consegnato al patriarca ecumenico Bartolomeo I le reliquie dei Santi Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo.

Le reliquie erano state sottratte nel corso della IV Crociata, quando Bisanzio fu messa al sacco dalle milizie cristiane dell'Occidente.

Le relique sono state composte in due teche di cristallo, racchiuse in due reliquiari di alabastro, che sono stati portati in processione da diaconi e da fedeli che portavano rami di palma.

All'inizio del rito Bartolomeo I ha abbracciato e baciato il Papa.

Il portavoce vaticano Joaquin Navarro ha dichiarato che il gesto del Papa è «di grande importanza ecclesiale ed espressione della comunicatio in sacris esistente tra l'Oriente e l'Occidente cristiani».[/size]

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