Lo spirito del mondo ha, nella ricchezza, il suo più forte ausilio. Chi ha grandi ricchezze vede la virtù come un’esplicazione elegante, un raffinamento dell’esistenza, un’esaltazione del proprio prestigio.
Il nome gridato dal Buon Pastore risveglia l’io immortale di ciascuna, ne accende l’essenza e le apre la via, senza violentarla, verso l’ovile ove ciascuna sarà se stessa e, insieme alle altre, danzerà la gioia della ritrovata unità in Dio.
Il vicino Natale di Cristo ci ricorda la legge della incarnazione, che regola tutti i processi della storia salvifica: quando l'azione generatrice di Dio viene accolta da creature, nasce un uomo nuovo, un figlio di Dio.
Lo Spirito di Dio crea una vita nuova nell’uomo, superiore e differente dai trasalimenti devozionali del cuore.
Per l'ascolto delle parole della Bibbia ci è più necessaria l'intensità di un'attenzione silenziosa che non la lettura di commenti esegetici.
Noi cattolici siamo, da quasi due millenni, abituati a intendere questo testo attraverso una prassi giudiziaria invalsa nella nostra Chiesa.
«Gesù disse a Marta: Ti agiti per troppe cose, ma una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, e non le sarà tolta» (Lc 10, 41-42).
Ricordiamo oggi l’evento della Pentecoste, della discesa dello Spirito santo sugli apostoli riuniti nel cenacolo a Gerusalemme. Dobbiamo riflettere su alcuni punti che mi sembrano importanti ed essenziali di questo evento.
Le parole di Cristo non ci furono consegnate perché dottamente indagassimo sul loro significato palese o recondito, ma perché le vivessimo penetrando nel loro significato con tutto il nostro essere. Come Gesù ha vissuto il suo insegnamento, così noi cristiani, se vogliamo comprendere la sua parola, dobbiamo viverla.