Vita nello Spirito

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Il modello operativo del santo perfetto e di una formazione che tende alla perfezione è quello che potremmo definire della «canalizzazione», raffigurabile come una freccia che prende una direzione precisa verso un punto preciso, la perfezione, appunto, escludendo tutto il resto.

Venerdì, 22 Gennaio 2010 21:36

Formazione e trasformazione (Anselm Grün osb)

Il  cammino spirituale dice che  tutto può  essere  trasformato. Ma può essere  trasformato  solo  ciò  che noi  accettiamo  e  guardiamo.  Il pericolo è che qualcuno non  sia pronto  a  guardare  la propria  verità. Allora non prende  la  strada della  trasformazione, ma  la  strada della  compensazione che  lo porta  in un  vicolo  cieco.

Il fondatore dei Certosini è una delle personalità di spicco del secolo XI. Si chiama Bruno di Colonia, dove nacque; ma si recò ancor giovane a studiare nella celebre scuola della cattedrale di Reims, dove era stato battezzato Clodoveo, ed era rimasto il centro ideale del regno dei Franchi, convertiti al cattolicesimo. Bruno a Reims divenne chierico e poi prete, ma studiò così bene che divenne anche maestro di teologia, ed uno dei più apprezzati.

 Vita Monastica

 Bernardo, contemplativo e servo
dell'unità della Chiesa

di P. Gabriele Maria Checchi o.cist.

 

Introduzione

Da quando il 25 giugno 2005 è stata riaperta la chiesa inferiore del nostro monastero - quella chiesa che dal 1790 al 1970 ha raccolto la preghiera fedele e perseverante di tante madri e sorelle che ci hanno precedute nella fede - è divenuta consuetudine, in occasione della festa di S. Bernardo, ospitare un concerto d'organo, nell'ambito della manifestazione culturale promossa dall' Associazione per il recupero e la valorizzazione degli organi storici della città di Cortona.

Venerdì, 04 Dicembre 2009 22:52

Necessità di profezia (Mons. Antonio Riboldi)

Marginalità e significatività della vita consacrata: modelli culturali alternativi

 

Necessità di profezia

di Mons. Antonio Riboldi (*)


1. Una lettura del presente

Si vede che le cosiddette grandi Chiese appaiono morenti.

Visione e formazione dell'uomo
nel capitolo VII della Regola di S. Benedetto

Come San Benedetto concepisce l’uomo
e lo forma alla luce del capitolo 7 della “Regola”


Riflessioni di P. Giorgio, monaco trappista



1. Genere letterario di RB 7



I cc 4-7 vengono chiamati generalmente “sezione spirituale” della RB, in opposizione - se così si può dire - agli altri cc della R che parlano dell’ordinamento del monastero, delle varie osservanze.

Visione e formazione dell'uomo
nel capitolo VII della Regola di S. Benedetto


Il sottofondo psicologico del cap. VII
della Regola di S. Benedetto


Riflessioni di P. Bernardo, monaco trappista


(terza parte)

E’ necessario sapere quale idea ha S. Benedetto dell’uomo, nel suo Cap. VII, per capire come imposta la formazione di colui che si presenta alla sua scuola.


La finalità, della formazione è un risultato che si ottiene molto tardi e gradualmente. Il lavoro di formazione è di tutti i giorni. Tuttavia nella programmazione, è fondamentale sapere cosa si vuole raggiungere.

Visione e formazione dell'uomo


 nel capitolo VII della Regola di S. Benedetto

Il cammino per arrivare all’obbedienza
 come espressione di libertà

Riflessioni di Dom Denis Huerre abbate emerito Pierre-qui-vivre e preside emerito della Congregazione Benedettina Sublacense



(seconda parte)

Nella vita monastica, come in ogni forma di vita, c’è un pericolo. Non c’è vita senza pericolo. Il pericolo della vita monastica cenobitica mi sembra consistere, soprattutto per i giovani, nel fare le cose per “voler piacere” all’abbate, al maestro. E questo succede ancora oggi, dopo il 68. La vita monastica comincia per tutti con alcuna forma di regresso psicologico: è un passaggio obbligatorio. Ciò avviene anche per le persone entrano adulte (ad esempio il padre P. Adalbert De Vogüe, entrato alla Pierre-qui-vivre all’età di 63 anni Pur essendo un uomo di grande esperienza, con un aspetto imponente, una lunga vita dietro le spalle, veramente “uomo” di valore, ha cominciato inevitabilmente per diventare come un bambino). E’ inevitabile che ci si trovi a dover percorrere un cammino all’indietro.

Anche il Vangelo domanda di diventare come un bambino: ma cosa vuol dire? È facile glossare il Vangelo. Diventare un bambino in senso evangelico non significa vivere un regresso psicologico ed essere puerili, ma diventare “figlio”. Quindi anche i postulanti che entrano adulti passano per un pregresso psicologico, ed i giovani ancora più spesso: ma è normale, non è grave. Se il maestro dei novizi, se l’abate sono un poco coscienti della vita e sanno il loro lavoro, non è grave. Anzi, questa tappa può essere un aiuto per i nuovi monaci per capire il loro legame con Cristo, per essere vicini a lui e fare tutto per amore, attraverso il suo vicario. Succede così in ogni lavoro; quando un uomo comincia ad avere un maestro, nella vita, nell’università, dappertutto, involontariamente si atteggia a discepolo, e un discepolo è normalmente pieno di gioia nell’aprirsi, nell’imparare cose nuove ecc. Purtroppo, si perde anche un po’ della propria libertà. Soprattutto quando l’abate, come normalmente succede, è un uomo buono; e quando il maestro dei novizi oltre ad essere buono non cerca come principio di trovare il candidato. Per i nostri monasteri, un postulante è un uomo prezioso, e facciamo tante cose per lui: è una grande gioia accoglierlo, e facciamo bene il nostro lavoro. Io ero già adulto quando sono entrato alla Pierre-qui-vivre (avevo fatto il militare, la guerra, ecc.) fui sorpreso e contento di essere stato preso al mio prezzo, preso sul serio.

Dunque è inevitabile che novizi passino per un momento di regresso psicologico: la gioia è grande, tutto è facile, si fanno le cose per piacere a Dio, per piacere all’abate, per piacere al maestro, per piacere alla comunità (bisogna infatti passare per la votazione della comunità!). Così tutto contribuisce perché ci sia effettivamente tale regresso.

Dunque l’arte spirituale del maestro dei novizi, dell’abate consisterà nell’approfittare di questa situazione per lo sviluppo spirituale dei monaci. Senza favorire ritorni infantili ma promuovendo un’autentica maturità umana e spirituale, cercando soprattutto di cambiare il legame che si crea con il maestro e con l’abate in un legame col Cristo, nella fede. Non è semplice: ma si tratterà realmente di fare un “transfert”, che all’inizio si è fatto da Dio all’abate e che deve passare dall’abate a Cristo. Si tratta di avere molto “ fiuto” per far evolvere e maturare il rapporto in crescita di fede, di speranza e di carità autentiche. Comunque, questo momento di trasferimento vero tra l’abate e il maestro al Cristo Gesù non è facile.

In pratica, come fare? I monasteri non sono tutti uguali, gli abati e i maestri non sono tutti uguali. Per il nostro monastero della Pierre-qui-vivre, ho pensato che sarebbe stato bene diminuire la separazione tra i novizi e la comunità. Da noi era molto forte e perdurava per otto anni, cioè per tutto il tempo degli studi. Era anche positivo, perché il gruppo delle noviziato diventava solido e coerente, ma era un rischio perché il novizio restava un po’ troppo a lungo lontano dalla comunità. Abbiamo cercato di favorire l’inserimento dei novizi nella comunità, oppure di dare abbastanza in fretta degli incarichi, perché emergessero la personalità, le difficoltà dei giovani, ecc. E’ anche un modo per essere favorevoli all’uomo, perché diventi adulto e manifesti la propria fede in Gesù Cristo. Non deve cercare di piacere soltanto all’abate o ai fratelli, ma a Cristo, e nel desiderio di piacere non soltanto all’uomo, ma a Dio, l’obbedienza si matura. È un momento difficile. Non so come voi l’avete vissuto. Il periodo che succede alla professione solenne, nell’inserimento pieno nella comunità, è un momento di crisi: quanto tutto è fatto, tutte le tappe sono state percorse e non c’è più niente da aspettare. Ma allora l’obbedienza si mostra forte quanto più chiaramente la vita è vissuta nel deserto, nella solitudine, senza complimenti continui, e si fa più vera, più libera.

Il nostro compito di abati e di maestri dei novizi, non è semplice. Perché abbiamo rinunciato alla formazione di una famiglia, ed ora abbiamo, nella vita monastica, dei figli. In tutti noi il senso materno o paterno è fortissimo, ed è bene, è normale. Ma non deve costituire un pericolo spirituale per i nostri fratelli. E quindi noi dobbiamo ….. allontanarci, lasciarli alla loro solitudine, vivere un rapporto con dei fratelli più che con dei figli. L’obbedienza può diventare per noi tentazione di proprietà.

Certo, una paternità-maternità spirituale autentica, se è pura, se è veramente spirituale, è importantissima. Ma è difficile viverla. È già difficile per dei genitori avere un affetto uguale per tutti i bambini, e quando parlano francamente loro stessi dicono che hanno delle preferenze e devono vivere una ascesi. E per noi lo è ancora di più. È inevitabile avere delle preferenze, ma il diventare “ padre spirituale” per tutti domanda un grande spogliamento. Il cuore umano è così ricco, ma così complesso, così sottile… ed è la sua bellezza. Non si tratta di diventare persone aride, indurite, senza amore, senza sensibilità … ma essere liberi. Anche San Benedetto ammette che è possibile non avere preferenze, ed esplicita: si preferisca solo chi è pronto all’obbedienza e a tutte le cose. Ma quando una persona veramente generosa, libera, tutti la amano, e la ragione è veramente autentica. Le preferenze istintive hanno altre radici: affinità intellettuali o sensibili… attenzione a non diventare “ maestro” dell’altro in senso di “ padrone “ della vita spirituale dell’altro. Sappiamo tutti che non è facile avere un cuore di monaco che preferisce assolutamente a tutto soltanto Gesù Cristo.

Si tratta dunque di crescere nell’apertura verso tutti, in primo luogo verso l’abate che costituisce il centro della vita del monastero, ma anche verso tutti i fratelli... Il concetto di passaggio, di transfert è illuminante, ed è fondamentale per illustrare il ruolo dell’autorità, nell’obbedienza.

Non sono un tecnico della psicanalisi, ma chi si è sottomesso a una analisi dice che molto rapidamente ha origine un “transfert” tra il malato, l’analizzato, e l’analizzante. Avviene molto spesso anche tra un malato e un medico qualsiasi. Un trasferimento è ricco di significato: dice l’esistenza di un bisogno, di una mancanza. Il bisogno dl essere ascoltato, di essere considerato, per se stesso. E’ un trasferimento irreale, il più delle volte, cioè unilaterale; il malato non conosce bene il medico e lo immagina, crea una immagine di uomo buono tutto disponibile per ascoltarlo. L’arte del medico consiste nel non cadere nella trappola, ma di aiutare in quella situazione il malato, attraverso la terapia.

La stessa cosa può succedere tra noi. L’obbedienza sembra essere un problema non soltanto per il monaco, sia novizio o professo, ma anche per l’abate e per il maestro. Perché l’obbedienza è una relazione tra Dio e il monaco. L’abate o il maestro, come mediatori nella relazione, non devono cambiare la relazione, facendola diventare relazione pura e semplice fra il novizio o il professo con l’abate o con il maestro. Siamo dei mediatori, per permettere al monaci di andare al di là, a Dio. Il trasferimento può avvenire in due sensi: il monaco sul superiore e il superiore sul monaco.

P. Congar dice che la grazia di Dio non rende gli uomini figli, ma fratelli Nella Chiesa ci sono soltanto dei figli di Dio e tutte le altre relazioni sono soltanto fra fratelli. Dunque se il transfert avviene - ed è un momento di passaggio normale - il vero maestro, il vero abate ne hanno coscienza e devono cercare di trasformare la relazione in vera relazione tra il monaco e Dio. Ed è difficile: bisogna radicarsi nella realtà.

Nella relazione tra l’uomo e Dio c’è essenzialmente una grande differenza. La relazione tra il monaco e un altro monaco, è diversa: relazione fraterna, relazione di eguaglianza, come la relazione di cui parla Elredo, l’amicizia. Si dà amicizia quando due persone sono a uguale livello. Nella vita cristiana, siamo tutti uguali, ed è una vita di amicizia: non c’è più uomo e donna, greci ed ebrei, schiavi e liberi. Ma tra Dio e noi, c’è sempre una differenza, un livello diverso di essere, e non è assolutamente possibile essere eguali. E l’abate e il maestro devono permettere alla relazione tra il monaco e Dio di essere vera. Per il monaco, è un atteggiamento di adorazione verso Dio; l‘amore è nell’adorazione, nel rispetto della differenza. E’ allora è possibile che la relazione evolva: che l’abate, il maestro e il monaco siano a poco a poco divenuti eguali. Nasce allora un altro tipo di relazione, che non è possibile all’inizio della vita monastica.

Penso dunque che nella vita monastica sia possibile una grande amicizia tra i professi, tra l’abate e il monaco: ma non all‘inizio, quando l’abate e il maestro sono troppo maestro ed abate e devono essere cosi, proprio per lo sviluppo della relazione tra Dio e il monaco. Dunque, nell’educazione all’obbedienza l’abate e il maestro devono entrare nella relazione tra Il monaco e Dio come strumenti di Dio. E non devono domandare per obbedienza cose che possono forse essere ottenute ad un altro livello.

Tutto si fa, comunque, quando il cuore è buono, quando non è centrato su di sè al centro di tutte le cose. La vita più semplice di quanto appaia alla nostra riflessione. E a poco a poco la crescita nella, fede e nell’obbedienza autentica avvengono. Anche nei caso in cui l’abate non è ancora maturo perchè è troppo giovane, non importa, Dio usa comunque di lui per la crescita della comunità, e la fede dei monaci cresce.

(continua)

Visione e formazione dell'uomo
nel capitolo VII della Regola di S. Benedetto

 

Come San Benedetto,
nel capitolo VII della sua Regola,
concepisce l’uomo e lo forma

 

Riflessioni di Dom Denis Huerre abbate emerito Pierre-qui-vivre e preside emerito della Congregazione Benedettina Sublacense




 

(prima parte)

 

Per me la Regola di San Benedetto è un libro modernissimo. Quando si fa un’edizione della RB con una scelta delle pagine più spirituali o più attuali, per me è un po’ uno scandalo, perché questo testo costituisce una unità e tutto è importante, per comprendere la mentalità e lo spirito di San Benedetto. Con le scoperte che faccio ancora, di anno in anno, amo la Regola sempre di più.

Eucarestia e comunità monastica
di p. Sebastiano Paciolla, o. cist.


Ci possono essere vari motivi per visitare un monastero che vive secondo la Regola di San Benedetto Abate (= RB) e diversi modi per farlo. Il monastero può essere infatti una tappa o la destinazione finale del pellegrinaggio ad un luogo di fede, può essere la sosta in un percorso turistico, un luogo scelto per un ritiro o la meta di una vacanza alternativa, può suscitare interesse per i tesori di arte che racchiude, per la storia di cui è carico, per la tradizione del canto gregoriano o la solennità della liturgia. In ogni caso entrare in contatto con la realtà del monastero è sempre un’esperienza di comunione e di condivisione, almeno parziale, con la vita della comunità di consacrati che in esso dimora.

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