Vita nello Spirito

Giovedì, 24 Gennaio 2013 15:10

Il mistero che illumina il mistero (Sr. Maria Teresa Ragusa o.cist.)

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Essenziale per penetrare nella comprensione del Mistero è, difatti, il celebrarlo nei sacramenti: in maniera del tutto particolare l'eucaristia...

Eucaristia ed evento della croce nella vita della comunità

Il Tempo liturgico che stiamo vivendo ci invita a meditare il Mistero Pasquale di Cristo, mistero della sua obbedienza filiale al progetto del Padre espressa nel dono di sé fino alla morte, preludio della gloria della risurrezione.
Talvolta però l'itinerario di kenosi e di consegna-per-amore compiuto dal Figlio di Dio e nel quale Egli ci coinvolge, rischia di venir da noi percepito come un evento racchiuso in un passato ormai compiuto e quasi «a sé stante», pur se ci «tocca» e ci commuove, coinvolgendo la nostra pietà e devozione, ma del quale sembra forse sfuggirci il senso e l'attualità nel qui ed ora della nostra storia, la correlazione intima e vitale col nostro presente.
Per evitare di smarrirci nelle secche di derive intimistiche è necessario riscoprire la celebrazione di esso come via attraverso la quale riappropriarci del suo significato più originario.
Essenziale per penetrare nella comprensione del Mistero è, difatti, il celebrarlo nei sacramenti: in maniera del tutto particolare l'eucaristia, in quanto corpo spezzato e sangue versato per noi, rende presente e visibile il mistero della morte e risurrezione di Cristo.
Eucaristia ed evento della croce sono così intimamente correlate da consentire di parlarne come di mistero che illumina il mistero: l'autodonazione di Cristo sulla croce, mistero d'amore che rivela il progetto di salvezza di Dio a favore dell'uomo, è anticipata ed illuminata nel suo significato essenziale dal dono di sé che Cristo esprime nei segni del pane e del vino, a loro volta ineffabile mistero della sua presenza in mezzo ai suoi fino alla fine del mondo.

La 1 Cor 11 ,23-29 ci offre uno dei paragrafi più importanti sull'Eucaristia nel NT, preceduto dal breve passaggio che si legge in 10,16: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?».
Le parole che Gesù pronuncia durante la cena ci sono pervenute attraverso due tradizioni: l'una si richiama alla comunità antiochena, confluita nel nostro brano e nella narrazione lucana (Lc 22,14-20), l'altra si rifà alla comunità di origine gerosolimitana, riportata da Mc 14,22-25 e Mt 26,26-29.
Il brano di 1 Cor 11,23-29 si inserisce nella sezione che abbraccia i vv. 17-34 in cui Paolo rimprovera ai Corinzi il modo scandaloso in cui celebravano la cena del Signore.
Difatti il motivo principale che induce Paolo a richiamare l'istituzione dell'eucaristia è di carattere comunitario (1): egli sottolinea che le assemblee della chiesa di Corinto andavano di male in peggio (v. 17) a causa della mancanza di carità e di unità tra i membri, fino all'abuso di giungere alla celebrazione eucaristica in una comunità divisa tra ricchi e poveri.
Paolo ribadisce con veemenza che è cosa «indegna» (v. 27) mangiare e bere allo stesso calice in una comunità in cui esistono divisioni e fazioni, e per appoggiare la sua esortazione si appella alla tradizione eucaristica da cui trae la sua catechesi sulla cena mettendone in rilievo lo spessore ecclesiale.

«Nella notte in cui veniva consegnato»

L'espressione del v. 23, che apre la pericope sulla cena, offre la chiave di lettura che permette di cogliere la relazione di prossimità tra la cena del Signore e la passione, vicinanza non solo cronologica, ma soprattutto teologica; il verbo greco usato è paradìdomi, che può esser considerato il verbo della passione.
Questo verbo significa sia tradire che consegnare: se l'allusione più immediata sembra riguardare il tradimento consumato ai danni di Gesù, il fatto che non vi sia alcun soggetto espresso potrebbe rimandare ad un Protagonista Altro adombrando, dietro la trama di eventi umani, la Persona del Padre che consegna il proprio figlio par amore degli uomini.
Il pane ed il vino della cena esprimono in linguaggio rituale l'intenzione profonda di tale consegna, in cui Gesù trasforma il rifiuto (l'essere tradito) in dono di sé.
«Questo è il mio corpo che è per voi.» (v. 24): l'autodonazione di Cristo è resa attraverso l'espressione «per voi», con l'impiego della preposizione greca hyper (= per) che, nelle lettere autentiche di Paolo, viene adoperata per mostrare l'essere di Gesù a favore degli altri, la sua pro-esistenza.
È la logica della consegna, pertanto, a costituire la cornice entro la quale Gesù compie il suo gesto, che si distende nel tempo fino ad illuminare il significato di tutta la sua vita.
Gesù ordina ai suoi di farne memoria: il verbo «fare» è verbo concreto, riguarda non solo la comprensione mentale o il semplice ricordo di parole dette da Gesù in passato, ma la memoria biblica di esse, che coinvolge l'accoglienza del senso di quanto egli ha fatto e la sua traduzione ed attualizzazione nell'oggi del vissuto credente.
Il discorso di Paolo mira a far comprendere che «cena del Signore» è sia la cena che allora Gesù ha consumato con i suoi discepoli sia quella che ora celebrano i Corinzi; purtroppo però le due cene, invece di assomigliarsi, divergono.
Il modo in cui i Corinzi si comportano trasforma la cena del Signore in una cena privata: mancano lo stare insieme (non si aspettano gli uni gli altri) e la condivisione fraterna (ognuno mangia del proprio), e così facendo gettano discredito sulla chiesa di Dio e umiliano i poveri.
Ma se la cena del Signore è il memoriale della sua morte, la celebrazione attraverso la quale essa viene proclamata, una condotta contraria allo spirito dell'autodonazione, che costituisce il senso della morte di Gesù, significa una negazione di tale proclamazione!
Alla luce dello spessore cristologico della cena eucaristica si comprende pertanto la gravità della sanzione contro chi vi si accosta in modo indegno: il disprezzo e l'assenza d'amore verso i membri più poveri della chiesa sono come un provocare la morte del Signore perché, chi non tiene conto del fratello, pecca contro Cristo che è morto per lui (8,11-12).
I cristiani della comunità di Corinto prima di prender parte alla cena devono fermarsi a riflettere per essere sicuri di non cadere in questo peccato che è un peccato contro il corpo ed il sangue di Cristo (v. 27).
«Corpo» è quello di Gesù Cristo dato per noi sulla croce, quello eucaristico del pane e del vino, quello del singolo credente, quello della chiesa o della comunità, che è il corpo di Cristo nell'oggi della storia. I «molti» che mangiano dell'unico pane costituiscono un corpo solo (1 Cor 10,16-17) e in questa unità non possono continuare ad esistere le distinzioni sociali.

Prese il pane, rese grazie, lo spezzò e disse:... è per voi

Le «Parole della cena» ci invitano a compiere un percorso simbolico: dal pane e dal vino alla Persona e all'esistenza di Gesù, dal nutrimento (che genera vita attraverso la «morte» della manducazione) al dono di Sé (che è a sua volta vita che scaturisce dalla morte).
L'invito a mangiare e bere indica, da una parte, la profondità del coinvolgimento del Donatore, dall'altra la condivisione più profonda e personale da parte di chi lo accoglie.
In tutta la teologia di san Paolo si presenta la situazione del cristiano come una incorporazione alla morte del Signore (Rm 6,2ss), della quale il sacrificio eucaristico è attualizzazione e proclamazione, e dunque anche noi siamo chiamati a ripercorrere esistenzialmente l'itinerario simbolico offerto dal Figlio di Dio.
Paolo ci dice che in quella notte Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò e disse:... è per voi. Il pane è il simbolo della vita, una vita che non siamo stati noi a darci, ma che è dono procurato da altri (o da un Altro); come ogni dono essa si riceve, si «prende». Dalla consapevolezza del dono ricevuto scaturisce il rendimento di grazie, ossia la gratitudine dinanzi ad una benevolenza di cui ci si scopre beneficiari.
Se la vita è dono consegnatoci da un Altro non può diventare proprietà privata, diritto, possesso geloso... , ma dono per tutti, fino al punto da venire donata, consegnata e, a propria volta, spezzata per gli altri.
Ogni volta che con la comunità facciamo memoria del gesto eucaristico di Gesù veniamo coinvolti in modo personale, unico e concreto nell'atto del suo spezzarsi «per», in favore di, perché il vero amore ha sempre una struttura pasquale!
Ad ogni eucaristia, attingendo al mistero di Cristo e del suo corpo dato per amore, deve rinnovarsi dunque, nella sua, la nostra personale consegna al Padre per i fratelli; il «per» costituisce lo «spazio» in cui vivere e declinare «quei» tre verbi, spazio «eucaristico» perché abitato dalla gratuità/gratitudine dell'amore e nel quale è racchiusa la vocazione di ogni battezzato nella sua duplice dimensione personale e comunitaria.
Nutrendosi di Cristo il singolo cresce nel cammino di conformazione a Lui (dimensione personale), contribuendo a rigenerare «nella sua carne» il volto della Chiesa ad immagine del Figlio (dimensione comunitaria).
L'eucaristia si pone in profonda relazione con la chiesa a tal punto da poter affermare
che «l'eucaristia edifica la chiesa e la chiesa fa l'eucaristia», e da far dire a S. Agostino:
«Se voi siete il suo corpo e le sue membra, sulla mensa del Signore è deposto quel che è il vostro mistero, sì, voi ricevete quel che è il vostro mistero».
Siamo chiamati a crescere nella consapevolezza di non essere «particelle» semplicemente accostate a formare una comunità, ma uno, in quanto corpo ecclesiale di Cristo che riscopre la propria identità e si fortifica in essa celebrando, nutrendosi e vivendo il suo mistero d'amore nel corpo spezzato e dato!
Quando una comunità cresce nella certezza di essere corpo ecclesiale diventa capace di assumere ed integrare le «povertà» e le debolezze dei suoi membri, non ricusando di fare causa comune con gli ultimi. Solo allora essa celebra veramente l'eucaristia esistenziale ed i gesti che presenta sono veritieri.
Quali risonanze profonde tutto questo non assume anche per la nostra vita di consacrati!
Il mistero della nostra vocazione di sequela Christi si sostanzia nell'invito ad entrare nel Suo mistero pasquale come espressione piena della realtà dinamica della nostra vocazione nuziale!

Perciò ognuno di noi possa riscoprire la bellezza ed il fascino della «storia di Cristo» che continua nella propria storia, possa rinnovarsi nella gioia di celebrarlo comunitariamente affinché esso vivifichi le opere ed i giorni della propria esistenza.

Sr. Maria Teresa Ragusa o.cist.

Monaca del Monastero Cistercense di Santo Spirito, Agrigento

(da Vita Nostra, Mensile Monache Cistercense d’Italia)

Nota

1) L'orizzonte comunitario dell'eucaristia è rimarcato attraverso un secondo gesto che nelle lettere paoline riceve particolare attenzione: la colletta a favore dei «santi» che sono i poveri della chiesa madre di Gerusalemme. Anche rispetto all'iniziativa della colletta Paolo richiama l'evento della croce di Cristo, per esortare i Corinzi a parteciparvi con generosità: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).

 

Letto 3538 volte Ultima modifica il Mercoledì, 17 Aprile 2013 09:17
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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