Ecumene

Martedì, 21 Febbraio 2012 22:20

La Chiesa ortodossa russa: 20 anni di libertà (Vladimir Zelinskij)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Se lo Spirito Santo agisce nella storia, l’incontro tra la Chiesa ortodossa (con tutte le ricchezze che essa porta, manifesta e nasconde in sé) e il mondo com’è, con tutta la sua miseria spirituale, dovrebbe avvenire in un futuro non troppo remoto.

La caduta del regime ideologico

Mi sono accorto da tempo che quando si tratta di considerare il principale avvenimento della fine del XX secolo in Europa, l’Occidente ricorda subito il crollo del muro di Berlino, mentre l’Oriente si rivolge al crollo del comunismo e dell’impero sovietico, evento avvenuto due anni dopo. In realtà si può parlare di una stessa vicenda, svoltasi in due atti e con accenti diversi. Per i sovietici l’unificazione della Germania fu, all’epoca, un episodio assai lontano che riguardava l’Europa piuttosto che loro direttamente. Non così il fallito colpo di Stato dell’agosto 1991, come anche il trattato dello scioglimento dell’Unione Sovietica, nel dicembre 1991, firmato da tre presidenti (di Russia, Bielorussia ed Ucraina). Queste firme non hanno fatto molto rumore nel mondo, ma in realtà hanno cambiato il destino di 300 milioni di persone che una sera si sono addormentati in un Paese ed il mattino dopo si sono risvegliati in un altro Paese – radicalmente altro, rispetto a quello del giorno prima. Infatti, prima si era ancora tutti progressisti e comunisti, mentre all’improvviso si scopre che da sempre siamo stati ortodossi o musulmani e che il comunismo non è stato altro che un lungo e brutto sogno.
Oggi tutti, cominciando dai cervelli più lucidi fino al semplice sciocco, confessano: non avevamo previsto, non potevamo neanche immaginare che quel sogno finisse così presto e ad un tratto. Ma appena il sistema è caduto, per quasi tutta la popolazione ex-sovietica (tranne per quelli che in tutte le cose negative in patria riscontravano sempre la perfida mano dell’Occidente) è diventato chiaro che il regime si era svuotato dall’interno, si era putrefatto come un albero - ideologicamente, economicamente, umanamente – anche se fino all’ultimo momento, da lontano, poteva sembrare ancora forte. Ma è bastata una leggera spinta e l’albero è caduto. Cos’è rimasto sotto le macerie di un sistema che si presentava così ben organizzato? Se il passato si è basato su idee e su promesse nelle quali quasi nessuno credeva più, quale eredità si può raccogliere dopo questa spettacolare caduta?
Il regime ideologico, fondato sulla dottrina ed una certa filosofia della storia, tagliava sistematicamente e violentemente non soltanto tutto ciò che poteva contraddire il proprio “magistero” e la propria prassi, ma anche le cose che risultavano semplicemente diverse da esso. Così, suo malgrado, questo sistema ha creato un intero continente sotterraneo: di una realtà proibita, cacciata, schiacciata, marginalizzata, ma che già prima della caduta del regime ha iniziato a penetrare attraverso le crepe e si è, poi, letteralmente riversata nello spazio culturale russo. Per esempio, durante i 70 anni del comunismo in Occidente ha avuto origine un’altra letteratura russa, che ha avuto i suoi grandi nomi e prodotto libri importantissimi. Questa letteratura, insieme alle opere degli scrittori clandestini (samizdat) alla soglia degli anni ‘90 hanno invaso la vita culturale del paese. Ma l’evento più importante è stato il risveglio della vita religiosa, quasi soppressa dal regime o mantenuta come una cenerentola nella propria casa.
    
“Il secondo battesimo della Rus”

Il regime è caduto nel volgere di un attimo a causa di riforme destinate a migliorarlo e che, in realtà, potevano solo distruggerlo, poiché ogni dittatura è irriformabile per sua costituzione. Questo periodo di riforme, conosciuto sotto lo slogan di “perestroika”, è arrivato infine alla vita religiosa. Mi ricordo che nel 1988, quando la Chiesa Russa ha festeggiato il millennio, lo Stato, non senza resistenza, ha dato il permesso di riaprire (cioè, usare per il culto, tra le decine di migliaia di chiese chiuse e profanate), solo 17 nuove chiese in tutta l’Unione Sovietica (22 milioni km quadrati). Ma “il processo è partito”, come si diceva all’epoca, e dal 1991 in poi, dopo il crollo del regime, tutte le porte si sono aperte. Già dal 1990 è iniziata la rapida crescita della Chiesa Ortodossa Russa, innanzitutto come organismo fisico. Se nel 1988, cioè nell’anno del giubileo, essa aveva circa 6.500 parrocchie (la metà delle quali si trovava in Ucraina, soprattutto nell’Ovest dell’Ucraina), oggi la Chiesa Russa ha più di 30.000 luoghi di culto (e quasi la metà di questi si trovano sempre in Ucraina). La maggior parte di queste parrocchie sono state riaperte o risuscitate dalle rovine: da officine, granai, sale cinematografiche, tipografie, ecc. Non poche, però, sono state costruite da capo. La “risurrezione in pietra” più famosa è stata la storia della cattedrale del Cristo Salvatore. Chiesa consacrata nel 1862, per la commemorazione del cinquantesimo anniversario della vittoria su Napoleone, fu fatta saltare in aria nel 1932 su ordine di Stalin per potervi costruire un Palazzo del Soviet al centro di Mosca ed è stata ricostruita, dal primo all’ultimo mattone, all’inizio del nostro secolo. Un’impresa che è costata, credo, qualche miliardo di euro.
Ma non si tratta solo di una “risurrezione di pietra”. In quest’epoca è diventato quasi un luogo comune parlare di un secondo battesimo della Rus’ poiché il ritorno alla vita religiosa, anche in senso sacramentale, ha acquistato una caratteristica di massa. Come fu per la conversione della popolazione romana, dopo l’editto di Milano del 313, quando imperatore Costantino aveva dichiarato il cristianesimo inizialmente come tollerabile ed in seguito come unica religione dell’impero. Ma negli anni ‘90, soprattutto all’inizio, il ritorno alla religione non è stato tanto un gesto di conformismo sociale, quanto di una disperata ricerca della vera tradizione, della fedeltà all’eredità dei padri, della vera spiritualità (mescolata anche con la ricerca della vera patria). Bisogna capire bene: non si tratta di una nuova fede ideologica che è venuta a sostituire l’altra, poiché l’ideologia sovietica, oggetto di scherzi che causavano soltanto noia, era già morta da tempo e non richiedeva né fede, né convinzione, né entusiasmo. Al tempo stesso, questa ideologia giocava il ruolo di ossatura della società, della sua giustificazione legale, come anche della sua copertura morale e sociale. Questa struttura è crollata insieme all’ideologia ed il senso del vuoto è diventato così reale, così pesante da dover essere, per davvero, spiritualmente sfamato. Con il crollo del regime la società ha fatto il passaggio da un vuoto ben strutturato e ricoperto dall’ideologia ad un vuoto senza strutture e senza idee, se non quelle del consumismo e della voglia di vivere “come in Occidente”.
In questa atmosfera si è con forza manifestato il bisogno di una vita spirituale. Gli anni ‘90 - questo è già un fatto storico - sono diventati il tempo del ritorno alla religione. La religione come tale è un fenomeno abbastanza complicato in cui possono essere mischiati elementi eterogenei tra loro: la necessità dell’assoluto e la sicurezza del rito, la rivelazione e l’abitudine, l’abnegazione e una sorta di comodità mistica. Nella Russia post-sovietica il risveglio religioso degli anni ‘90 ha portato con sé anche un altro elemento tipicamente russo: la ricerca delle radici della patria, la riscoperta, forse, un po’ forzata, della santa Rus’, da intendersi piuttosto come uno slancio dell’anima che di una realtà storica. In questo slancio possono essere mescolati elementi cristiani e pagani. È ciò che io chiamerei spiritualità patriottica. In altre parole, la conversione al cristianesimo sulla base di un sentimento nazionale, di appartenenza al popolo sofferente, spesso peccatore, ma amato ed eletto da Dio in modo speciale.
    
Il continente del martirio

Questi motivi erano già presenti nei filosofi russi slavofili ed in Dostoevskij, ma hanno acquistato una valenza particolare nel nostro tempo. La libertà già nei suoi primi passi ha fatto scoprire l’enorme continente della sofferenza patita dai cristiani, di un martirio senza fine imposto da un regime ossessionato dalla costruzione di un regno di dio senza dio e che non tollerava rivali che cercassero il Regno Celeste. La persecuzione statale, che aveva le sue alte e basse maree, è durata, praticamente, per tutti i 70 anni del comunismo. La parola ”martirio”, però, può essere rapportata soltanto al periodo che va dalla presa del potere da parte dei bolscevichi fino alla morte di Stalin: 35 anni. È stata scoperta - e sarà senza dubbio riscoperta di nuovo anche domani e dopodomani, - la terra senza confini del martirio cristiano in terra russa. Basti ricordare che delle oltre settantamila parrocchie e cappelle che aveva l’impero russo al momento della Rivoluzione, verso la fine degli anni ‘30 ne erano rimaste aperte non più di 350 e che il clero di queste chiese, per la maggior parte, ha finito i propri giorni nei Gulag. Degli iniziali 150 vescovi, verso il 1940 ne erano rimasti in libertà solo 4. Ed anche questi 4 vescovi e le ultime 350 chiese erano già destinati a sparire. Soltanto la grande Guerra Patriottica del 1941-1945 ha costretto il regime a cambiare la propria politica ed a riaprire le mani serrate sul collo della Chiesa.
Dopo la morte di Stalin bisogna parlare non tanto di martirio in senso proprio, quanto di soffocamento della Chiesa: attivo ed aggressivo nei tempi krusceviani (1953-1964), passivo e fiacco un quarto di secolo dopo. Cosa significava questo soffocamento in un paese ateo? Ogni passo, ogni mossa nella vita di una delle poche chiese aperte al culto erano controllati. Negli ultimi anni del regime la maggior parte della popolazione del paese, almeno quella che apparteneva alla tradizione cristiana, era battezzata, ma l’85% delle persone si dichiaravano non credenti, mentre il 15%, per la maggior parte donne di una certa età, apparteneva ad una delle tradizioni religiose. Negli anni  ‘90 la situazione si è capovolta: il 15% si dichiara ateo o agnostico, l’85% credente. Cosa si nasconde sotto questa statistica? Che alle porte aperte della religione si sono precipitate le masse degli agnostici di ieri. Al giorno d'oggi quasi tutti i cristiani che vivono in Russia sono convertiti. È perciò veramente difficile trovare un credente la cui fede sia una pacifica trasmissione da padre a figlio, da generazione a generazione, senza alcuna interruzione, senza crisi, senza tale o talaltro cammino spirituale di "ritorno". Il processo della successione della fede si ristabilisce soltanto adesso nei figli dei convertiti, che stanno diventando adulti. Perciò il cristianesimo dell'epoca attuale in Russia è imbevuto (o è anche predeterminato dall'interno) di due avvenimenti spirituali: la tragica vicenda della fede, della memoria indelebile del prezzo della sua sopravvivenza  - "l'olocausto cristiano russo" - e l'esperienza della grazia della scoperta di un Dio personale.
    
La Chiesa nazionale

Personale o nazionale? La conversione di massa è raramente una vera conversione. Uscita dal sottosuolo la Chiesa Russa è diventata una protagonista sulla scena politica e sociale. Essa si è presentata ed è diventata davvero l’unico organismo che unisce, spiritualmente, culturalmente e linguisticamente, tutte le ex-repubbliche dell’Unione Sovietica. Perché la Chiesa Russa si trova non solo in Russia - bisogna ricordarlo bene – ma anche in Ucraina, in Bielorussia, nelle repubbliche baltiche e dell’Asia Centrale poiché in tutta la cosiddetta Comunità degli Stati Indipendenti rimarrà per lungo tempo una massiccia presenza di russi che rimangono fedeli alla loro Chiesa. La Chiesa Russa si trova anche sui sei continenti, e, naturalmente, in Italia. E questa presenza, spirituale e culturale, non può essere tagliata da una certa presenza ed influenza politica. Anzi, a volte la Chiesa è percepita come ultimo vestigio dello scomparso impero sovietico, cosa che suscita una grande nostalgia per il passato, per la cosiddetta “Russia storica” (anche quella sotto la maschera comunista). I grandi costruttori di questo impero, come “i sacri mostri” - Ivan il Terribile nel passato lontano o Stalin nel passato recente - sono maggiormente venerati ed assolti dai loro innumerevoli crimini. Sono diventati delle rispettabilissime figure della storia russa. Così, in un concorso nazionale relativo alle figure più eminenti della storia russa, organizzato un paio di anni fa e avente come titolo “il nome della Russia”, questi due personaggi sono stati considerati quasi dei vincitori nell’elenco delle prime dieci personalità.
Insomma, nella Russia di oggi una sete propriamente spirituale si è intrecciata, in modo quasi inseparabile, con la ricerca della propria identità storica e nazionale. Per esempio, un evento che nell’Europa di oggi passa quasi in modo impercettibile (la vittoria del 1945 sull’invasione tedesca e sul nazismo), è festeggiato in Russia con una solennità quasi liturgica, che va crescendo da un anno all’altro. Non solo perché questa vittoria è costata all’Unione Sovietica quasi 30 milioni di vite umane, ma anche perché l’immagine, il mito, il simbolo della vittoria serve oggi da avvenimento chiave per la storia nazionale e tiene ancora saldo un popolo che ha smarrito la strada dopo la sparizione del proprio paese. Una vittoria in cui l’enorme sacrificio s’unisce all’enorme trionfo serve come prova della vitalità del popolo che si trova e si sente in crisi.
    
Le sfide della libertà

Bisogna capire bene: se per i tedeschi il crollo del muro fu il primo passo all’unificazione nazionale, per i russi il crollo dello stesso muro ideologico ha causato lo sgretolamento del loro enorme paese, che quasi tutti consideravano indivisibile. La libertà è arrivata non solo come gioia, ma anche come prova e dolore. Gli anni ‘90 sono oggi ricordati non solo come il tempo della disgregazione dell’impero, ma anche come il periodo di un incredibile saccheggio delle proprie ricchezze naturali, dell’impoverimento delle masse e dello stupefacente e velocissimo arricchimento di alcuni. Il capitalismo selvaggio e senza regole si è presentato subito come padrone di casa. Le porte che si sono aperte con il crollo del comunismo hanno lasciato entrare non soltanto la libertà religiosa, con i suoi benefici, ma anche tutti gli altri tipi di libertà – che sono entrati subito in conflitto fra di loro. Per esempio, agli inizi del ‘92 Mosca, la mia città, si è riempita subito, letteralmente in tre giorni, di cose impensabili qualche un mese prima, come la pornografia, l’astrologia, le istruzioni di magia nera o di produzione di armi a casa, ecc. Migliaia di banchetti posti lungo le strade vendevano, 24 ore su 24 (dovendo pagare un grosso pizzo alla mafia), ogni sorta di vodka – che, a volte, avvelenava gli acquirenti. Non c’era quasi nessun controllo. Naturalmente, tutte le religioni e tutte le sette, anche le più esotiche, anche quelle proibite negli altri paesi, hanno guardato il territorio dell’impero fallito come loro terra di missione e sono entrate per comprare il tempo delle televisioni, gli stadi per le prediche, gli spazi per vendere i loro prodotti. Spesso, accanto a libricini ortodossi che vedevano in queste sette lo zampino del diavolo. A volte, meno di un metro separava questi banchetti nella metropolitana o nei sottopassaggi delle strade. Su di uno si proponevano gli scritti del reverendo Moon, su di un altro le opere dei Padri della Chiesa o le vite dei santi. È facile immaginare che in questa invasione dell’immoralità e del settarismo la Chiesa abbia visto gli intrighi dell’Occidente, venuto come un ladro a rubare e a rovinare le anime dei battezzati. A dire la verità, forse, un Occidente è giunto come ladro, davvero. Ma anche come ospite d’onore, invitato o richiesto dall’Oriente stesso. Un altro Occidente è venuto come fratello, per fare amicizia, per aiutare, per fare lo scambio dei doni. Ma per la gente semplice non è sempre facile di distinguere l’uno dall’altro. Tutto questo ha determinato anche il destino dell’ecumenismo nella Russia libera, ma povera ed ossessionata dalla ricerca della propria identità.
    
Il crollo dell’ecumenismo. La Chiesa e lo Stato

Da questa reazione contro l’invasione straniera e dalla ricerca della propria identità nella storia, nel rito, nella tradizione ecclesiale e, a volte, nel folclore, si può capire anche quell’“inverno ecumenico” che è arrivato dopo la lunga primavera, con le sue promesse, degli anni ‘60-‘70. In quel periodo per lo Stato, che controllava tutto, l’ecumenismo era un’impresa ufficiale attraverso cui utilizzare i contatti fra i chierici per i propri piani propagandistici e diplomatici. D’altra parte era la Chiesa stessa ad utilizzare questi contatti per provare la propria utilità ad uno stato ostile, partecipando nella “lotta per la pace”, in consonanza col puro stile sovietico. Al tempo stesso, tranne per queste cose extra-ecclesiali ed extra cristiane, l’ispirazione ecumenica era, per la maggior parte, sincera: la Chiesa Russa aveva davvero bisogno del mondo esterno, del dialogo con le altre famiglie cristiane. Crollato il regime, è crollato subito l’ecumenismo del passato. Ma l’ecumenismo del presente è stato minato dal problema del proselitismo. Tutte le altre comunità cristiane, soprattutto quelle evangeliche fondamentaliste, come ho già accennato, hanno cominciato a sistemare le proprie cose in terra russa come se il cristianesimo ortodosso non esistesse. I fratelli di ieri sono diventati i vicini di oggi che non riconoscono la sovranità di ciò che gli ortodossi chiamano il proprio “territorio canonico”. Questa situazione dura fino ad oggi, ma con una differenza sostanziale: l’Ortodossia stessa, con l’aiuto dello Stato, è passata all’offensiva. Le attività della presenza religiosa straniera oggi sono molto sorvegliate e limitate dalla legge, come anche le attività delle altre comunità, tipicamente russe (i Vecchi Credenti, i battisti ed i pentecostali) che non hanno sempre vita facile. Non si può dire che l’Ortodossia stia per diventare religione di Stato a danno degli altri, ma la situazione oggi è abbastanza vicina a questa fase. Basta guardare i mass media. La televisione parla solo degli avvenimenti importanti in ambito ortodosso, le prime cariche dello Stato sono sempre in Chiesa durante le celebrazioni più importanti: il Natale e la Pasqua. Tutti capiscono: la loro presenza non ha soltanto un carattere religioso, ma anche politico. Naturalmente, la Chiesa Russa come Chiesa nazionale non alza mai la voce contro alcuna mossa sbagliata o immorale dello Stato. Né nel periodo zarista né nell’epoca comunista né oggi sotto un sistema formalmente democratico. Bisogna tenere presenti il caso dei conflitti tra una comunità ortodossa ed un’altra, fra il Patriarcato di Mosca ed una delle piccole chiese dell’Ortodossia cosiddetta “alternativa”, fra un monastero a cui la popolazione locale non vuole lasciare la terra appartenuta 100 anni fa alla comunità monastica, dei finanziamenti da parte dello Stato di progetti prestigiosi come la costruzione della chiesa ortodossa sul territorio dell’ambasciata russa a Roma, la costruzione di un’enorme cattedrale nel centro di Parigi, ecc.
Ma l’Ortodossia di oggi ha ancora tanti problemi da risolvere in Russia; ad esempio, l’introduzione delle lezioni religiose a scuola, la ri-istituzione dei cappellani militari nell’esercito, la costruzione di centinaia di nuove chiese nei quartieri residenziali. La società di oggi, formata attraverso l’esperienza sovietica o dalla generazione cresciuta nella Russia post-comunista, è molto diversa da quella che è vissuta 100 anni fa. Come reazione al clericalismo nascente rinasce anche l’ateismo militante che sembrava essere morto e sepolto già alla fine degli anni ‘80. Gli scontri, come pure, per esempio, il processo contro una mostra dal titolo: “Attenzione: religione!” (con quadri francamente blasfemi), diventano sempre più frequenti.
    
L’eredità degli scismi

Il regime uscito dalla rivoluzione del 1917 ha provocato non soltanto la persecuzione, ma anche gravi divisioni all’interno della Chiesa stessa. Gli scismi, soprattutto negli anni ‘20 sono stati tanti: fra i novatori, che hanno combinato la collaborazione con la polizia segreta con le riforme liturgiche e canoniche; tra la cosiddetta opposizione di destra che non voleva in nessun modo collaborare con il potere a prezzo del martirio e la Chiesa ufficiale che ha accettato qualsiasi forma di compromesso per salvare il corpo fisico della Chiesa… E tante altre rotture interne. Negli anni trenta, però, anche la sottomissione totale allo Stato deicida poteva soltanto prolungare i giorni ormai contati della Chiesa (anche se ufficialmente riconosciuta), perché la vita religiosa come tale era destinata essere schiacciata dal regime, al pari di quanto era già avvenuto per tutte le comunità clandestine. Le catacombe non potevano essere tollerate in uno Stato che era riuscito a creare una polizia segreta così perfetta e onnipresente. Ma lo scisma più grave (che praticamente continua fino ai nostri giorni) è rappresentato dall’opposizione, fino all’inimicizia, tra la Russia ortodossa che è rimasta nella Russia comunista e un’altra Russia che è riuscita ad emigrare all’estero (molto più piccola numericamente, ma con una popolazione di esuli che si contava in milioni). Così nel mondo (non solo in Occidente) si sono sviluppate e formate tre Chiese Ortodosse Russe. Una è quella del Patriarcato di Mosca; un’altra è quella che ha scelto di rimanere (tuttora) sotto la giurisdizione del Patriarcato Ecumenico; la terza, che si chiama la Chiesa Russa all’estero, si è organizzata come organismo autonomo e separato dalla comunione con le altre Chiese ortodosse.
La Chiesa all’estero (il termine non ha un senso geografico, ma proprio ecclesiale) si è proclamata come l’unica, vera Chiesa ortodossa russa. Non come quella di Mosca che, secondo questa visione, ha commesso due peccati mortali: la collaborazione con un regime satanico e la partecipazione al movimento ecumenico. Durante i 70 anni del comunismo i rappresentanti della Chiesa all’estero chiamavano i chierici della Chiesa di Mosca non diversamente che “agenti in talare”. Il Patriarcato di Mosca rispondeva con le scomuniche. Ma dopo il crollo del regime la Chiesa all’estero ha perso, in un certo senso, la propria identità, basata sulla resistenza, sull’opposizione, sulla coscienza di essere l’ultima rappresentante dell’ortodossia vera, incontaminata da qualsiasi eresia. Dopo tanti dubbi e lacerazioni interne questa Chiesa, presente soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, è ufficialmente tornata sotto la tutela della Chiesa di Mosca ed è diventata sua parte integrante.
Questa riconciliazione non è stata completa, però. Circa un quarto delle sue parrocchie non ha seguito questa scelta, rimanendo in eterna opposizione. Questa parte ha i propri seguaci anche nella Russia di oggi, dove sono cresciute e si sono moltiplicate piccole Chiese scismatiche, che non vanno d’accordo fra di loro, ma tutte insieme si trovano in un’opposizione battagliera contro la Chiesa di Mosca. Il punto più nevralgico dello scontro non è più la collaborazione con il regime (questo è già acqua passata), ma l’Ecumenismo visto come tradimento della vera Ortodossia. Le Chiese della vera Ortodossia non sono molto importanti numericamente, ma sono abbastanza influenti sulla parte più conservatrice del clero e dei laici. Così, ogni tanto, si può sentir parlare ostentatamente del passaggio di uno o di qualche chierico dal Patriarcato di Mosca ad una di queste comunità alternative. Anche a motivo di un’opposizione sempre vigilante, il Patriarcato di Mosca deve essere molto cauto con le sue aperture verso le altre comunità cristiane. Ogni incontro ecumenico, ogni abbraccio fra ortodossi e cattolici, per esempio, è fotografato ed immediatamente pubblicato sui siti web degli “ortodossi veri” come prova della vergognosa infedeltà alla propria fede da parte dell’ortodossia ufficiale. Ultimo esempio è dato dalla partecipazione all’incontro di Assisi nell’ottobre scorso.
    
I frutti dolci, i frutti amari. Il nodo ucraino

Ma c’è anche un problema più grave, quello del nazionalismo ecclesiale all’interno del Patriarcato di Mosca stesso. Per ora questo problema riguarda nel modo più acuto solo l’Ucraina, ma esso può sorgere anche nelle altre repubbliche ex-sovietiche. In Ucraina, indipendente dal 1991, almeno la terza parte della popolazione non è soltanto russofona, ma si sente culturalmente e spiritualmente russa e non vuole “ucrainizzarsi”. Un’altra parte (prima di tutto nell’Ovest del paese) è proprio ucraina e vede nella Chiesa Russa lo strumento della “russificazione” e la minaccia per la propria identità nazionale. Come si sa, l’indipendenza ha portato una grande e dolorosa divisione, in tre Chiese, nella metropolia del Patriarcato di Mosca. Una canonica, fa riferimento a Mosca; un'altra fa riferimento al Patriarcato di Kiev, scomunicato dal Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca; la terza, è la cosiddetta Chiesa autocefala, anch’essa non-canonica (vale a dire non riconosciuta da nessuna Chiesa ortodossa “in regola”). Ognuna di queste Chiese ha una sua storia e un’autogiustificazione della propria esistenza separata. Aggiungiamo a queste tre chiese la quarta, la Chiesa greco-cattolica che fa riferimento a Roma e conta qualche milione di fedeli, avente lo stesso rito bizantino che hanno le Chiese ortodosse ed allora ci rendiamo conto che la libertà porta non soltanto frutti dolci, ma anche aspri ed amari: quelli della divisione.
I frutti dolci, certo, sono i più numerosi: la Chiesa è cresciuta enormemente, sono stati aperti tanti monasteri, tanti santuari, nuove Accademie Teologiche, ogni città importante ha il proprio seminario, quasi ogni parrocchia ha la propria scuola di catechismo per i bambini. Si sono sviluppati licei e scuole materne ortodosse; sono apparse decine e decine di case editrici e di librerie; sulla scena culturale sono apparsi nuovi teologi e pubblicisti, ma anche poeti e scrittori, senza parlare degli iconografi che professano la loro fede con i mezzi dell’arte… Tutte queste cose erano impensabili un quarto di secolo fa. La Chiesa impara ad essere missionaria, facendo ancora i suoi primi passi in questa direzione, poiché non ha molta esperienza in questo campo, come invece la Chiesa cattolica. Ma il problema più complicato che rimane da risolvere è il rapporto della Chiesa (che rappresenta la cultura antica, cominciando dalla lingua liturgica – ma ogni lingua porta in sé una mentalità conservatrice) con il mondo della modernità, nel suo sviluppo e nella sua secolarizzazione. A livello popolare questo conflitto della mentalità conservatrice (e spesso apocalittica), si esprime, in Russia e in Ucraina, nel rifiuto di massa ad accettare il codice fiscale con le barre poiché in sé nasconde la cifra 666 dell’Anticristo. Ma anche su di un altro livello gli ortodossi sembrano essere spesso i cittadini di un’altra epoca. Valori inalienabili del mondo contemporaneo, come i diritti umani, la libertà di coscienza per tutti, la disponibilità al dialogo, la democrazia stessa, sono abbastanza lontani dal modo di pensare dell’ortodosso che vive nell’Est dell’Europa. Ciò provoca un conflitto – aperto o latente – con quella parte di società che pensa da europei.
È chiaro che la libertà fa sorgere i problemi, ma non da le chiavi per risolverli. Da due secoli la società russa è culturalmente divisa tra i cosiddetti “occidentalisti” e gli “slavofili”. Questa divisione, in forma moderna, permane anche oggi. La Chiesa Ortodossa Russa ha fatto i primi passi, imparando a muoversi nella libertà, senza perdere il proprio enorme patrimonio spirituale. La voglia di salvaguardare la sua eredità per ora prevale sulla voglia di dialogare con la modernità. Se lo Spirito Santo agisce nella storia, l’incontro tra la Chiesa ortodossa (con tutte le ricchezze che essa porta, manifesta e nasconde in sé) e il mondo com’è, con tutta la sua miseria spirituale, dovrebbe avvenire in un futuro non troppo remoto.

Vladimir Zelinskij

 

Letto 5919 volte Ultima modifica il Martedì, 21 Febbraio 2012 22:29
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search