Vita nello Spirito

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Visione e formazione dell'uomo


 nel capitolo VII della Regola di S. Benedetto

Il cammino per arrivare all’obbedienza
 come espressione di libertà

Riflessioni di Dom Denis Huerre abbate emerito Pierre-qui-vivre e preside emerito della Congregazione Benedettina Sublacense



(seconda parte)

Nella vita monastica, come in ogni forma di vita, c’è un pericolo. Non c’è vita senza pericolo. Il pericolo della vita monastica cenobitica mi sembra consistere, soprattutto per i giovani, nel fare le cose per “voler piacere” all’abbate, al maestro. E questo succede ancora oggi, dopo il 68. La vita monastica comincia per tutti con alcuna forma di regresso psicologico: è un passaggio obbligatorio. Ciò avviene anche per le persone entrano adulte (ad esempio il padre P. Adalbert De Vogüe, entrato alla Pierre-qui-vivre all’età di 63 anni Pur essendo un uomo di grande esperienza, con un aspetto imponente, una lunga vita dietro le spalle, veramente “uomo” di valore, ha cominciato inevitabilmente per diventare come un bambino). E’ inevitabile che ci si trovi a dover percorrere un cammino all’indietro.

Anche il Vangelo domanda di diventare come un bambino: ma cosa vuol dire? È facile glossare il Vangelo. Diventare un bambino in senso evangelico non significa vivere un regresso psicologico ed essere puerili, ma diventare “figlio”. Quindi anche i postulanti che entrano adulti passano per un pregresso psicologico, ed i giovani ancora più spesso: ma è normale, non è grave. Se il maestro dei novizi, se l’abate sono un poco coscienti della vita e sanno il loro lavoro, non è grave. Anzi, questa tappa può essere un aiuto per i nuovi monaci per capire il loro legame con Cristo, per essere vicini a lui e fare tutto per amore, attraverso il suo vicario. Succede così in ogni lavoro; quando un uomo comincia ad avere un maestro, nella vita, nell’università, dappertutto, involontariamente si atteggia a discepolo, e un discepolo è normalmente pieno di gioia nell’aprirsi, nell’imparare cose nuove ecc. Purtroppo, si perde anche un po’ della propria libertà. Soprattutto quando l’abate, come normalmente succede, è un uomo buono; e quando il maestro dei novizi oltre ad essere buono non cerca come principio di trovare il candidato. Per i nostri monasteri, un postulante è un uomo prezioso, e facciamo tante cose per lui: è una grande gioia accoglierlo, e facciamo bene il nostro lavoro. Io ero già adulto quando sono entrato alla Pierre-qui-vivre (avevo fatto il militare, la guerra, ecc.) fui sorpreso e contento di essere stato preso al mio prezzo, preso sul serio.

Dunque è inevitabile che novizi passino per un momento di regresso psicologico: la gioia è grande, tutto è facile, si fanno le cose per piacere a Dio, per piacere all’abate, per piacere al maestro, per piacere alla comunità (bisogna infatti passare per la votazione della comunità!). Così tutto contribuisce perché ci sia effettivamente tale regresso.

Dunque l’arte spirituale del maestro dei novizi, dell’abate consisterà nell’approfittare di questa situazione per lo sviluppo spirituale dei monaci. Senza favorire ritorni infantili ma promuovendo un’autentica maturità umana e spirituale, cercando soprattutto di cambiare il legame che si crea con il maestro e con l’abate in un legame col Cristo, nella fede. Non è semplice: ma si tratterà realmente di fare un “transfert”, che all’inizio si è fatto da Dio all’abate e che deve passare dall’abate a Cristo. Si tratta di avere molto “ fiuto” per far evolvere e maturare il rapporto in crescita di fede, di speranza e di carità autentiche. Comunque, questo momento di trasferimento vero tra l’abate e il maestro al Cristo Gesù non è facile.

In pratica, come fare? I monasteri non sono tutti uguali, gli abati e i maestri non sono tutti uguali. Per il nostro monastero della Pierre-qui-vivre, ho pensato che sarebbe stato bene diminuire la separazione tra i novizi e la comunità. Da noi era molto forte e perdurava per otto anni, cioè per tutto il tempo degli studi. Era anche positivo, perché il gruppo delle noviziato diventava solido e coerente, ma era un rischio perché il novizio restava un po’ troppo a lungo lontano dalla comunità. Abbiamo cercato di favorire l’inserimento dei novizi nella comunità, oppure di dare abbastanza in fretta degli incarichi, perché emergessero la personalità, le difficoltà dei giovani, ecc. E’ anche un modo per essere favorevoli all’uomo, perché diventi adulto e manifesti la propria fede in Gesù Cristo. Non deve cercare di piacere soltanto all’abate o ai fratelli, ma a Cristo, e nel desiderio di piacere non soltanto all’uomo, ma a Dio, l’obbedienza si matura. È un momento difficile. Non so come voi l’avete vissuto. Il periodo che succede alla professione solenne, nell’inserimento pieno nella comunità, è un momento di crisi: quanto tutto è fatto, tutte le tappe sono state percorse e non c’è più niente da aspettare. Ma allora l’obbedienza si mostra forte quanto più chiaramente la vita è vissuta nel deserto, nella solitudine, senza complimenti continui, e si fa più vera, più libera.

Il nostro compito di abati e di maestri dei novizi, non è semplice. Perché abbiamo rinunciato alla formazione di una famiglia, ed ora abbiamo, nella vita monastica, dei figli. In tutti noi il senso materno o paterno è fortissimo, ed è bene, è normale. Ma non deve costituire un pericolo spirituale per i nostri fratelli. E quindi noi dobbiamo ….. allontanarci, lasciarli alla loro solitudine, vivere un rapporto con dei fratelli più che con dei figli. L’obbedienza può diventare per noi tentazione di proprietà.

Certo, una paternità-maternità spirituale autentica, se è pura, se è veramente spirituale, è importantissima. Ma è difficile viverla. È già difficile per dei genitori avere un affetto uguale per tutti i bambini, e quando parlano francamente loro stessi dicono che hanno delle preferenze e devono vivere una ascesi. E per noi lo è ancora di più. È inevitabile avere delle preferenze, ma il diventare “ padre spirituale” per tutti domanda un grande spogliamento. Il cuore umano è così ricco, ma così complesso, così sottile… ed è la sua bellezza. Non si tratta di diventare persone aride, indurite, senza amore, senza sensibilità … ma essere liberi. Anche San Benedetto ammette che è possibile non avere preferenze, ed esplicita: si preferisca solo chi è pronto all’obbedienza e a tutte le cose. Ma quando una persona veramente generosa, libera, tutti la amano, e la ragione è veramente autentica. Le preferenze istintive hanno altre radici: affinità intellettuali o sensibili… attenzione a non diventare “ maestro” dell’altro in senso di “ padrone “ della vita spirituale dell’altro. Sappiamo tutti che non è facile avere un cuore di monaco che preferisce assolutamente a tutto soltanto Gesù Cristo.

Si tratta dunque di crescere nell’apertura verso tutti, in primo luogo verso l’abate che costituisce il centro della vita del monastero, ma anche verso tutti i fratelli... Il concetto di passaggio, di transfert è illuminante, ed è fondamentale per illustrare il ruolo dell’autorità, nell’obbedienza.

Non sono un tecnico della psicanalisi, ma chi si è sottomesso a una analisi dice che molto rapidamente ha origine un “transfert” tra il malato, l’analizzato, e l’analizzante. Avviene molto spesso anche tra un malato e un medico qualsiasi. Un trasferimento è ricco di significato: dice l’esistenza di un bisogno, di una mancanza. Il bisogno dl essere ascoltato, di essere considerato, per se stesso. E’ un trasferimento irreale, il più delle volte, cioè unilaterale; il malato non conosce bene il medico e lo immagina, crea una immagine di uomo buono tutto disponibile per ascoltarlo. L’arte del medico consiste nel non cadere nella trappola, ma di aiutare in quella situazione il malato, attraverso la terapia.

La stessa cosa può succedere tra noi. L’obbedienza sembra essere un problema non soltanto per il monaco, sia novizio o professo, ma anche per l’abate e per il maestro. Perché l’obbedienza è una relazione tra Dio e il monaco. L’abate o il maestro, come mediatori nella relazione, non devono cambiare la relazione, facendola diventare relazione pura e semplice fra il novizio o il professo con l’abate o con il maestro. Siamo dei mediatori, per permettere al monaci di andare al di là, a Dio. Il trasferimento può avvenire in due sensi: il monaco sul superiore e il superiore sul monaco.

P. Congar dice che la grazia di Dio non rende gli uomini figli, ma fratelli Nella Chiesa ci sono soltanto dei figli di Dio e tutte le altre relazioni sono soltanto fra fratelli. Dunque se il transfert avviene - ed è un momento di passaggio normale - il vero maestro, il vero abate ne hanno coscienza e devono cercare di trasformare la relazione in vera relazione tra il monaco e Dio. Ed è difficile: bisogna radicarsi nella realtà.

Nella relazione tra l’uomo e Dio c’è essenzialmente una grande differenza. La relazione tra il monaco e un altro monaco, è diversa: relazione fraterna, relazione di eguaglianza, come la relazione di cui parla Elredo, l’amicizia. Si dà amicizia quando due persone sono a uguale livello. Nella vita cristiana, siamo tutti uguali, ed è una vita di amicizia: non c’è più uomo e donna, greci ed ebrei, schiavi e liberi. Ma tra Dio e noi, c’è sempre una differenza, un livello diverso di essere, e non è assolutamente possibile essere eguali. E l’abate e il maestro devono permettere alla relazione tra il monaco e Dio di essere vera. Per il monaco, è un atteggiamento di adorazione verso Dio; l‘amore è nell’adorazione, nel rispetto della differenza. E’ allora è possibile che la relazione evolva: che l’abate, il maestro e il monaco siano a poco a poco divenuti eguali. Nasce allora un altro tipo di relazione, che non è possibile all’inizio della vita monastica.

Penso dunque che nella vita monastica sia possibile una grande amicizia tra i professi, tra l’abate e il monaco: ma non all‘inizio, quando l’abate e il maestro sono troppo maestro ed abate e devono essere cosi, proprio per lo sviluppo della relazione tra Dio e il monaco. Dunque, nell’educazione all’obbedienza l’abate e il maestro devono entrare nella relazione tra Il monaco e Dio come strumenti di Dio. E non devono domandare per obbedienza cose che possono forse essere ottenute ad un altro livello.

Tutto si fa, comunque, quando il cuore è buono, quando non è centrato su di sè al centro di tutte le cose. La vita più semplice di quanto appaia alla nostra riflessione. E a poco a poco la crescita nella, fede e nell’obbedienza autentica avvengono. Anche nei caso in cui l’abate non è ancora maturo perchè è troppo giovane, non importa, Dio usa comunque di lui per la crescita della comunità, e la fede dei monaci cresce.

(continua)

Visione e formazione dell'uomo
nel capitolo VII della Regola di S. Benedetto

 

Come San Benedetto,
nel capitolo VII della sua Regola,
concepisce l’uomo e lo forma

 

Riflessioni di Dom Denis Huerre abbate emerito Pierre-qui-vivre e preside emerito della Congregazione Benedettina Sublacense




 

(prima parte)

 

Per me la Regola di San Benedetto è un libro modernissimo. Quando si fa un’edizione della RB con una scelta delle pagine più spirituali o più attuali, per me è un po’ uno scandalo, perché questo testo costituisce una unità e tutto è importante, per comprendere la mentalità e lo spirito di San Benedetto. Con le scoperte che faccio ancora, di anno in anno, amo la Regola sempre di più.

Eucarestia e comunità monastica
di p. Sebastiano Paciolla, o. cist.


Ci possono essere vari motivi per visitare un monastero che vive secondo la Regola di San Benedetto Abate (= RB) e diversi modi per farlo. Il monastero può essere infatti una tappa o la destinazione finale del pellegrinaggio ad un luogo di fede, può essere la sosta in un percorso turistico, un luogo scelto per un ritiro o la meta di una vacanza alternativa, può suscitare interesse per i tesori di arte che racchiude, per la storia di cui è carico, per la tradizione del canto gregoriano o la solennità della liturgia. In ogni caso entrare in contatto con la realtà del monastero è sempre un’esperienza di comunione e di condivisione, almeno parziale, con la vita della comunità di consacrati che in esso dimora.

I veri e più pericolosi ostacoli

Benedettine di S. Maria di Rosano

“È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo” (Mt 18,7).

Il prolungato discorso di Gesù riguardo all'accoglienza dei bambini, con l'esortazione ad acquistare il loro spirito di semplicità e d'innocenza per entrare nel regno dei cieli, prosegue severo sfociando su un tema particolarmente grave e purtroppo oggi più che mai attuale: lo scandalo.

La parola del Signore risuona con piena autorità, ma non nasconde l'accorata, profonda apprensione del Maestro, che sembra avvertire e prevedere il ripetersi senza fine, nella storia umana, di situazioni incresciose e spesso irreparabili, che, invece di favorire e sostenere la crescita della famiglia di Dio, creano difficoltà, fomentano angosce, dividono i cuori, disgregano le piccole e grandi comunità.

Scandalo equivale ad un pericolo, ad un ostacolo frapposto lungo il cammino dei fratelli e questo troppe volte per soddisfare il proprio piacere e soprattutto il proprio egoismo.

Il castigo stesso che Gesù propone per l'autore di uno scandalo – “Sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt 18,6) non lascia dubbi sull'immane colpevolezza di chi osasse essere di scandalo ed esserlo soprattutto nei confronti di chi non ha sufficiente luce per intuire il male e la forza per superarlo. Infatti, un ostacolo diviene tanto più pericoloso se chi lo incontra è in condizione di limitate possibilità fisiche o morali per affrontarlo.

San Beda, volendo restare aderente al contesto del discorso di Gesù, sottolinea proprio questo aspetto e, dopo aver notato che l'avvertimento del Signore può riguardare tutti coloro che scandalizzano qualcuno, non esita a ritenere che tali parole possano essere state dette contro gli stessi apostoli, i quali discutendo tra loro su chi fosse il più grande, sembravano litigare per una questione di primato. "Se avessero insistito in questo errore, dice il santo, avrebbero potuto dare scandalo e perdere coloro che essi conducevano alla fede, poiché questi avrebbero visto gli apostoli troppo spesso in litigio per questioni di primato".

Poi il grande monaco offre anche una splendida precisazione, affermando che giustamente viene chiamato “piccolo" chi non può e non sa rifiutare e affrontare lo scandalo: “Chi è grande non viene mai meno nella fede, qualunque cosa abbia visto e qualunque violenza abbia subito. Per questo dobbiamo soprattutto aiutare coloro che sono piccoli nella fede, affinché non rimangano offesi per colpa nostra, non si allontanino dalla fede e non smarriscano così la salvezza". San Beda avverte in modo acutissimo l'incidenza, positiva o negativa, dell'esempio che spesso si dà a chi vive accanto a noi. La vita comunitaria è una scuola specializzata per affinare gli animi alle delicatezze, alla sollecitudine della carità, fino a prevenire ogni motivo di disagio ed a gareggiare nel rendersi onore, realtà di cui il capitolo 72 della Regola di S. Benedetto può considerarsi lo specchio luminoso.

Il Crisostomo invece, più che sul male fatto, porta la riflessione sullo squili­brio interiore che si crea in chi dà scandalo e provoca turbamenti o disagi nelle comuni relazioni. Egli cerca di convincere questo malato che può guarire, anche se. come afferma il Signore stesso, è inevitabile che gli scandali avvengano. 'E come se un medico dicesse: È inevitabile che tu sia colpito da questa malattia,ma non è affatto inevitabile che tu muoia, se ti curi'. Gli scandali risvegliano gli uomini, li rendono più circospetti e vigilanti, e non solo servono a chi vegli dili­gentemente su se stesso, ma anche a colui che è già caduto, in quanto lo spingono a rialzarsi prontamente, lo rendono più cauto e più difficilmente attaccabile". Nello stesso commento insiste: "Non darti pena di sapere e discutere qual è l'origine del male, ma, riconoscendo che proviene solo dalla tua negligenza, evitalo e fuggilo".

Riflettendo sull'amarissima parola del Signore, che sembra agghiacciare i no­stri cuori, poveri ma desiderosi di bontà, il grande vescovo aggiunge: "Il Maestro preannunzia che gli scandali purtroppo avverranno inevitabilmente, affinché non sorprendano nessun uomo tiepido e negligente. E accresce il nostro timore con l'aggiunta di paragoni e indica la via per cui possiamo fuggire gli scandali. Che via, che modo? Tronca ogni amicizia con i malvagi, anche se ti sono molto cari. Se noi spesso tagliamo le nostre membra quando sono ammalate incurabilmente e potrebbero recare danno anche alle altre, tanto più dovremmo fare ciò con gli amici, se essi ci corrompono".

(da Il sacro speco di S. Benedetto, 5, 2005, pp.98-99)
Il dono di Dio,
mistero di inesauribile gratuità

di Sr. Germana Strola o.c.s.o.

"...Tutto mi sa di miracolo..."'

Sono piuttosto rari, anche nella vita contemplativa i momenti in cui emerge chiaramente alla coscienza la gratuità e la sovrabbondanza con cui il Signore ricolma il mondo, la storia, la vita di qualsiasi uomo. Nella società di oggi, la cultura dominante fortemente determinata dai media, rende maggiormente difficile a tutti i cristiani guardare alla propria esperienza con un profondo sguardo di fede: le difficoltà quotidiane, le notizie prevalentemente angustianti dei molti conflitti che imperversano nei paesi più poveri del pianeta - da quelli più noti in Medio Oriente o in Iraq, a quelli più ignorati nell'Africa subsahariana - oltre agli interessi economici di una globalizzazione che ritorna sempre a scapito delle fasce più deboli, si aggiungono ai travagli personali o familiari che non risparmiano nessuno (infortuni, malattie, incomprensioni di coppia o generazionali, ecc.) : tutto questo costituisce un peso greve, spesso non facile da portare o da attraversare con la forza della speranza.

Lo stesso clima oscuro, tuttavia, e lo stesso cupo orizzonte può infiltrarsi talora anche nelle mura del monastero e minacciare l'atmosfera luminosa del cosiddetto «paradiso claustrale». Conservare alto lo sguardo, rivolgendolo là dove le nostre vite sono nascoste con Cristo in Dio (Col 3, 1-3), esige - nell'esperienza quotidiana di tutti - una paziente e amorosa ascesi rispetto alla tendenza che porta a ripiegarsi su di sé e sui propri moti istintivi: quante volte la sensibilità o l'emotività è tentata di lasciarsi imprigionare dalle mille invisibili reti dei conflitti interni ed esterni, delle difficoltà o dei contrattempi che intrecciano il tessuto esistenziale e relazionale di ogni uomo.

Non è quindi scontato sapersi fermare, e guardare; e nemmeno fare realmente silenzio, per sentire il palpito della vita, oppure affinare lo sguardo e vedere realmente l'alterità di quanto esiste fuori di se: cioè accorgersi, per grazia, come risplende la luce e la bellezza del dono di Dio in ciò che l'opacità quotidiana tenta di mascherare con il suo grigiore. A volte, tuttavia, alla povertà interiore, al cuore contrito o umiliato si aprono degli orizzonti inattesi, percepiti come attraverso sensi spirituali donati dall'alto e affinati dalla prova: la creazione in quanto tale (iniziale e continua), le persone, e gli eventi vissuti appaiono allora nel loro aspetto di gratuità, nel loro carattere di miracolo, di eccedenza.

Sono pochi coloro che, senza essere passati per una lunga educazione o per il crogiolo della prova, hanno il dono di percepire immediatamente l'ampiezza, l'altezza, la profondità del mistero di grazia in cui siamo immersi (cf. Ef 3,18): il dono della Vita - verità lapalissiana, ma che non si può mai dare per scontato - non è un prodotto delle mani dell'uomo, nonostante tutte le provette dei suoi laboratori (dove egli usa comunque cellule non create dal nulla) o le sue tecniche eugenetiche. Nulla si crea e nulla si distrugge, dice la fisica: la trasformazione dell'energia, non il suo annientamento, è uno dei principi fondamentali della scienza sperimentale. La creazione dal nulla invece, in quanto tale, è uno degli argomenti dell'esistenza di Dio (cf. Ef 3,9; Col 1,16; Ap 4,11: Perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà esse sussistono): non abbiamo nulla che non sia stato gratuitamente ricevuto (1Cor 4,7). E nessuno di noi ha mai pensato, desiderato, chiesto o voluto venire al mondo, né aveva diritto a nulla: anche colui che si ritiene il più sventurato e il più infelice tra gli esseri umani, è stato ed è oggetto di un gesto - di un amore - totalmente gratuito.

Assorbiti dalle urgenze, dalle esigenze e dalle sollecitazioni del sussistere quotidiano, rischiamo, come dei robots, di vivere (o di correre) un po' sempre alla superficie, e di perdere la qualità squisitamente umana della consapevolezza, dell'interiorità, delle dimensioni dello Spirito. Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, non aveva nessuna necessità di condividere con noi il dono di se stesso e del proprio Figlio, nello Spirito dell'Amore: ogni necessità è preclusa in Dio, in quanto Dio. Ma per potersene accorgere, bisogna innalzare lo sguardo oltre se stessi e il condizionamento immediato, al di là delle proprie limitazioni, insoddisfazioni o sconfitte, profonde o superficiali che siano, finché si aprano e divengano - quali ferite gloriose - orizzonti aperti sul mistero che ci è dato di vivere.

La creazione

La bellezza dell'infinito cosmico-stellare e la perfezione insondabile delle leggi della natura sono così superiori alla mente umana e alle sue pur alte capacità sia conoscitive, sia creative. Solo la terra, in tutto l'universo in espansione, mirabilmente retto da leggi che ancora non si conoscono pienamente - affermano gli studiosi di astronomia - offre le condizioni per l'esistenza: frutto di una attività cosmica di miliardi di anni luce. Miriadi e miriadi di grandezze spaziali e temporali si concentrano nell'attimo presente in cui è dato a noi di respirare, di guardare, di vivere, ora.

Colmano di stupore non solo gli orizzonti maestosi, gli spettacoli crepuscolari che illuminano al sorgere e al calare del sole le distese boreali e non, ma la sovrabbondanza d perfezione, di fascino trasparente e verginale bellezza delle creature più piccole, apparentemente - o realmente - del tutto inutili: chi di noi ha mai potuto contemplare (e contare...) tutti i ciclamini che in primavera e in autunno fioriscono fin sotto gli sterpi dei nostri boschi - oppure i fiorellini minuscoli e multicolori che ammantano senza numero le superfici dei campi... Ma chi si ferma a contemplare la bellezza degli alberi, grandi e piccoli, sempreverdi e no (non solo i cedri... né i colori delle foglie d'autunno, le viti vergini, ma anche il ciclo stagionale dei tigli, dei pioppi, dei faggi, per menzionarne solo alcuni). Francesco, forse, con il suo spirito poetico, lo stupore e il senso del miracolo scavato nel suo cuore, nel suo corpo crocifisso dalla sequela di Cristo, in compagnia di Madonna Povertà (cf Gb 36,15: «Egli libera il povero con l'afflizione, gli apre l'udito con la sventura»).

Chi ha mai perlustrato il fondo degli oceani, o le segrete profondità dei recessi più remoti che l'occhio umano probabilmente non visiterà mai? Chi si ferma a contemplare la perfezione dei piccoli licheni, dei muschi, della minuta e variegata flora abbarbicata alla roccia, dalla più piccola alla più maestosa? Per non parlare dei fenomeni atmosferici che, pur nell'aspetto terrificante che assumono talora, fecondano la terra... Tutto questo, insieme alla descrizione della creazione del cosmo e della bellezza, della forza degli animali diventa nel libro di Giobbe (36,27-37,16; 38-41; cf. Sal 104)) argomento di consolazione, risposta di Dio che nella teofania addita all'incalzare del questionamento umano un'altra sapienza, un altro livello di coscienza.

Rare volte, probabilmente, qualcuno si è fermato a guardare lo svolazzare delle farfalle nel mese di settembre, o il gioco in cui si librano gli uccelli, quasi sempre in coppia. Ma anche la tenerezza dei mammiferi (soltanto?) per i loro piccoli... Perché una tale sovrabbondanza di fecondità, in tutte le specie vegetali e animali, conosciuta o no dall'occhio umano? E per quale mai motivo proliferano le infinite specie di insetti, ecc.? La mente piccola, calcolatrice, egocentrica dell'uomo si sarebbe abbandonata a questo grande spreco di vitalità? Una potenza vitale diffusiva, prorompente, anima la creazione, senza altro fine, si direbbe, che il suo moltiplicarsi, sempre nuovo, inatteso, semplicemente bello.

L'essere umano

Noi non ne abbiamo coscienza, ma la contemplazione del formarsi del piccolo uomo, il suo crescere in corpo e in persona adulta. permette di ammirare tutto un dispiegarsi di eccedenza e di miracolo, non solo in dimensione fisica, ma anche e soprattutto psichica, fino alla completa costituzione della sua mente, del suo spirito. Le capacità intellettuali, artistiche, morali dell'uomo hanno lasciato una traccia mirabile nei fastigi di civiltà millenarie, mentre non cessano di progredire le realizzazioni tecnico-scientifiche contemporanee... Nessuno si è fatto da sé, né da sé solo trae la possibilità di perseguire obiettivi tanto alti. Gli esseri viventi che conta attualmente il nostro «villaggio globale» sono circa 6,7 miliardi: e tutti sono per Dio come il Figlio unico, amati, chiamati alla conoscenza della verità, alla perfezione dell’amore trinitario.

L'universo intero è ben lungi dall'essere stato esplorato, e nessuna mente umana può abbracciare in sé la conoscenza, la visione, la contemplazione di tutte le sue bellezze. Allo stesso modo, Dio eccede l'uomo da tutti i punti di vista. Di tutto, Egli è più grande. Bellezza e finalità costruttiva, positiva, nella creazione e nella storia, nonostante tutte le apparenze contrarie, si coniugano: il tutto è per un bene, perseguito da una insondabile sapienza. Movimento ciclico (stagionale, epocale) e lineare (teleologico) si coniugano, al di là della presa dell'uomo. Il fine eccede l'uomo, che non ne penetra pienamente il senso, se non contemplando l'Altro attraverso il tutto, in ogni suo frammento.

La Parola della Scrittura

Ma soffermiamoci solo un istante sulla Parola di Dio, che più direttamente ci introduce nel Suo mistero. La redenzione dell' uomo e segnata da una dinamica di sovrabbondanza: lo ripete l'apostolo Paolo, che non si stanca di moltiplicare nelle sue lettere i termini composti con hyper. Con alcuni esempi, tratti dai testi più noti, si potrebbe perfino tracciare una linea di continuità tra la sovrabbondanza di Dio («laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia», Rm 5,20) e la sovrabbondanza del cristiano («in tutte queste cose - anche nelle prove più, dure, interne ed esterne - noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati», Rm 8,37). È questo il sigillo di Dio nella storia: «Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, ne mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2.9).

Ogni dono di grazia (a partire dalle prime pagine dell'Antico Testamento: creazione, elezione, alleanza, attraverso tutto lo svolgersi della storia sacra) se «già era glorioso, non lo è più a confronto della sovraeminente gloria della Nuova Alleanza» (2Cor 3,10). È Cristo Gesù, Uomo-Dio, la manifestazione somma della gratuità e sovrabbondanza del Padre, donato a noi perché in Lui possiamo realmente vivere, come dice Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Egli è il principio dell'umanità nuova, ricostituita nella sua autentica dimensione filiale, nella sua vocazione e immagine divina: «Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo» (Rm 5,17).

La moltiplicazione sovrabbondante dei pani e dei pesci - simbolo del Pane Vivo, del cibo eucaristico - esemplificava già nei Vangeli Sinottici l'inesauribile gratuità del dono che Dio, nel Cristo Gesù, fa di se stesso: «Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt 14,20-21; cf 15,37; Lc 9,17; 12,15; Gv 6,12).

Il mistero di Cristo, l'Eterno Vivente, continua misteriosamente nelle sua Chiesa, cioè in noi, membra del Suo Corpo vivo: «con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (Ef 2,7). La sua presenza in noi, è il perno centrale su cui poggia, per la fede, il nostro esistere nel tempo, come esortava Paolo: «il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,19).

La vitalità divina che la Sua umanità gloriosa infonde nel nostro essere mortale è tale che l'Apostolo delle genti non trova parole e quasi forza i limiti del linguaggio umano per poter comunicare l'inesprimibile: «Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza» (Fi1,19).

Se da un lato Paolo insiste sulla debolezza creaturale del nostro essere umano - «noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4,7) - proprio per questo essa diviene l'ambito privilegiato in cui si dispiega la partecipazione già attuale alla vittoria di Cristo: «il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2Cor 4,17). Calcando anche le tinte della sua confessione personale, egli si pone come esempio per il cammino dei cristiani, perché la fiducia e la speranza non vengano mai meno: «Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fide; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fide e alla carità che è in Cristo Gesù» (1Tm 1,13-14).

Nel travaglio di una esistenza apostolica interamente segnata dalla contraddizione, dalla persecuzione e dalla minaccia dei falsi fratelli (2Cor 11,23-33), egli quindi può dire, in tutta verità: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione» (2Cor 7,4). È sempre lo stesso vocabolario che sottolinea l'eccedenza di Dio nella esistenza umana: «Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione» (2Cor 1,5). Per questo l'azione di grazie accompagna ogni supplica, anche nella prova: «A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen» (Ef 3,20).

L'intensità della sua paternità spirituale gli ispira formule sempre nuove di esortazione e ammonimento, perché le comunità da lui fondate possano crescere nelle vie dello Spirito: «Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie» (Col 2,7). E ancora: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4.7). E di nuovo: «Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore» (1Cor 15,58). Le attestazioni della forza di Dio che agisce in Lui, ispirando ogni sua parola e muovendo ogni sua scelta pastorale si potrebbero moltiplicare:

«Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13).

La parenesi dell'Apostolo Paolo non si stanca inoltre di richiamare i fratelli al comandamento dell'amore, perché sia vissuto, con uguale e sovrabbondante gratuità, ad immagine di Colui che ci ha chiamati, nell'umile e gioiosa fedeltà i discepoli di Cristo: «Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1T 3,12). Esso è la pietra di paragone di una novità di vita tutta segnata dal dono che Dio non cessa di riversare nell'uomo:

«Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio» (2Cor 4,15).

(da Vita nostra, n.3, 2004, pp. 5-10)

Bilancio e prospettive a 40 anni dalla «Sacrosanctum Concilium»

Monachesimo e riforma liturgica

Monastero Trappista di Valserena

La comunità monastica di Monte Oliveto Maggiore ha ospitato un evento significativo e bello accogliendo il convegno che si proponeva di fare un bilancio della attuazione della Riforma Liturgica a 40 anni dalla costituzione SC, la prima votata al concilio Vaticano II.

Il lavoro del Convegno è stato scandito come ogni giornata monastica dal canto dei salmi in gregoriano, la Messa all’inizio della giornata, celebrata con pacatezza e solennità, cantata con arte rara, pregata dal coro e dagli ospiti, e al termine della giornata raccolti in una cripta laterale il canto del Salve Regina, tradizionale chiusura della giornata per ogni monaco o monaca.

Attualmente la Congregazione benedettina di Monte Oliveto ha monasteri in Italia, Francia, Inghilterra, Brasile, Guatemala, Stati Uniti, Israele e nella Corea del Sud. Tutti questi monasteri sono talmente uniti all’Archicenobio di Monteoliveto in modo da formare una sola famiglia, un «unico corpo», sotto la guida dell’Abate di Monte Oliveto, che perciò è anche Abate Generale della Congregazione e che è ora Dom MICHELANGELO RICCARDO TIRIBILLI1.

Egli ha presieduto sia la celebrazione dell’ufficio Liturgico, sia lo svolgimento del convegno, la cui segreteria scientifica era affidata a Dom Roberto Nardin.

Padre Roberto Nardin OSB, docente di teologia dogmatica alla Pontificia Universitas Lateranensis, e docente a S. Anselmo, in un’intervista rilasciata al Sir, dice: «Il convegno è stato una grossa opportunità per approfondire e riconfermare l’importanza della liturgia per la vita spirituale in genere oper la vita monastica in particolare... Ha permesso di spaziare all’interno delle tre fasi che hanno contraddistinto la liturgia negli ultimi decenni. La prima fase èstata quella del movimento liturgico, con la crescente consapevolezza da parte dei credenti dell’importanza di una liturgia più vissuta e partecipata. La seconda fase ha coinciso con il Concilio Vaticano II e con le novità introdotte. La terza fase, quella attuale, consiste invece - continua p. Nardin - nella necessità di formazione alla riforma».

In tutto questo percorso storico, che abbraccia vari decenni, durante il convegno si è riflettuto — in particolare — sul ruolo avuto dal monachesimo. «Dai lavori del convegno è emersa chiaramente aggiunge p. Nardin la disponibilità del mondo monastico, maschile e femminile, a rendere partecipe il popolo di Dio alla liturgia, collaborando all’animazione e formazione liturgica e cercando di agire come il lievito nella pasta».

Tra le notazioni emerse durante i lavori, i rappresentanti delle comunità monastiche francesi hanno mostrato una particolare «unità di intenti» per quanto riguarda l’adozione di forme e preghiere liturgiche. Lo ha testimoniato Dom Marie Gèrard Dubois, per più di vent’anni abate della Grande Trappe e presidente della commissione di Liturgia dell’o.c.s.o. raccontando il lavoro della Commissione Francofona cistercense, che ha come suo strumento di diffusione la rivista Liturgie e che offre sempre una ampia scelta di studi, documenti del magistero, proposte di testi per la liturgia a servizio del mondo monastico. Da parte italiana sono intervenuti, tra gli altri, i rappresentanti delle comunità di Valserena, Praglia, Camaldoli e Bose.

Il mondo monastico italiano è più vario, e non esiste in esso uno strumento di coordinamento come la CFC.

Ogni comunità si muove un po’ all’interno dell’ordine cui appartiene senza troppo collegamento con altre realtà... Il convegno è stato anche un buon tentativo in questo senso di conoscenza e di confronto.

«L’aspetto visibile, concreto della religione, il rito e il simbolo, viene compreso sempre meno, non è più colto e vissuto in modo immediato — ha detto uno dei relatori, il prof. Andrea Grillo, coordinatore della specializzazione in teologia dogmatico — sacramentaria presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma. Grillo ha sottolineato che trattare oggi di liturgia significa «l’approfondire quelli che appaiono ancora come luoghi comuni: il primo è la formazione liturgica intesa come istruzione circa i riti, il secondo è il rafforzamento della separazione tra formazione e spiritualità e il terzo riguarda la soggezione della formazione liturgica ad una lettura sostanzialmente clericale della Chiesa».

Tra i relatori oltre il Prof Grillo e il prof. GIORGIO BONACCORSO, Preside dell’istituto di Liturgia pastorale Abbazia di santa Giustina di Padova. Goffredo Boselli, monaco di Bose ha parlato de prima e dopo la riforma liturgica. PAUL DE CLERKDirettore della rivista La Maison Dieu, membro del Comitè national de Pastorale liturgique (CNPL) già direttore dell’lnstitut Supérieur de Liturgie (ISL) di Parigi ha descritto la ricezione teologica, applicazione pratica e tentazioni di ripiego rispetto alla Sacrosanctum Concilium oggi, mentre DANIEL SAULNIERDirettore dell’istituto di Paleografia musicale dell’Abbazia Saint Pierre di Solesmes e docente presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, ha parlato del canto gregoriano, del suo recupero e del compito che lascia oggi alle generazioni in cerca di una formula musicale altrettanto duratura e valida.

Le relazioni erano seguite da testimonianze delle varie comunità rispetto al lavoro fatto da ciascuna per applicare al proprio interno gli esiti della riforma liturgica, e ora per dare una adeguata formazione liturgica. Una sorpresa per chi ha partecipato al Convegno è stata la presenza viva e numerosa di molta parte del mondo benedettino italiano, comunità giovani e in piena evoluzione, numerica e vitale, ad esempio la comunità di Santa Marta di Firenze, o la Comunità di Poffabro, così come, da parte francese, la Comunità del Bec. Ci si può augurare che si sviluppi ancora meglio l’apporto della dimensione sapienziale femminile così che ad incontri simili ci si possa rallegrare di vedere coniugati insieme relazioni dotte e testimonianze di esperienza, comunità maschili e comunità femminili, nella edificazione di un mondo monastico che proprio nella nostra Europa pare chiamato a ritrovare la sua funzione positiva e profetica, e ha necessità dunque di ogni apporto e di ogni voce. A Monte Oliveto il doppio apporto di testimonianze e relazioni dottrinali ha dato al convegno l’aspetto non solo di un incontro puramente accademico ad alto livello ma di un reale incontro di comunità monastiche in ricerca all’interno di una chiesa desiderosa di riscoprire e riappropriarsi delle fonti della preghiera.

Quali luoghi più appropriati a questo se non i monasteri benedettini, olivetani, cistercensi e trappisti?

(1) Abate ordinario di Monte Oliveto Maggiore, OSB. Nato a Firenze, il 18 marzo 1937, Ordinato presbitero il 2 luglio 1961, nominato abate ordinario di Monte Oliveto Maggiore il 3 ottobre 1992; confermato il 16 ottobre 1992. Membro della Conferenza Episcopale Toscana.

Le Parole della Bibbia

La preghiera di Gesù
nel Vangelo di Luca

di Sr. Germana Strola o.c.s.o

 

La Lectio Divina sui testi liturgici, illuminata dalle introduzioni specifiche e dai ritiri spirituali che abitualmente vengono assicurati nei nostri monasteri, rende estremamente familiare ad ogni monaco e monaca il testo evangelico, che pur non cessa di permanere sempre inesauribile nella sua ricchezza teologica e antropologica. Ripercorrerne i temi principali offre ogni volta di nuovo l’opportunità di riscoprire o rivivere non solo momenti di grazia e di incontro vissuti nella preghiera, ma soprattutto di approfondirne le prospettive, che si rivelano costantemente nuove e vitalizzanti.

«Ha guardato l'umiltà della sua serva»


Riflessione sul trattato «Lodi alla Vergine Madre»
di San Bernardo di Chiaravalle

di Sr. Maria Teresa Ragusa o. cist.



La lettura del trattato di San Bernardo di Chiaravalle, «Lodi alla Vergine Madre», sembra prestarsi particolarmente ad accompagnare la meditazione durante questo tempo di Avvento.

Spiritualità benedettina e cistercense

Speranza, santità e parola di Dio

di M. Anna Maria Cànopi, Osb *

Il quadro della situazione mondiale si presenta di giorno in giorno in tinte sempre più fosche: quando sembra che si profili qualche schiarita, subito sopraggiunge un nuovo ciclone a sconvolgere l’atmosfera dell’esistenza umana su tutto il pianeta.

Il pessimismo, di conseguenza, dilaga e sotto varie forme crea in molte persone fragili stati depressivi e angosciosi. Per non soccombere, c’è chi si indurisce e vive egoisticamente la propria vita cercando di immunizzarsi dal dolore altrui e di godere all’istante e a qualsiasi costo tutto quello che può avere senza riuscire ad essere felice. Ci sono però anche quelli che, pur feriti e lasciandosi ferire dalle vicende dolorose della propria e dell’altrui esistenza, non ne rimangono sopraffatti, perché hanno scoperto il valore redentivo della sofferenza accettata con fede e offerta con amore in unione a Colui che è venuto a farsi carico di tutto il dramma dell’uomo di ogni tempo, per aprirgli davanti un radioso orizzonte di speranza: «La vostra tristezza sarà cambiata in gioia...» (cf. Gv16,20).

Non rifiutando e sfuggendo la croce, ma proprio abbracciandola nella sequela di Cristo, si fa l’esperienza della verità di questa Parola e si diventa testimoni della Risurrezione. Per giungere alla mèta della «beata speranza», si deve quindi perseguire la via della santità, la via della sequela di Cristo, della conformazione a lui crocifisso e risorto. È la scelta radicale della vita monastica: una risposta integrale alle esigenze del Vangelo, all’amore di Cristo, nulla anteponendo a Lui. Dove si dà veramente il primato alle realtà che non passano - mentre passa la scena di questo mondo - si ha una visione dell’uomo e della storia più vera, secondo il disegno di Dio. Una visione perciò anche più ottimista che lascia sempre intravedere vie nuove di ricupero e di salvezza. Non è forse questo il motivo per cui oggi tante persone frequentano assiduamente i monasteri, ossia i luoghi in cui più facilmente si possono trovare uomini o donne di speranza? «Diteci qual è il vostro segreto, il segreto della vostra serenità, della vostra pace, della vostra gioia». È una domanda che molti ci rivolgono. E, più che dalle nostre parole, lo scoprono, questo segreto, immergendosi nella nostra atmosfera di silenzio, di ascolto della Parola di Dio, di contemplazione.

Partecipando alle celebrazioni liturgiche, sperimentano la forza salvifica e rinnovatrice del mistero di Cristo. Ristorati alla sorgente della grazia, possono ritornare ai loro consueti impegni nella famiglia, nella scuola, nella società con più fiducia e spirito di servizio fino al sacrificio.

All’inizio della nostra fondazione monastica sull’isola San Giulio, pensavamo che saremmo rimaste “isolate”, quasi come in eremitaggio. Al contrario, l’Isola è diventata un centro di forte attrazione spirituale proprio perché su di essa splende come faro la preghiera, la Luce che è il Cristo stesso, viva speranza per tutti i naviganti sulle onde tempestose della storia.

I monasteri che danno ospitalità diventano sempre più luoghi di ricarica spirituale e di consolazione. Luoghi di ricarica per la fede che spesso è insidiata da tanti “venti di dottrine” di falsi profeti; luoghi di ricarica per la speranza, resa spesso umanamente impossibile dalle tragiche situazioni di violenza e di miseria morale e materiale; luoghi di ricarica per la che nel mondo tanto facilmente si propone come mascherato egoismo.

«Il sapere che voi ci siete è per noi fonte di consolazione e di speranza: siete una forza che ci sostiene nelle nostre fatiche e nelle nostre lotte per resistere al male». Queste frequenti testimonianze ci fanno sentire quanto sia necessaria la nostra presenza nella Chiesa e quanto sia grande la nostra responsabilità. Infatti, chi viene a cercare Dio presso di noi non deve restare deluso. Veniamo perciò stimolate a un sempre più serio impegno nella santità, a un sempre più umile e generoso servizio a Dio e al prossimo. E tutta l’umanità ci è “prossimo”, poiché nessuna distanza è insormontabile per chi - giorno e notte, senza tregua - stende le braccia nella preghiera.

Ci rendiamo conto, inoltre, che nel segno della comunità monastica si manifesta chiaramente che la castità, ritenuta assurda nella nostra società satura di sesso, è invece possibile, anzi bella e totalizzante per la persona. Così pure si rende visibile che sono realizzabili la comunione di vita, l’unità e la pace tra persone diverse per indole, età, cultura e nazionalità.

I nostri fratelli che vivono nel mondo possono, insomma, costatare che la santità è sempre possibile e che è un cammino di bellezza e di consolazione aperto davanti a tutti, non un privilegio di alcuni.

* del Monastero Mater Ecclesiae di Orta San Giulio

La lettura spirituale
nella dottrina monastica di S. Bernardo

di Sr. Maria Pia Schindele o. cist




San Benedetto nella sua Regola indica la lettura spirituale quale «strumento delle buone opere» (RB 4,55), la chiama Lectio divina e menziona come contenuto la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa: «C’è in fatti una pagina, anzi una parola, dell’antico o del nuovo Testamento, che non costituisca una norma esattissima per la vita umana? O esiste un’opera dei padri della Chiesa che non mostri chiaramente la via più rapida e diretta per raggiungere l’unione con il nostro Creatore? E le Conferenze, le Istituzioni e le Vite dei Padri, come anche la Regola del nostro santo padre Basilio, che altro sono per i monaci fervorosi e obbedienti se non mezzi per praticare la virtù?» (RB 73,3-6).

1) Il sapere che dona salvezza

San Bernardo valuta il sapere in relazione alla luce della salvezza. A lui preme sempre, portare l’uditore o il lettore a Dio e, di conseguenza, indica loro, la storia della salvezza, per scoprire e accogliere la possibilità della propria salvezza, questo è lo scopo dei sermoni 36, 37 e 43 del suo commento sul Cantico dei cantici.

a) Insegnamenti per ottenere il sapere

Nel sermone 36 Super cantica canticorum Bernardo specifica la differenza tra ignorantia pericolosa e non pericolosa, ossia tra l’ignoranza che ci danneggia e quella che è irrilevante. Pericolosa è la ignorantia sui ed Dei, cioè il non sapere riguardo a sé e né riguardo a Dio perché «l’una si volge contro di noi l’altra contro Dio».

«Voi sapete che oggi ci eravamo proposti di parlare dell’ignoranza, o piuttosto, delle ignoranze; poiché di due, se ben ricordate, si trattava; ignoranza di noi stessi e ignoranza di Dio; e abbiamo già avvertito che l’una o l’altra si devono evitare, perché entrambe sono degne di condanna 1»

Bernardo riferendosi agli artigiani e ai maestri delle arti liberali, spiega che invece non è pericolosa l’ignoranza nei campi che riguardano le cose e le scienze esatte, per quali non si è responsabili perché diversi sono i talenti e le professioni. Poi tira fuori l’esempio degli apostoli, che non provenivano dalle scuole di retorica e filosofia. Tuttavia il Signore compì attraverso loro sulla terra opere di salvezza, facendoli diventare, attraverso fide e lemitate – fede e bontà -, santi e maestri.

«Per esempio se ignori l’arte del fabbro, o del carpentiere, o del muratore, o altro del genere, che vengono esercitate dagli uomini ad uso della vita presente, costituisce forse questo un impedimento alla salvezza? Anche senza tutte quelle arti che si chiamano liberali, sebbene si imparino e si esercitino con studi più onorevoli e più utili, quanti uomini si sono salvati, piacendo a Dio con i costumi e con le opere: quanti ne enumera l’Apostolo nella lettera agli Ebrei, resi amati non dalla scienza delle lettere, ma dalla coscienza pura e dalla fede sincera. Tutti piacquero a Dio nella loro fede sincera. Tutti piacquero a Dio nella loro vita, e per merito della condotta, non della scienza. Non per sapienza, quasi che in essi ve ne fosse più che in tutti gli altri, come un Santo ha potuto dire di se stesso, ma nella fede e nella mansuetudine li ha fatti salvi, e anche santi, e anche maestri»2.

La pericolosa ignoranza riguardo se stesso si supera solo attraverso la vera conoscenza di sé. Succede talvolta che l’amara vista di sé rende l’uomo triste, ma lo provoca anche ad aprirsi alla conoscenza di Dio. La lettura spirituale aiuta questo processo del quale Bernardo dice: “In questa maniera la cognizione di se stesso sarà come gradino alla conoscenza di Dio”3.

Bernardo indica pure una scienza contraria alla salvezza, nella quale non si trova la conoscenza della verità, ma la vanagloria. La nomina scientia inflans - scienza gonfiata - che reprime il desiderio di salvezza ed impedisce l’accesso all’esperienza di salvezza.

«Vedete come differiscono le scienze e come una gonfi mentre l’altra rattrista. Ma vorrei che voi mi diceste quale di queste vi sembra utile o necessaria alla salvezza: quella che gonfia o quella che duole?»4 .

Si richiama inoltre alla parola dell’apostolo Paolo: «Per la grazia che mi è stata concessa io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato». – Poi s’interroga - «Che cosa significa essere saggio con moderazione? Significa osservare con molta attenzione che cosa convenga maggiormente e in primo luogo convenga maggiormente e in primo luogo sapere. Il tempo infatti è breve. Pertanto ogni scienza di per sé è buona, purchè sia appoggiata alla verità; ma tu che, data la brevità del tempo, ti affretti con timore e tremore a operare la tua salvezza, preoccupati di conoscere maggiormente e in primo luogo le cose che avrai sentito più vicine alla salvezza» 5.

Bernardo spiega che il contenuto e il modo di fare la lettura devono essere determinati dall’ordine, dall’interesse e dallo scopo da raggiungere:

«Con quale ordine si studi prima ciò che è più urgente per la salvezza; con quali sentimenti si cerchi con più ardore ciò che spinge con più forza all’amore; con quale scopo non si cerchi la vana gloria o la curiosità, o alcunché di simile, ma solo l’edificazione propria e del prossimo6».

b) Leggere ed apprendere

Nel sermone 37° Super cantica canticorum Bernardo cita il versetto del profeta Osea: «Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà» (Os, 10,12) e poi aggiunge: «e solamente dopo illuminatevi con il lume della scienza». Qui egli si riferisce, al seme che cade nell’anima di chi ascolta la buona novella e manifesta la sua forza vitale con abbondanti slanci verso il bene.

«Chiunque di voi sente in sé operarsi queste cose, sa che cosa dica lo Spirito, la cui voce e la cui operazione non sono mai discordanti tra di loro. Perciò dunque comprende le cose che sente al di fuori, perché le sente al di dentro»7.

In virtù di questo «dono primordiale» dello Spirito Santo, la Sacra Scrittura viene interpretata mediante la propria esperienza donando ulteriori chiarimenti sulla vita spirituale trasmessa dalla Parola di Dio e già sperimentata dall’anima. Così s’instaura un dialogo tra Dio e il lettore, il quale sa di essere toccato dal Signore attraverso la Sacra Scrittura, ed è mosso a risponderli nella preghiera e, nello stesso tempo, si sente spinto a comunicare la sua esperienza di Dio ai confratelli, affinché trovino anche loro il proprio colloquio con Dio.

Per acquistare la vera e propria conoscenza della Sacra Scrittura, per san Bernardo è importante indagare sull’esperienza degli autori perché considera che la scienza della Scrittura aiuta la professione di fede, vero scopo della Lectio divina.

c) La filosofia di Bernardo: Gesù Cristo

Bernardo nel sermone 43 Super cantica canticorum è colpito dal versetto dell’apostolo Paolo ai Corinzi: «lo ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2,2).Qui egli segue il modo di filosofare in uso fin dal XI secolo e che Jean Leclercq spiega, nei suoi studi sul vocabolario del medioevo, come ricerca della «vera saggezza» secondo una conoscenza della verità che il filosofo trova nella sequela di Cristo.

Con questa intenzione Bernardo raccoglie i singoli fatti della vita e della sofferenza di Cristo come un mazzetto di fiori e se lo pone sul petto, in modo da avere sempre presente l’opera di salvezza quale pienezza del sapere, per cui confessa:

«Ho chiamato sapienza meditare queste cose, in esse ho fatto consistere per me la perfezione della giustizia, in esse la pienezza della scienza, le ricchezze della salvezza, in esse l’abbondanza dei meriti»8.

In seguito su Gesù e la sua opera salvifica dice:

«Perciò io ho spesso queste cose sulla bocca, come voi sapete, e nel cuore sempre, come lo sa Dio. Queste cose sono familiari alla mia penna, come è risaputo, questa è la mia più sottile e interiore filosofia, conoscere Gesù e Gesù crocifisso (cfr 1 Cor 2,2)».9

2) Sapere e volere

Il sapere aiuta esclusivamente la salvezza, se il volere accetta quanto ha conosciuto, perché è stato «catturato» dalla conoscenza, quindi indirizza la sua azione conforme alla sua cognizione.

In un sermone per la sesta domenica dopo Pentecoste, Bernardo ci presenta il vangelo come «specchio di verità». Nel sermone 36 sul Cantico dei cantici, descrive i pericoli spirituali del sapere non digerito, considerando una conoscenza senza la conseguente azione. Il suo primo sermone per la festa di Pentecoste ha per oggetto l’azione dello Spirito Santo nell’anima dell’uomo e infine, nel trattato De consideratione, esorta ad accogliere il frutto donato da Dio.

a) Specchio della verità

Il vangelo è per l’uomo uno specchio di verità, chi lo legge si vede chiaramente tale e quale è, ma allo stesso tempo ciò lo fa diventare libero tanto dalle paure inconsistenti come dalle illusioni. Su questo Bernardo parla nel suo sermone In dominica VI post Pentecosten:

«Quanto al vangelo, è uno specchio di verità, che non lusinga nessuno né a nessuno conduce a inganno. Ci si vede in questo specchio così come si è, non si ricava alcuna ragione di timore, se non ci sono timori ad avere, né nessun argomento di rallegrarsi, se si è fatto il male» 10

E per chiarire cita il versetto della lettera di Giacomo: «Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena si è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era» (Gc 1,23-24). Di conseguenza, Bernardo, richiama i suoi monaci:

«O miei fratelli, vi esorto, che non sia così con noi, non, che ne non sia così; ma esaminiamoci attentamente in questo brano del vangelo che ci è stato letto, ed approfittiamo da esso per correggersi, se troviamo qualcosa che debba essere corretto in noi»22.

Poi egli trae le conseguenze:

«Partecipe del nome, lo sono anche dell’eredità, Sono cristiano, fratello di Cristo. Se sono veramente quello che sono detto, sono erede di Dio, coerede di Cristo»23.

Quanto dice qui sull’annuncio della fede, vale anche per la formazione della fede, mediante la lettura spirituale.

«Donde pensi sia derivata in tutta la terra una così grande e improvvisa luce di fede, se non dalla predicazione del nome di Gesù?»24.

Dagli autori ed oratori spirituali Bernardo si aspetta il nome del Signore quale nutriente alimento dell’anima:

«Se scrivi, non mi sa di niente se non leggerò ivi Gesù. Se discuti o ragioni, non mi sa di niente se non risuonerà ivi Gesù»25.

L’uomo sperimenta la forza salvifica del nome di Gesù, quando la sua conoscenza della fede si immerge nella preghiera e quando «chiama» il Signore:

«Ora intanto hai una medicina per il braccio e per il cuore. La possiedi, dico, nel nome di Gesù, con cui puoi correggere i tuoi atti cattivi, o supplire a quelli meno perfetti; così pure, sia per preservare i tuoi sentimenti, perché non siano guastati, sia per sanarli qualora fossero corrotti»25.

b) L’utilità della Sacra Scrittura

Bernardo afferma, nel sermone 22 Super cantica canticorum, che l’intelletto comprende, nello studio della Sacra Scrittura, «soltanto quanto apprende attraverso l’esperienza». Percepire le verità di fede particolarmente importanti per la vita spirituale, è per lui un ambito intimo che definisce con le parole:

«Lo Sposo sa di quali letizie lo Spirito inondi la diletta, di quali aspirazioni nutra singolarmente i suoi sensi e di quali profumi la inebri»27.

Egli anche rispetta questa intimità nei suoi fratelli come: «giardino chiuso, fontana sigillata» (Ct 4,12).

Come abate sente il suo dovere di stimolare la lettura della Sacra Scrittura nei suoi monaci e lo fa richiamandosi alle proprie esperienze:

«Del resto, di qui esse fluiscono nelle piazze pubbliche (cfr. Pr 5, 16). lo confesso di averle a portata di mano, e quindi nessuno mi sia molesto o ingrato se attingo da un luogo pubblico e le servo. E per parlare un poco di questo mio servizio, dirò che esso comporta parecchia fatica e lavoro, il dover uscire, cioè, ogni giorno, ed attingere anche dai ruscelli aperti delle Scritture, e da essi trarre quanto serve per la necessità di ciascuno, onde ognuno di voi, senza suo lavoro, abbia a disposizione le acque spirituali»28.

Questo dimostra che Bernardo vede il contenuto di salvezza della Scrittura in viva relazione con i suoi monaci e attende, nella Parola di Dio, il salutare sostegno dall’opera dello Spirito Santo.

c) L’abitazione di Dio

Nell’uso del Nuovo Testamento Bernardo preferisce il vangelo di Giovanni e le lettere dell’apostolo Paolo, perché rafforzano in lui il convincimento che nella Parola di Dio è il Signore stesso che parla. Dal momento che la Bibbia porta all’incontro con la PAROLA divina, Bernardo si aspetta dalla lettura spirituale quanto promise lo stesso Signore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

Poi, nel sermone 69 Super cantica canticorum, descrive l’esperienza della presenza di Gesù, quale Sposo dell’anima:

«Se mi accorgerò che mi viene aperta l’intelligenza per comprendere le Scritture, o che un discorso sapiente quasi mi ribolle dall’intimo, o che mi si rivelano i misteri alla luce celeste infusa dall’alto, o se mi sembrerà che mi si apra come un amplissimo grembo del cielo, e discendano nell’animo abbondanti piogge di meditazioni, non dubito che lo Sposo è presente. Sono, infatti, queste ricchezze del Verbo, e queste abbiamo ricevuto dalla sua pienezza»29.

Il Padre e il Figlio comunicano all’anima lo Spirito Santo che coordina i suoi sentimenti e le sue azioni, a proposito Bernardo scrive:

«L’amore di Dio genera l’amore dell’anima, e rivolgendosi per primo verso di lei, fa si che anch’essa sia tutta intenta a lui, e la sollecitudine di lui rende sollecita anche lei»30.

Bernardo ammette che Dio subordina la sua condotta al comportamento dell’uomo nei suoi confronti. È per questo che per gli esercizi della vita spirituale, ai quali appartiene anche la lectio divina, ci da un’indicazione importante riguardo al tempo che dedichiamo ad essi:

«Pertanto, quale tu ti preparerai per Dio tale ti apparirà Dio: sarà santo con il santo, e con l’uomo integro sarà integro. Cosi, similmente, amante con chi lo ama, si tratterrà con chi si trattiene volentieri con lui, si rivolgerà a chi si rivolge a lui, sollecito con chi è sollecito per lui 31».

Note

(1) BERNARDO di CHIARAVALLE, Sermoni sul Cantico dei cantici, a cura di Domenico Turco Ed. Vivere In, Roma 1986, vol. I, 36, 1, (d’ora innanzi SC).undefined

(2) SDC, 36, 1

(3) SC, 36,6

(4) SC, 36,2

(5) SC, 36,2

(6) SC, 36,3

(7) SC, 36,3

(8) SC, 43,4

(9) SC, 43,4

(10) Domenica VI post Pentecostes, 1,1 (d’ora in poi VI p P9:

(11) VI p P, 11,

(12) SC, 36,4

(13) In die Pentecostes, 1,5 (d’ora in poi Pent)

(14) Pent, 1,5

(15) Pent, 1,5

(16) Le opere di san Bernardo, a cura du F. Gastaldelli, Scriptorum Claravallense, Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 1984, vol. I Trattati, De consideratione, 5, 27, (d’ora in poi Csi)

(17) Csi, 5,30

(18) Csi, 5,39

(19) GUGLIELMO DI Saint-THIERRY, Vita di San Bernardo, Opere/2, a cura di Mario Spinelli, Città Nuova 1997, 4,24

(20) SC, 15,1

(21) SC, 15,2

(22) SC, 15,3

(23) SC, 15,4

(24) SC, 15,6

(25) SC, 15,6

(26) SC, 15,7

(27) SC, 22,2

(28) SC, 22,2

(29) SC, 69,6

(30) SC, 69,7

(31) SC, 69,7.


FONTI

C. BODARO, La Bible, expression d’une expérience religieuse chez S. Bernard. In: AnOCist 9 (1953) 24-45.

M. CASEY, From the Silence of God to the God of Silence. The Experience of Progress in Lectio Divina. In: Tjurunga 43 (1992) 3-24.

J.-M. DELVAUX, Lectio Divina. In: CoIIOCSO 33 (1971) 104-107.

The Role of the Bible in St. Bernard’s Spirituality. In: AnOCist 25 (1969) 3-13.—, Use and Interpretation of St. John’s Prologue in the writings of St. Bernard. In: AnOCist 35 (1979) 205-226.

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